venerdì 4 giugno 2021

Segnalazione Romanzo - I DISCENDENTI DELL'OROLOGIO di Eleonora Piancatelli

 





Respiro Readers

vi segnaliamo  l' uscita 

del romanzo dell'autrice  italiana Eleonora Piancatelli.









TITOLO: I discendenti dell'orologio

AUTRICE: Eleonora Piancatelli

CASA EDITRICE: Porto Seguro Editore

GENERE:  Fantasy

PAGINE: 263

PREZZO CARTACEO: 16.05

DATA USCITA: 3 Settembre 2020




Adel è una giovane donna determinata e con i piedi per terra, la cui vita è appena stata sconvolta dalla morte del padre. Seguendo le sue ultime volontà incontra un uomo muto e misterioso, Lionel, al fine di consegnargli una cassetta di sicurezza appena ereditata e dal contenuto enigmatico: una penna e dei fogli. Adel scoprirà, suo malgrado, che non sono oggetti qualunque, così come Lionel e i suoi genitori non sono persone qualunque: lei stessa è una Discendente dell’Orologio, capace di vedere il passato e il futuro, proprio come loro. Mentre i legami con Lionel e con Gilbert, il bambino accolto da quest’ultimo, si fanno sempre più stretti e intensi, tutti e tre dovranno prepararsi alle minacce di chi vuole aprire il portale dell’Orologio per cambiare la Storia. Riusciranno i Discendenti a prevalere su chi si vuole approfittare dei loro poteri? Adel e Lionel salveranno il mondo e se stessi? Un fantasy che non trascura un delicato approfondimento delle vicende umane dei protagonisti.





