Fin dall’incipit sono stata incuriosita dalle storie apparentemente non collegate dei personaggi, che sono molto ben caratterizzati a livello psicofisico. Ho gradito la scelta dell’autrice di inserire una nota finale in cui spiega ciò che ha voluto comunicare ai lettori con questo romanzo.
Sono rimasta piacevolmente sorpresa da questa storia fantasy dalle sfumature horror, che sinceramente, a differenza di molte altre storie di questo genere, non mi hanno appassionato più di tanto. L’autrice riesce a cogliere e descrivere i risvolti più intimi dell’animo dei suoi personaggi. Inoltre, ho apprezzato lo stile semplice e scorrevole usato dall’autrice per raccontare la storia, nonché i risvolti di un amore alla “Love story” per chi si ricorda e ha visto il film. Direi che seicento pagine 600 non sono poche (di questo punto ne parlo più avanti).
Il
romanzo, a mio avviso, segue le impronte narrative del Decamerone. Se
ci pensiamo, Il Decqmeron, scritto
da Giovanni Boccaccio dal
1348 e il 1353 può essere considerata la
prima grande opera narrativa in prosa della letteratura italiana.
Si tratta di una raccolta
di novelle tenuta insieme da una cornice:
dieci ragazzi decidono di fuggire da Firenze, nella quale imperversa
la peste, per rifugiarsi in una villa in campagna. Per passare il
tempo decidono di raccontare una storia ciascuno ogni giorno per
dieci giorni. Ogni giorno viene eletto un re o una regina che decide
il tema della novella.
La struttura narrativa è particolare:
esiste un narratore di primo livello (Boccaccio), un narratore di
secondo livello (uno dei ragazzi che racconta la propria novella) e
un narratore di terzo livello (il personaggio di una novella). Ogni
novella ha la stessa struttura: un riassunto iniziale dell’intera
novella, un riferimento alla cornice e la narrazione della novella
vera e propria.
Il romanzo, di narrativa dark fantasy contemporaneo dell’autrice, si sviluppa, appunto, come Il Decameron, su vari livelli mettendo in campo diversi gruppi di personaggi che a loro volta raccontano. Ci sono Clara e Luke, due cugini che iniziano un viaggio spirituale nonché materiale alla ricerca di una bambina, Hope, che cerca il loro aiuto. Poi ci sono due personaggi molto singolari, sto parlando di Keith e Lilith, che dirigono un orfanotrofio in Inghilterra dove accadono avvenimenti misteriosi. Inoltre, questi due personaggi, sono a capo di una immaginaria “Confraternita” dai risvolti molto singolari. Hope, oltre ad avere poteri straordinari, è una delle bambine orfane che vivono nell’Istituto e fin da subito si dimostra il filo conduttore che lega tra loro tutti gli altri personaggi. L’intreccio è fitto e a volte intersecabile.
Gli eventi sono ricchi di colpi di scena, (In alcuni passaggi forse troppi) dove l’amore e i tradimenti sono due ossimori che tengono l’intera impalcatura di tutta la storia. Ho ritenuto il romanzo un po’ troppo corposo e nel quale, il lettore si perde, anche se, in altri, al contrario, ho scoperto nella sua corposità, l’abilità dell’autrice e la buona scrittura. In alcuni punti avrei sfoltito leggermente
per
dare più ritmo alla lettura, più scorrevolezza.
Non ho
trovato idoneo, ad esempio, il modo superficiale, sempre secondo il
mio modestissimo metro di giudizio, di come vengono presentati ed
esposti i passaggi sentimentali nonché i pensieri dei protagonisti.
Tuttavia, devo ammettere, che questa storia, sebbene sia corposa, a
volte ripetitiva, c’è sempre un punto per cui valga la pena di
leggerla. E probabilmente sarà quell’inno alla speranza e
all’amore se questo romanzo merita di essere sfogliato senza remore
alcune. In fondo, come affermava Proust: «C’è
nell’amore una sofferenza permanente, che la gioia neutralizza,
rende virtuale, rinvia, ma che può in ogni momento diventare quel
che sarebbe da molto tempo se non si fosse ottenuto ciò che si
sperava: atroce».
Nell’
insieme mi sento di consigliare questo romanzo, anche se “non
voglio fare spoiler”, avrei eliminato la relazione con alcuni
personaggi vampireschi e lupi mannari...
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