Novembre è il mio mese preferito. Si sta bene, non fa ancora troppo
freddo e la frenesia delle feste è appena cominciata. Come ogni
mattina, la sveglia emette quello strano sibilo quasi impercettibile
che sveglia solo me e riesce ad alzarmi dal letto dolcemente; così ho
la possibilità di fare colazione prima degli altri.
Vado in cucina, preparo il mio tè e lo sorseggio ancora bollente. Dieci
minuti di silenzio che gusto fino all’ultimo secondo. Fin quando…
«Mamma!»
La belva si è svegliata.
«Amore della mamma, calmati, arrivo!» La prendo e la porto giù.
Ha tre anni, si chiama Adele ed è mammona all’ennesima potenza. La
segue a ruota la mia primogenita Letizia, otto anni, fortunatamente
più autonoma – si fa per dire –, che si dirige verso il bagno ancora
con
gli occhi chiusi e scaraventa il pigiama dove capita.
Spesso mi chiedo dove abbia sbagliato nell’educare le mie figlie: non
mi sentono neanche. Non riesco a capire quale stregoneria venga usata
per far mettere in ordine i giochi, le mutandine sporche dentro il
portabiancheria e magari anche le tazze della colazione nel
lavandino. Chiedo troppo?
Sì.
«Buongiorno». Ecco mio marito dirigersi verso il bagno in “modalità
Letizia”, tranne che per il pigiama scaraventato. Credo che quella sia
l’unica parola che gli esca dalla bocca prima di aprire la porta e
andare a lavoro. Si sa, sono uomini, sono di poche parole… soprattutto
al mattino. Peccato.
Sapete, io invece sono una gran chiacchierona; mi piace anche
ascoltare, ma capisco che non possiamo essere tutti uguali. Perciò me
ne faccio una ragione.
Intanto proseguono i preparativi per cercare di uscire di casa in
orario. Accompagniamo la prima figlia a scuola e la seconda
all’asilo. Mio marito va a lavorare e io torno a casa.
Non lavoro da circa sei mesi ed è la prima volta che mi succede da
quando ho compiuto diciotto anni. Non sono abituata a stare a casa e
fare la casalinga e, ad essere sincera, a quarant’anni suonati sto
riflettendo davvero su un futuro diverso.
Perlustro accuratamente la zona salotto per vedere che cosa c’è da
fare, e onestamente avrei tanto “da fare”, ma le faccende domestiche
non sono il mio forte. Non fraintendetemi, la mia casa è abbastanza
pulita, quindi… è appunto “abbastanza pulita”.
Opto per la cucina. Preparo montagne di verdure fresche che congelo
per i pasti futuri, e poi passo ai secondi; spesso però mi accorgo che
manca qualcosa e così esco a prendere il pane, ad esempio, e aggiungo
un saluto alla tabaccaia e un caffè al bar. E poi ancora casa.
Se non ho lavatrici da fare e la casa è abbastanza accettabile, mi
dedico a sistemare quei cassetti che di norma dovrebbero già essere in
ordine, così subito dopo posso dire: “Bene! Sono già le undici e tre
quarti. Devo preparare la tavola!”
Mio marito arriva quasi tutti i giorni per l’una e mezza, quindi il più
delle volte, per non mangiarmi il tavolo, inizio a sbocconcellare
qualcosa; ho troppa fame, una fame anomala e mi rendo conto che,
oltre al cibo, divoro la noia che mi circonda.
Ecco mio marito che esordisce con un: «Novità?» Novità… ma quali
novità? Per circa cinque secondi penso alla risposta, ma non
partorisco niente ed esce il solito «Tutto bene». Ma tutto cosa?
Stare
a casa è noioso! Ti puoi riposare, è vero, e decidi tu i ritmi con cui
programmare le faccende. Ma davvero c’è chi sceglie spontaneamente t
utto questo?
Mi sono data anche alla lettura, ho letto più libri in questo periodo
che nell’ultimo decennio, e questo è positivo; mi hanno aiutata molto,
ma soprattutto mi hanno fatto compagnia.
Stando a casa perdi un po’ il contatto col mondo. A fine giornata mi
piacerebbe poter raccontare qualche episodio lavorativo e invece mi
ritrovo a parlare di sconti sugli ammorbidenti. Tutto questo
ovviamente non interessa a nessuno. Le mie amiche lavorano e spesso
senza capire il mio dolore se ne escono con la solita frase: “Beata te
che stai a casa…” Certo, beata me.
Di solito mando loro il mio sorriso più finto; altre volte non ho
neanche voglia di recitare, così faccio finta di non aver sentito e
cambio discorso.