CAPITOLO PRIMO 

«Il suo nome?» La voce pareva meccanica, anche se proveniva da un essere umano. «Adel StClare.» Si sentiva davvero in imbarazzo con quegli occhi scuri puntati a dosso. «Perché è qui?» Deglutì e sorrise il più naturalmente possibile. «Vorrei sapere dove si trova l’ufficio dell’avvocato Black, devo aprire un testamento.» Ci fu silenzio per alcuni secondi. La donna dietro la scrivania la guardò senza nessuna emozione. La cosa mise ancora più a disagio la giovane, che dovette distogliere lo sguardo. «Condoglianze. Terzo piano, terza porta a destra» decretò, prima di tornare a fissare il sottile monitor davanti a sé. Adel ringraziò a bassa voce e poi prese la strada fino alla terza porta a destra del terzo piano di quel palazzo ormai vecchio alla periferia della città. «Si accomodi.» Titubante, si sedette sull’unica sedia presente. Aspettò con la borsa in grembo guardandosi spesso attorno. Lo sguardo corse dalle due massicce librerie colme di libri di legge alle mensole scure quasi vuote per ritornare, infine, alla figura dell’avvocato intento a compilare una pratica. Deglutì rumorosamente e aspettò che l’uomo si decidesse a parlare. Nonostante fosse un amico stretto di suo padre, ci aveva parlato poche volte. Gli doveva molto, dato che si era impegnato ad assisterla nelle pratiche senza prendere nemmeno un centesimo. Il legale dalla faccia pallida la metteva in soggezione. «Mi dispiace Adel... se mai avessi bisogno io sono a tua disposizione.» Adel annuì in un moto quasi involontario. Ormai era abituata a quella frase, le era rimbombata molte volte in testa durante il funerale. Ricordava come gli ospiti fossero sfilati davanti a lei facendole le loro condoglianze e mormorando tutti la stessa cosa, come se lei dovesse essere l'unica testimone a udirla. Dubitava della sincerità di quelle persone; subito si erano precipitate al buffet come avvoltoi. «Bene, procediamo all'apertura del testamento.» L’uomo si passò una mano nei folti capelli castani, quasi fosse in ansia lui stesso, e iniziò a leggere con voce ferma le ultime volontà del defunto. Tutto ciò che era rimasto dopo la dipartita di Claus StClare andava all'unica figlia; la casa, pochi soldi, una scatola di sicurezza e una lettera. Timidamente, la ragazza prese la busta consegnatale dall'avvocato Black. Non aveva idea di cosa suo padre potesse averle scritto. «Immagino sia qualcosa d’importante. Questa è la cassetta e questa la chiave.» Le porse gli oggetti, a questo punto suoi, e aspettò che la giovane donna parlasse. «Immagino di sì, non sapevo della sua esistenza.» Voltò la busta osservandone il sigillo rosso che la chiudeva. Non capiva bene cosa fosse il disegno, ma le pareva un libro aperto. «Posso aprirla qui? Nel caso ci fosse qualcosa di legale...» la voce timida era fine e tremolante. L'avvocato annuì mentre anche lui osservava curioso. La giovane aprì la busta e lesse velocemente le righe scritte a penna. Cercava di controllare l’espressione sorpresa e confusa. Ripiegò la lettera velocemente prima di buttarla nella borsa e afferrare la cassetta e la chiave mentre si alzava in fretta e furia. «Non è niente d’importante solo... la lettera di un padre a una figlia» la voce sconsolata rendeva ancor più cupa la sua figura, ora appesantita non solo dalla grossa borsa nera ma anche dalla cassetta di sicurezza. «Capisco» gli occhi neri dell'uomo la osservarono non molto convinti, ma Basil Black non poteva certo contraddire una giovane ragazza in lutto senza alcun motivo. «La ringrazio e spero di rivederla in una situazione migliore.» Adel si alzò e porse la mano all'avvocato che la strinse con fin troppa forza. «Lo spero anch’io. Arrivederci.» Quasi scappò dallo studio, neanche si era accorta di essere ormai in strada camminando verso casa. La lettera era molto specifica su come gestire parte dell'eredità. Adel era sorpresa di una simile presa di posizione da parte del padre. Non capiva come mai fosse così importante il contenuto di quella cassetta, appartenuta alla sua famiglia per molti anni, tanto da dirle esplicitamente di non mostrarne il contenuto all'avvocato. Non trovava, però, una scusa valida per non seguire le ultime volontà del padre, morto appena tre mesi dopo il suo diciannovesimo compleanno. Si ritrovò, quindi, davanti alla porta di metallo incassata nel muro, sotto al livello della strada. In realtà era lì ormai da un paio di minuti, incerta se bussare o meno, troppo spaventata dall'aria lugubre della zona deserta. Sospirò profondamente e finalmente si decise a bussare. La mano tuttavia non toccò mai il ferro perché qualcosa di freddo le si piantò in mezzo alle scapole, facendola rabbrividire. «Chi sei e cosa ci fai qui?» una voce, decisamente giovane, forse un bambino, aveva quasi urlato. Si voltò lentamente, le mani alzate, verso il ragazzino che le puntava contro un fucile. A terra poco distante vi erano due buste della spesa. «Io...» ispirò