Jayce Axel Collins, non è un diciottenne come tanti altri. E' scappato dal suo mondo ricco e ovattato per rintanarsi a Northumberland, nel nord-est dell'Inghilterra, un luogo d'innegabile bellezza, dove la sua natura incontrastata appare capace di curare le ferite nel suo cuore. Lui, diffidente e ferito, cerca la solitudine in quella fuga dalla realtà e invece troverà ad accoglierlo Keith. Agli occhi di Jayce non è la persona che desidera avere attorno, Keith è affabile, sicuro e di se e un incallito rubacuori, e sembra interessarsi troppo a lui che vorrebbe solo passare qualche giorno senza pensieri.
La sorte di un vecchio albergo abbandonato, a cui i cittadini della contea sono particolarmente legati, costringerà Jayce a svelare la sua vera identità, complicando il suo soggiorno a Northumberland, lasciando affiorare segreti immorali che torneranno a far visita a ragazzo.
Riuscirà Keith a sconfiggere i demoni che sono giunti per reclamare il futuro del giovane Jayce? Potrà trarre in salvo un cuore ferito e perduto nel mondo, che non chiede altro di essere compreso e amato?
Jayce si era appena concesso una veloce doccia calda che, come d’incanto, si era portata via con sé non solo il fango della sua rovinosa quanto imbarazzante caduta, ma anche la stanchezza di quella prima giornata di libertà. Una giornata che era stata costellata da fin troppe forti emozioni. S’incamminò verso il letto, asciugandosi con una salvietta bianca i capelli ancora umidi. Nonostante fosse a piedi nudi, il pavimento di legno era caldo e gli trasmetteva un’insolita sensazione di benessere. Non gli era mai capitato di provarla e del resto non si ricordava neppure di aver mai camminato senza scarpe sui preziosi pavimenti di marmo della sua casa. Probabilmente il risultato sarebbe stato ben diverso. Si sedette letto ripensando a quello strano individuo che aveva tentato di portarlo via con sé. Chi poteva essere? Non aveva rivelato a nessuno dove voleva andare. Si trattava forse di uno squilibrato del posto? “Bah, capitano tutte a me”, si disse guardando l’anello che si era tolto prima di lanciarsi sotto il getto d’acqua della doccia, lasciandolo sul comodino. Se lo rimise al dito sfiorandolo con delicatezza. Ogni volta che guardava quella pietra cerulea, incastonata con precisione nella struttura dell’anello, la sua mente lo riportava inevitabilmente ai ricordi legati a sua madre e a quel suo ultimo dono. Qualcuno bussò lievemente alla porta della stanza, distraendolo dai pensieri che indugiavano sul prezioso monile. Si rialzò, si tolse l’asciugamano dal capo e, raggiunto l’uscio, aprì la porta. “Tu? Che ci fai qui?” chiese esterrefatto trovandosi dinnanzi a Keith che lo guardò attentamente, prima di scoppiare a ridere. “Oh dio! Ma che hai fatto?” gli disse con ostentata ilarità. Jayce lo guardò perplesso prima di sbuffare seccato: “Non ho chiamato il servizio in camera, quindi vedi di andartene!” Cercò di chiudere la porta ma l’uomo allungò il piede, bloccandola. “Aspetta, ma hai visto come sei conciato?” “Insomma, ma che diavolo vuoi dire?” chiese accostandosi alla parete accanto alla soglia dove era appeso uno specchio. Aveva coperto la ferita sotto lo zigomo con un cerotto che, oltre a essere di dimensioni sproporzionate, era stato applicato di traverso. “Be’, che cosa c’è che non va?” replicò Jayce, consapevole che non poteva dirsi una medicazione ben fatta. “Hai almeno disinfettato quel taglio?” “Ecco, no, non ho nulla per farlo…” Keith sospirò profondamente, alzando gli occhi al soffitto. “Resta qui. Vado a farmi dare la cassetta del pronto soccorso dalla signora Cunard.” “No, aspetta!” esclamò Jayce, seguendolo inutilmente fuori dalla stanza. Era troppo tardi. L’uomo stava già scendendo le scale, sordo al suo richiamo. “Non posso crederci… che vuole da me questo tizio?” mormorò il ragazzo mentre rientrava nella stanza. Richiuse la porta, appoggiandosi con le spalle. Lentamente ritornò verso il centro della camera, ma all’improvviso si accorse di indossare solamente una salvietta legata attorno alla vita. Sbuffò: non poteva di certo restarsene in quello stato. Con frenesia indossò quindi i boxer puliti che aveva lasciato sulla sedia poco distante, buttando via il telo umido al suolo. Afferrò il maglione blu e iniziò a infilarselo, quando sentì la porta riaprirsi. “Fermo, non entrare!” esclamò dimenandosi. Non impiegò molto a comprendere che aveva infilato la testa in una delle maniche anziché nell’imboccatura del collo, anche perché la maglia non si calava e lui era rimasto intrappolato tra la stoffa. Al buio perse l’equilibrio e sentì prossima un’altra brutta caduta, ma stavolta si sentì afferrare da qualcosa che lo tenne sospeso a mezz’aria. Delle mani lo sorressero e lentamente, con delicatezza, lo aiutarono a guidare il capo verso la giusta apertura del maglione. Quando Jayce rivide la luce, si trovò davanti al sorriso di Keith. “Lo sai, eri davvero divertente” gli confessò quello, stropicciandogli di nuovo i capelli come se fosse un bambino e non un uomo estraneo che gli stava davanti. E nella sua stanza tra l’altro. “É tutta colpa tua! Non si entra in camera di qualcuno senza bussare!” s’infervorò, incrociando le braccia al petto. “Avanti, vediamo di medicare la tua ferita” disse Keith, facendolo accomodare sul letto. “Guarda che non è necessario - fece notare il ragazzo tenendogli il broncio - non sono di certo in pericolo di vita per un taglietto da poco.” “Può darsi - ammise l’altro, staccando con attenzione il cerotto - ma questo piccolo taglio, se non ben curato, potrebbe crearti qualche problema e rovinare questo viso così adorabile.” “Risparmiami i tuoi commenti inopportuni.”
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