Al pomeriggio vado a prendere le bimbe a scuola, l’euforia di poter
avere un pretesto per uscire non ha eguali, ma nonostante non le
abbia viste per tutta la mattina mi sento scarica appena entriamo in
casa. Ma è normale? Il senso di colpa, che accompagna questa mia
sensazione giornaliera, mi schiaccia a terra come se fossi un insetto
inutile. Questo senso di inadeguatezza nel fare la mamma e la brava
donna di casa va in contrapposizione con quello che la società si
aspetta da me e non parlo solo degli estranei, ma della mia stessa
famiglia. Se ne stanno lì a compatirmi e a dirmi che dovrei fare
qualche torta in più, leggere qualche fiaba in più, giocare un po' di
più
con loro; come se questa fosse la soluzione. Il problema non è
quello che dovrei fare con loro, ne sono sicura e certamente non
ricordo di aver chiesto un parere a proposito, ma quello che ricordo
è
che non mi prendo più cura di me stessa, da troppo tempo ormai ed è
per questo che adesso mi sento smarrita. E per prendermi cura di me
non intendo giornate intere in una SPA – anche se ogni tanto ci
vorrebbe-, semplicemente trovare il coraggio per farsi delle domande
e nel migliore dei casi darsi anche delle risposte. Troppo difficile, lo
so.
Ovviamente tra compiti di matematica, impegni e attività sportive –
delle bimbe –, passo velocemente dal ruolo di maestra a quello di
taxi. Ed è molto interessante, soprattutto se pensi che non ti è
riconosciuto; in fondo sei a casa, sei molto fortunata. Davvero? Mah!
Oggi è venuta a trovarmi Francesca, la mamma di una compagna di
Letizia. Mi ha scaraventato addosso tutta la sua frustrazione dicendo
che è delusa da me perché mi sono un po’ allontanata. E’ vero l’ho
fatto. Chissà perché le persone non si chiedono mai che cosa spinga un
essere umano all’evaporazione sociale. Spesso è voluta e altre volte è
forzata.
Nel mio caso sono entrambe le cose.
Dopo un periodo, come dire, faticoso, ho deciso di formattare la mia
vita. Non pensavo fosse così difficile, ma quando non puoi farne a
meno
devi decidere sul da farsi al più presto o vieni inghiottita dalla
“lingua nera”; che poi non sai neanche dove deciderà di digerirti, ma
dal
momento che il nero non è il mio colore preferito opto per qualsiasi
altra strada.
Ritornando a Francesca, cerco di spiegarle il mio brutto periodo e lei
quasi si sente in colpa per avermi giudicata male.
Non mi sono vergognata nel dirle che soffro di stati d’ansia. Non
starò
qui a spiegarvi i motivi per cui ho attirato questa “patologia”, né
tanto
meno le problematiche che una persona deve affrontare una volta
entrata in questo tunnel. È solo un brutto periodo e spero vivamente
di riuscire a superarlo.
Ci spero da quasi due anni e ogni giorno ringrazio il cielo per i miei
progressi. Sono sempre stata una ragazza carina, simpatica e piena di
amici, sempre in modalità ON. Semplicemente ora sono in modalità
OFF. Capita.
«Bè, se proprio vuoi saperlo, mi sono inventata un sacco di scuse per
non uscire con te, il più delle volte. C’erano dei momenti in cui non
riuscivo proprio a gestire le crisi, e perciò…», dico di getto a
Francesca, liberandomi.
«E perché non me lo hai detto prima? In qualche modo avremmo
potuto…»
«Fare niente!», la interrompo. «Sono cose che devo risolvere da sola.
E
poi alla gente non piace avere a che fare con questi problemi»,
sospiro.
Mi abbraccia forte e non dice più nulla. In fondo anche lei è mamma,
è
di tre figli per giunta, quindi credo che un po' mi possa capire. In quel
momento mi sento più leggera; mi sembra davvero dispiaciuta e
quell’abbraccio, per me, è più importante di mille altre parole.
Verso sera avverto un formicolio strano su tutto il corpo, quasi
impercettibile a dire la verità, e molto piacevole. È davvero bello
poter dire quello che si pensa senza nascondersi dietro a dei sorrisi di
cera ed oggi pomeriggio ne ho avuto conferma. Ora posso andare a
dormire tranquilla; diciamo come sempre “tranquilla”, ma è quella
tranquillità che fa quasi paura.
Prima di addormentarmi rifletto su come cambiano le amicizie nel
tempo. Dicono tutti di conoscerti bene ma nessuno è in grado di capire
quando stai male. Anzi, presi da mille cose quasi ti scansano, perché
in
realtà le persone avvertono che c’è qualcosa che non va, ma sarebbe
troppo faticoso spendere energie per starti vicino. Per fortuna, in quei
momenti si ha la lucidità di vedere con altri occhi quello che ti
circonda, focalizzando chi resta e chi se ne va. È un passo molto
importante della vita.
Al mattino seguente, ancora quel sibilo nell’orecchio: “Dai Sara,
alzati!” Il disperato bisogno di zuccheri mi trascina fino in cucina.
