Felicity Attawey debutta in società con più entusiasmo che disciplina. Ride troppo, parla quando dovrebbe tacere e colleziona sguardi scandalizzati a ogni ricevimento. Sua madre, determinata a sistemarla con un buon partito, ha puntato tutto su un candidato impeccabile: il conte di Leicester.
Al grande ballo della contessa di Dartmouth, Felicity riceve il suo primo carnet da ballo ma, per una svista “innocente” di qualche burlone, il nome che appare al centro del libretto è quello di William Lennox, V duca di Richmond, un uomo celebre per la sua compostezza, il suo distacco e con una reputazione da scapolo irremovibile.
L’equivoco avrebbe potuto risolversi con un freddo rifiuto da parte del gentiluomo – anche perché il padre di Felicity è divenuto baronetto da poco e non vanta nobili natali – ma il destino trascina il riluttante duca sulla pista. Quel valzer imprevisto diventa il fulcro della serata e della stagione: la società non parla d’altro. Perché un duca non balla mai per errore.
Le voci corrono veloci e la povera Felicity si trova imprigionata in una rete di malintesi sempre più intricati, coincidenze imbarazzanti, lettere smarrite e incontri apparentemente casuali che finiscono sempre per metterla accanto a lui.
Alla fine, il nome appuntato per “errore” sul carnet potrebbe rivelarsi il colpo di scena più fatale di tutti, in grado di riscrivere non solo la stagione mondana, ma anche il futuro di entrambi.
Il carnet da ballo pendeva dal suo polso. Era un piccolo cartoncino munito di matita, assicurato a lei tramite una sottile catenella.
Felicity alzò il braccio e lo dondolò davanti al viso della madre.
«Pare quasi che io sia una delle mucche che il nostro vicino di casa tiene nel recinto, con il prezzo attaccato al collo. Anzi, al polso, nel mio caso.» Parlò a voce alta e qualche signora ingioiellata e un paio di fanciulle della sua età si voltarono a guardarla sorprese.
«Sst» sibilò sua madre. Le diede un colpetto al braccio e Filly lo abbassò, soddisfatta. «Andrew, dille qualcosa» sussurrò Beatrice al marito.
«Come, cara?» Suo padre stava sorseggiando un bicchiere di sherry e sfoggiava già due bei pomelli rossi sulle guance: era più che evidente che non aveva seguito il loro scambio.
«Lascia perdere» ribatté pronta Beatrice.
Felicity colse l’occasione per guardarsi attorno: la stanza da ballo della contessa di Dartmouth era molto affollata e caotica.
Le dame presenti parevano aver fatto a gara per risultare il più appariscenti possibili; in confronto ad alcune di loro il suo splendido abito azzurro sfigurava.
«Madre, guardate: quella signora deve aver spennato un’oca per adornare la testa della figlia.» Di nuovo, rise proprio come un maialino, mise una mano di fronte alla bocca per frenarsi, ma un altro orrendo suono le sfuggì.
Indietreggiò, incapace di smettere di ridere; forse stava avendo un crollo emotivo o una crisi isterica, in vista del futuro che l’aspettava, chi poteva saperlo?
Si fermò quando entrò in collisione con un corpo duro quanto il marmo. «Oh, cielo!» esclamò.
Due mani forti si serrarono sulle sue braccia.

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