“Jackie” è un romanzo che ti entra sotto pelle lentamente, come un sussurro che si trasforma in un urlo. Un horror psicologico che non si limita a spaventare: ti trascina dentro le sue ombre, ti costringe a restare lì, a guardare.
La storia si apre nella sonnacchiosa Black Tree, una cittadina che sembra immobile nel tempo, dove ogni casa ha le sue crepe e ogni sorriso nasconde un ricordo taciuto. L’autore è abilissimo nel costruire questa cornice apparentemente tranquilla, impregnata di nostalgia e di colpa. È il luogo perfetto per far riaffiorare segreti sepolti da anni, come quello che dà inizio alla vicenda: il ritrovamento di un corpo dimenticato dietro la scuola locale, appartenente a una ragazza scomparsa trent’anni prima.
Poi c’è Jackie, la nuova arrivata, con suo padre e un passato che non smette di morderle le caviglie. Lei è un personaggio costruito con cura, fragile ma non debole, curiosa, razionale, eppure sempre più sopraffatta da ciò che non può spiegare. La scoperta della stanza delle bambole di porcellana, in quella vecchia casa di pietra, è uno dei momenti più riusciti del libro: una scena che sembra respirare, impregnata di polvere, silenzi e occhi di vetro che non smettono di osservare.
L’autore gioca con le possessioni, le presenze, ma soprattutto con il dubbio. È davvero la casa a essere maledetta, o è la mente di Jackie a sgretolarsi? Questa ambiguità regge l’intera narrazione e la rende magnetica. Lo stile è evocativo, talvolta poetico, con descrizioni che sanno rendere ogni dettaglio sovraccaricato di inquietudine. Forse, in alcuni passaggi, il ritmo rallenta troppo — specialmente nei capitoli dedicati alle indagini accademiche di Judith Coleman e del suo assistente Noah Baker — ma la tensione di fondo non si spegne mai del tutto.
L’intreccio mescola mistero, trauma e folklore in modo convincente. Ci sono echi di Shirley Jackson e un tocco di “Hill House”, ma anche una voce originale, personale, che sa farsi ascoltare. Il finale, pur lasciando spazio a domande, offre una chiusura emotiva potente, una sorta di resa silenziosa al dolore e alla memoria.
In sintesi, Jackie è un
horror che non urla: sussurra, osserva, consuma.
Una storia che
parla di fantasmi veri — quelli che vivono dentro di noi — e di
quanto a volte basti una bambola dagli occhi azzurri per
ricordarcelo.
Una lettura intensa, disturbante e piena di atmosfera.
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