Sullo sfondo di una Liguria arroccata tra cielo e mare, le vicende di Arianna, dall'infanzia all'età matura, raccontate con sereno distacco e un pizzico di ironia. Un dramma familiare moderno che, con la leggerezza di un battito d'ali, non volge mai in tragedia grazie all'incrollabile forza dell'amore. La protagonista, nata e cresciuta senza l'amore materno, riuscirà infatti a uscire dal suo labirinto tirando fuori tutta l'energia positiva e costruttiva trasmessale dal padre e tenuta soffocata dalla malattia della madre. Un racconto che rimanda, per analogie di contenuto e di impalcatura narrativa, al "Notturno" op. 48 n. 1 di Fryderyk Chopin.
Arianna salutò il dottor Bellone sulla porta dello studio, scese i pochi gradini che portavano all’androne, sgusciò fuori dal portone e si avviò verso casa, come succedeva ormai da quattro anni, due volte alla settimana.
Si incamminò lungo il marciapiede della vecchia strada Aurelia e poco dopo si fermò. Appoggiò la borsa a terra e si affacciò al muretto che dava sul mare. Guardò l’immensa distesa blu, quel giorno calma e silenziosa. Sotto di lei il binario della ferrovia e quindi lo strapiombo della scogliera, grigia e bianca tipica di quella parte della Liguria. A sinistra il Parco di Villa dei Pini; alla sua destra un minuscolo giardino ben curato: piccolo lembo strappato a una terra dichiaratamente ostile all’uomo, dove il verde del monte e il blu del mare si incontrano continuamente in un gioco di colori e di trasparenze. L’acqua era cristallina: da lassù Arianna riusciva a contare i piccoli massi adagiati sul fondale; le sembrava quasi di poterli toccare con un dito, se avesse allungato il braccio, come fossero a portata di mano; avrebbe giurato di vedere un paio di ziguele fluttuare sinuosamente nelle macchie scure delle posidonie. Qualche anno prima, dalla ferrovia, avevano gettato del pietrisco verde: sassi provenienti chissà da dove. La velleità di dare a quella piccola baia un tono da spiaggia vagamente esotica. Pochi inverni e i ciottoli erano stati portati via dal mare. Si erano confusi nel fondale con i loro compagni grigi ma riuscivano ancora a dare qualche sfumatura di verde smeraldo al colore del mare. Una tonalità particolare, diversa dal resto della tavolozza.
Arianna aveva appoggiato le mani sul muretto e teso le braccia, e si era sbilanciata un poco in avanti mentre il suo sguardo si perdeva nell’infinito dell’orizzonte. Avidamente assaporò con gli occhi il panorama, con immutato stupore, come fosse la prima volta. La seduceva e rapiva, si sentiva attratta come un pezzo di ferro verso la calamita.
Un gabbiano reale planò
davanti a lei, leggero; virò dolcemente, puntò il muso verso il
basso e scese in picchiata sul mare su una probabile preda.
Arianna
posò lo sguardo su di lui e sorrise: “Papà”, mormorò a fior
di labbra, come per chiamarlo.
Trasse un profondo respiro,
restò con gli occhi incollata sulla bianca creatura del cielo,
attese qualche attimo e quindi precipitò insieme a lei.
Qualche
minuto prima, nello studio del suo psichiatra, si era paragonata a un
pomodoro svuotato.
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