Miwgu è un giovane ingegnere che lavora in un anonimo ufficio di una metropoli italiana. La sua è una vita grigia e ripetitiva come tante, lavoro, famiglia, qualche piccolo svago, segnata dalla perdita dei genitori in età infantile.
Miwgu si sente stretto in questa vita sempre uguale, apparentemente perfetta, ma pervasa da un senso di vuoto.
Un giorno, come fosse da una forza interiore, si mette in viaggio senza una meta apparente verso l’Oriente, alla ricerca di sé stesso e una vita più autentica.
Come se fosse pervaso da una forza misteriosa. Mollo tutto…chiudo il gas e vado via (titolo anche di un romanzo di Emily Barr) quanti di noi lo hanno pensato? Soprattutto in questo pesantissimo periodo e in questi ultimi anni in generale, con uno stile di vita sempre più condizionato dalla tecnologia e dalla burocrazia.
La sua non è una fuga improvvisa: Miwgu parla con la moglie, che gli propone una breve vacanza nella casa di famiglia, al mare o in montagna; ma lui è deciso a partire verso l’ignoto. Inutili i pianti della donna, incolpevole per l’insoddisfazione del marito, che viene da lontano, dall’infanzia. Miwgu parla anche con il capoufficio, il quale gli confessa di aver avuto una crisi simile a trent’anni.
E così Miwgu parte, per quello che inizialmente sembra essere solo una lunga vacanza per ritrovare sé stesso, una specie di anno sabbatico. Con lui ci sono altri viaggiatori e un giorno si ritrovano a visitare la zona del Laos abitata dalla tribù Akha, rimasta relativamente isolata dal mondo. “La vista di quelle capanne, di quelle persone tutte scalze, adulti, bambini mischiati alle bestie, vacche, galline, anitre, cani, maiali, gli attraversò il corpo come un fulmine. Si sentì magicamente sbalzato indietro di mille anni”. Forse è arrivato il posto dove fermarsi, dopo aver chiesto l’approvazione del vecchio capovillaggio.
La ricerca dei tramonti, la notte del silenzio, una nuova vita inizia per Miwgu che decide di fermarsi definitivamente nel villaggio degli Akha. E nel villaggio riscoprirà dopo anni di torpore anche l’amore con la bellissima e pura Yin “sprofondava dentro Yin con una voluttà e un desiderio di gioia terrena mai provato in precedenza”.
Miwgu (inteso come libro, non come personaggio) non è un romance classico e questo non può essere il suo lieto fine. Il viaggio iniziatico e interiore di Miwgu conoscerà ancora molte fasi prima di tornare in qualche modo da dove era iniziato. Il libro, pervaso da un’atmosfera irreale e magica, assume una connotazione spiccatamente fantasy nella seconda parte.
Miwgu racconta un viaggio fisico che è soprattutto un viaggio interiore, della crisi che diventa, come da etimologia greca, opportunità per rovesciare il tavolo e cambiare vita.
Il tono del libro è molto particolare, una specie di realismo magico che personalmente mi ha ricordato alcuni autori francesi come Alain Robbe-Grillet e Raymond Roussel, in particolare Impressions d’Afrique. Tutto costruito come la metafora di un viaggio che alla fine porta alla pace interiore.
“La crisi deve essere affrontata e alla sua fine giungere” afferma l’autore nella postfazione.
Miwgu affronta anche tematiche sociali, come la “gabbia d’acciaio” come diceva Max Weber della nostra società iper-razionale e la voglia di fuggire da essa. Una volontà ben raccontata dal libro Nelle terre estreme di John Krakauer (dal quale è stato tratto il film Into the Wild) in Chiudi il gas e vieni via di Emily Barr e nel film Captain Fantastic di Matt Ross.
Un libro sorprendente, che rivela una profonda cultura letteraria dell’autore e che affronta temi poco battuti dalla lettura italiana. Consigliato a tutti e in particolare a chi non vede l’ora di fuggire.
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