profondamente. «Sono qui per vedere Lionel Lancaster, mio padre era suo amico.» Trattenne il respiro mentre gli occhi analizzavano la canna nera dell’arma e il bambino, di circa dodici anni. Questo a sua volta la osservava in silenzio, sospettoso. Riusciva a sentire le auto in lontananza, oltre il vicolo cieco sbarrato da un muro adornato da scritte spray. Nonostante la città inglese fosse abbastanza popolata, era certa che nessuno sarebbe passato da lì per aiutarla. Nessuno avrebbe trovato quel posto per caso, aveva faticato lei stessa a trovarlo, nonostante le indicazioni. Deglutì rumorosamente. Non doveva assolutamente pensare all'arma che aveva puntata contro. Sudava freddo. Tre colpi sordi da dietro la porta di metallo fecero sobbalzare la ragazza e abbassare il fucile. Il bambino sbuffò sonoramente e si diresse verso le buste bianche dopo essersi messo in spalla la pesante arma. Era inquietante come la maneggiasse con tanta facilità. Girandosi verso la porta, Adel poté notare che la piccola feritoia si era aperta, in quel momento però non vi era nessuno dietro. Il ragazzino la superò sbuffando una seconda volta. La porta si aprì, rivelando un uomo alto dall'espressione truce. Continuava a scrutarla da capo a piedi alla ricerca di qualcosa. Adel dovette distogliere lo sguardo. Senza neanche farci caso aveva incrociato le braccia davanti al petto. L’uomo non disse nulla, fu il rimbombo di un cazzotto contro la porta a farla voltare nuovamente. Con un gesto la invitò a seguirlo. In realtà non voleva, non si fidava assolutamente dell'uomo. Era tutto molto sospetto. Aveva paura di stare per immergersi in qualcosa di pericoloso, per niente adatto a una persona nervosa come lei. Aveva quella sensazione d’angoscia alla base dello stomaco che l’aveva sempre protetta da situazioni potenzialmente pericolose. Ma chi aveva aperto la porta era sicuramente l'uomo descritto nella lettera di suo padre, ed era nel luogo giusto dato che aveva seguito alla lettera le indicazioni. Era certa, quindi, di non essere in pericolo, eppure quel brutto presentimento non la abbandonava. Lentamente scese i due scalini e si chiuse la porta alle spalle. L’ambiente, molto più ampio e accogliente di quanto si potesse immaginare dall'esterno, l’aiutò a rilassarsi. Camminava senza far rumore sull'enorme tappeto, seguendo a debita distanza il padrone di casa. Nonostante l’aria burbera dell'uomo, la casa era adornata con toni tenui. Quel contrasto era stranamente confortante. Oltre la porta a destra della sala si sentiva il cigolio di sportelli che venivano aperti e poi richiusi. Era l’unico suono, oltre a quello dello sconosciuto che si stava sedendo al grande tavolo di legno al centro della stanza. Intravide alcune incisioni sul legno del mobile. Adel era incerta su come comportarsi, per questo rimase a contemplare i ninnoli sparsi un po' per tutta la sala per alcuni minuti. Con un altro gesto fu invitata a sedersi difronte al proprietario di casa. Si accorse solo in quel momento dello spesso blocco notes poggiato sul tavolo. «Mi chiamo Adel StClare, mio… mio padre mi ha chiesto di venire da lei una volta avessi ereditato questa» aveva preso coraggio e con voce ancora incerta gli aveva porto la busta. All’inizio l'uomo rimase impassibile, poi si passò una mano tra i capelli corvini in un gesto di stanchezza. Prese la busta tra due dita solo quando il ragazzino uscì dalla cucina e si sedette al suo fianco. Dopo una veloce lettura, quello che doveva essere Lionel Lancaster prese a scrivere sul blocco bianco prima di volgerlo verso di lei. Sono io Lionel Lancaster. Adel osservò l’uomo con occhi sorpresi e istintivamente parlò. Si morse la lingua subito dopo. «Non può parlare?» Un secco NO fu scritto sotto la prima frase. Adel era incapace di continuare la conversazione: se prima non aveva idea di come comportarsi, adesso stava annegando nel disagio. A quel punto l'uomo scrisse sul blocco di mettere sul tavolo la cassetta di sicurezza e di aprirla. La ragazza, finalmente, si riprese da quell’immobilità imbarazzante. «Mio padre ha scritto che lei può aiutarmi con gli oggetti della cassetta» disse lentamente, così che Lionel potesse leggerle le labbra. «Non è sordo» l’acida voce del ragazzino le fece distogliere lo sguardo dalla serratura appena scattata. Spalancò gli occhi, la bocca semi aperta e l’aria persa. «Scusa io credevo...» Lo sguardo viaggiò da una figura all'altra in cerca di perdono, mentre il viso le si colorava per la vergogna. Si stava mettendo sempre più in ridicolo. Voleva sotterrarsi o scappare via, invece le sue gambe erano piantate a terra. «Fa niente.» Per tutta risposta Lionel con una mano aperta le chiese di mostrare il contenuto della cassetta. La giovane donna alzò il coperchio e rimase a fissare per alcuni secondi il contenuto, prima di voltare la scatola dalla parte opposta. Le pagine strappate da un qualche libro, ingiallite