Avanzo lentamente e mi metto a guardare attraverso la finestra. A
quell’ora il tempo sembra si che possa fermare. Se non fosse per
qualche auto che inizia a percorrere la strada davanti casa, penserei
a
un fermo immagine con me come protagonista principale.
Me ne sto immobile per qualche minuto e guardo le montagne già
innevate, sono proprio immense.
Di solito fisso un punto preciso, il più alto, e con la mente mi
immagino esattamente lì; poi rido perché soffro troppo il freddo e
non
reggerei neanche mezzo minuto.
A un certo punto il film si interrompe, sento il borbottio dell’acqua
calda. È ora della tisana mattutina.
Passano quindici minuti e tutta la famiglia è in cucina a fare colazione.
«Ma ancora questi biscotti?», borbotta Letizia.
«Ringrazia di averli sul tavolo ogni mattina», rispondo nervosa.
Mi rendo conto di quanto siano piccoli i problemi a quell’età, ma non
riesco a lasciar perdere; vorrei farle capire dei concetti di base, ma il
più delle volte non ci riesco. Sono scarica già dal mattino.
Ovviamente
la piccola, imitando la sorella, mi propone la stessa scena qualche
minuto dopo.
Basta, ci rinuncio.
Come siamo arrivati a non riuscire ad imporci con le nostre figlie?
Mio marito scende in cucina e come un fantasma si prepara, mi sente
sgridare le bambine e non batte ciglio, e quando si siede a tavola
lancia loro un sorrisone. Bene!, mi dico, e così viene accentuata la
parte della strega cattiva. Meglio sorvolare, è davvero tardi per
aprire un dibattito sull’argomento. Rischiamo di trovare chiusi i
cancelli di scuola.
Con un sorriso da ebete saluto la piccola mentre mi allontano
dall’asilo.
«Ciao amore, fai la brava oggi». Salgo in macchina e rifletto sul
fatto che la mia vita sociale terminerà tra pochi minuti, quando
spalancherò la porta di casa e l’eco del salotto mi stringerà a sé
pronto a divorarmi.
Il rumore dei miei sospiri mi ricorda la bronchite di mia figlia di
qualche anno fa. È proprio vero che più c’è silenzio fuori e più riesci
a
sentirti dentro.
Mi dicono di trovarmi qualcosa da fare per occupare il tempo. Già, Il
Tempo. Non voglio creare un diversivo qualunque che copra i miei
sospiri, ma vorrei che proprio questi sospiri mi indicassero la strada
giusta per migliorare, dal momento che molto gentilmente mi
accompagnano per gran parte della giornata. Chiedo troppo?
I miei pensieri filosofici vengono interrotti dal trillo del mio
cellulare.
«Ciao amore! Come stai?» È sempre squillante la mia amica Monica.
«Come sempre. Niente di nuovo», rispondo con l’entusiasmo di un
bradipo.
«Dai Sara, è un solo un periodo. Passerà. Perché non scrivi? È
terapeutico, lo dice sempre mia zia».
Vorrei dirle che non ho tempo, ma sarebbe falso. La verità è che a
volte ho paura di farlo, perché smuove sempre qualcosa dentro di me.
Che poi non sarebbe neanche tanto negativo, ma è più facile non
vedere
a volte. «Magari oggi ci provo. Okay?», farfuglio.
Sembra quasi che debba farle un favore, immagino la sua faccia
mentre vorrebbe dirmi: “Ho quarantasei anni! Pensi che non abbia
capito che stai scappando?”
Ma Monica è così, lei non supera mai i confini, non invade il tuo
spazio
ma cerca di condividerlo con te nel migliore dei modi; ed è per questo
che le voglio bene.
«Ascolta, noi ci sentiamo dopo», mi dice, «anche perché se non ti sento
quattro o cinque volte al giorno mi preoccupo, lo sai». Scoppiamo in
una risata scema e chiudiamo la telefonata.
Col sorriso da quindicenne stampato sul viso fisso il telefono, come
se
lei potesse vedermi.
Nel frattempo mi ricordo di guardare l’ora – neanche avessi chissà
quale appuntamento – e la mia testa parte con i suoi soliti pensieri.
Penso a quanto sia importante essere realizzati, cercati, capiti.
Quanto
sarebbe bello alzarsi con una motivazione vera che brucia ogni tuo
dubbio. Riuscire a non pensare mai a quando arriverà sera, ma
accorgerti che è già sera! Andare a letto soddisfatti e pieni d’amore,
così pieni da poterne dare agli altri e ricevere ulteriore soddisfazione.
Mi commuovo solo al pensiero. Sono lacrime di gioia, che mi fanno
vibrare l’anima e che si interrompono bruscamente quando scorgo la
pila di panni da stirare nella camera da letto. Dai super-mamma, c’è
del lavoro per te! Non sei contenta?
Come no.







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