mercoledì 20 gennaio 2021

Recensione Romanzo - BY ANDREA - IL VENTO DELL'ANTOLA di Cristina Raddavero

 















 La storia, ormai divenuta leggenda, di un amore contrastato e tragico nello scabro paesaggio appeninico, tra Piemonte e Liguria.




                     





Il Vento dell’Antola di Cristina Raddavero è l’affascinante storia romanzata di un fatto realmente accaduto nel 1961 a Reneuzzi, piccola frazione di Carrega Ligure nell’alta Val Borbera al confine fra Piemonte e Liguria, ai piedi del Monte Antola.

Oggi Reneuzzi è uno dei tanti paesi fantasma italiani, abbandonato negli anni Sessanta della grande trasformazione dell’Italia da paese contadino ad aspirante potenza industriale negli anni del boom economico.

Un’antica leggenda narra che nel Vento dell’Antola vaghi lo spirito inquieto di “Daniele l’assassino” uno dei personaggi del libro. I nomi del testo sono inventati, ma la vicenda è storicamente documentata.

Siamo nei primi anni 2000. Nora, un’anziana signora nativa di Reneuzzi, accompagna la nipote Livia, studentessa universitaria, in un viaggio a ritroso nel tempo, verso il cimitero di Reneuzzi, dove riposa il corpo di Marta, la ragazza protagonista del tragico fatto di sangue che segnò la fine del borgo di Reneuzzi già provato dalla migrazione verso le città, figlia di Nora. Reneuzzi era collegato alla frazione più vicina, Vegni, solo da un sentiero.

Qua nel 1961 viveva Livia. Fu l’ultima estate di vita del piccolo borgo arroccato sull’Appennino, simbolo della montagna “invisibile” dell’Italia profonda confrontata alle scenografiche Alpi.

Quell’estate Daniele, un ragazzo di circa 30 anni fortemente legato alla sua terra, alla civiltà contadina, ai lupi dei quali si circonda, si innamora follemente di Marta, la sua cugina più giovane.

Inizialmente Daniele sembra essere corrisposto da Marta, ma, forse per le pressioni familiari, forse per le diverse prospettive di vita, la ragazza decide di prendere la sua strada. Alla fine dell’estate anche lei lascerà per sempre l’antico borgo di Reneuzzi per emigrare in città. Una scelta personale che segna anche la fine di un mondo. Daniele, nonostante la relazione con la disinvolta Valeria, non riesce a darsi pace.

L’estate trascorre come sempre placida e tranquilla, tra feste patronali a Vegni, passeggiate, lavoro nei campi.

Ma l’autunno è in arrivo. La mattina della partenza la giovane Marta è fremente di gioia ed eccitazione; Daniele, che per tutta l’estate ha dissimulato la sua rabbia, la invita per un’ultima passeggiata alla Bocca del Leone.

E qua avviene la tragedia: Daniele uccide Marta, mosso da qualcosa di più del classico “amore tossico” che anche oggi causa molte vittime fra le donne, per mano di uomini capaci di accettare un rifiuto.

Daniele l’assassino vaga alcuni giorni fra i boschi per poi uccidersi a sua volta. E alcuni giorni dopo il suo corpo verrà ritrovato e sepolto assieme a Marta nel piccolo cimitero poi abbandonato di Reneuzzi.

Questa tragedia renderà in qualche modo Reneuzzi un paese “maledetto” accelerandone lo svuotamento.

Cristina Raddavero è bravissima nel cogliere la vera anima di questa vicenda: la storia di Daniele e Marta è certamente quella di un amore tossico, di un femminicidio, di un atto autolesionistico finale, forse dovuto a pentimento. Ma l’autrice ne coglie l’essenza di fatto simbolico: la morte di Marta e Daniele l’assassino è l’omicidio-suicidio non solo di due persone, ma anche di un mondo, di una civiltà contadina che oggi nelle grandi metropoli sembra lontanissima e che pure è distante da noi solo una cinquantina d’anni.

Per questo nel libro si avverte una sorta di pietà delle protagoniste Nora e Lidia verso Daniele l’Assassino, un po’ come il Pescatore della canzone di De Andrè. Anche se leggendo ci vediamo davanti con struggimento lo svanire dei sogni di una ragazza di 18 anni pronta ad aprirsi alla vita.

Il viaggio di Nora e Livia è una specie di resa dei conti col passato e col nipote, l’assassino di sua figlia, di sé stesso e simbolicamente di un intero paese.

E ancora oggi qualcosa di quell’antica società sopravvive in quelle vallate e nello spirito delle persone che ci abitano o di cui sono originarie.

E leggendo il libro di Cristina Raddavero viene voglia di fuggire da una quotidianità sempre più assordante e ridondante: oggi più che mai ci chiediamo se valesse la pena condannare a morte quell’antico modello di società invece che trasformarlo.

E viene voglia di salire sino a Reneuzzi, nella montagna dimenticata dell’Appennino, e sentire nel Vento dell’Antola il pianto di Marta e di Daniele l’Assassino.



















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