dal tempo e protette una per una da buste di plastica e una penna stilografica smeraldina fecero spalancare gli occhi ambrati del signor Lancaster. «Lionel…» sussurrò il ragazzino flebilmente. L'uomo non fece caso a lui, che prese la penna per poi rigirarsela continuamente tra le mani. In completo silenzio, la ragazza guardava la scena senza comprendere cosa stesse succedendo o cosa avessero di speciale quegli oggetti. Qualcuno sa della cassetta? la domanda scritta in bella grafia le si parò davanti, distraendola dall'osservare il ragazzino. Scosse il capo in dissenso. «Nessuno tranne l’avvocato, ma mio padre si fidava di lui. E comunque l’ho aperta per la prima volta qui con voi.» Abiti lontano? A questa domanda anche la ragazza divenne muta. Per quanto quella persona potesse essere ben raccomandata, rimaneva un estraneo. Temeva a rivelargli troppo di sé, ma fu costretta a parlare quando Lionel batté con la penna sopra alla domanda. Continuava ad avere quell’espressione truce sul volto, se possibile anche peggiore di quando l'aveva visto la prima volta, probabilmente a causa dell’impazienza. «Abito abbastanza lontano in realtà. Anzi dovrei tornare presto a casa, quindi vorrei sapere che cosa devo fare con queste cose.» Nemmeno si rese conto di quanto velocemente avesse parlato. Fu la reazione dell’uomo, un sopracciglio alzato, a farle comprendere quanto palese fosse la sua bugia. Non abitava così lontano, né aveva fretta di andarsene, ma si era sentita improvvisamente in pericolo. Se prima si sentiva a disagio, adesso era spaventata; forse non ce n’era motivo, ma non poteva saperlo. Questa roba la prendiamo noi, fu la prima scritta a comparire sul foglio. Fece per obbiettare, ma non vedeva cosa avesse da guadagnarci. Era stata mandata lì per quello, in fondo. La seconda scritta la fece alzare di scatto, ritta in piedi. Il suo corpo si fece ancora più teso, probabilmente non avrebbe potuto esserlo più di così. Tu rimarrai qui stanotte. Non c’era bisogno di sentire la voce del signor Lancaster per capire che stava usando un tono autoritario, non era una richiesta ma un vero e proprio ordine. Voleva dire qualcosa, anzi, doveva dire qualcosa e imporsi, ma dalla bocca non le uscì niente. Finalmente dopo un profondo respiro parlò, per quanto con voce tremolante: «Io non posso rimanere qui! Ho… ho il lavoro e poi… e poi io non vi conosco e… non voglio passare la notte da uno sconosciuto». Tutto si fermò. L’uomo si alzò sbattendo il blocco di fogli sul tavolo. Adel sobbalzò. Era convinta, però, che in nessun modo potessero costringerla a restare, o almeno ci sperava. Si aspettava una qualche reazione, ma l'uomo semplicemente sospirò. Una mano gli copriva il viso rendendo la sua espressione indecifrabile. Senza alzare il capo iniziò a scrivere qualcosa sulla carta bianca. Io e tuo padre facevamo lo stesso lavoro. Un lavoro molto pericoloso. La mano scivolò nuovamente sulla carta, bloccandosi in un paio di punti alla ricerca delle parole giuste. Voglio che tu resti qui per sicurezza. Il contenuto della cassetta è importante anche per te e sono certo tuo padre volesse che io ti parlassi di alcune questioni, ma adesso è tardi. Nella casa sotto il livello della strada non era possibile vedere lo scorrere lento del sole durante la giornata, ma era certa che ormai il cielo fosse rosso. Poteva solo credere alle parole di Lionel Lancaster. In fondo, non aveva mai saputo molto del vero mestiere del padre, conosceva soltanto la copertura da fotografo, spesso sbandierata con fin troppa vanità. Per qualche motivo suo padre si riteneva un genio del settore e forse proprio per questo aveva scelto quella copertura. Adel continuava a mordersi il labbro inferiore e a tenere le braccia strette al petto. Non era convinta di rimanere, ma per qualche strano motivo la reazione pacifica dell’uomo l’aveva tranquillizzata. Non sentiva di potersi fidare completamente, ma ormai la sensazione di pericolo era sfumata. Probabilmente anche grazie alla sincerità del signor Lancaster e alla presenza del bambino, ancora imbronciato di fianco al padrone di casa. «Se rimango qui, mi dirai tutto su mio padre?» Questa era l’unica motivazione per cui sarebbe rimasta. Sperava di scoprire qualcosa di più su suo padre e, se era fortunata, indirettamente anche su sua madre. Aveva solo quattordici anni di ricordi passati assieme alla donna alta e snella improvvisamente morta in un incidente. Non aveva mai avuto modo di chiederle del suo passato e Claus StClare si ostinava a non voler raccontare alla figlia della madre venuta a mancare. Rimandava dicendo che ancora non era abbastanza grande o che non vi era poi niente da raccontare o ancora che non era il momento adatto. Sperava di conoscere qualcosa di più sul fantasma onnipresente nella sua adolescenza piuttosto che su suo padre. Sì, fu l’unica risposta.






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