Anno 1994
È luglio e fa un caldo insopportabile. Sto cercando di fare i compiti
delle
vacanze mentre grondo di sudore e nel frattempo penso a cosa poter
barattare con mia madre per uscire questa sera: passare
l’aspirapolvere?
Lavare i piatti? Cosa potrebbe convincere quel generale di mia madre?
Mi sembra abbastanza ridicolo dover faticare così tanto per quello
che
dovrebbe essere un mio diritto, ma a quanto pare questo è un pensiero
che
non tocca minimamente i miei genitori. Ho sedici anni e ho terminato
con
successo il terzo anno di Ragioneria, quindi meriterei di uscire come
tutte
le mie coetanee e non come se fossi ancora alle medie.
Oltretutto devo sempre fare tutto da sola in questa lotta per la
libertà,
perché se aspetto l’aiuto di mia sorella se ne parla in un’altra vita.
Sto tamburellando la penna sul foglio bianco da un bel po' ormai,
non ho
per niente voglia di fare questi maledetti compiti e poi io odio
matematica.
A cosa mi dovrebbero servire queste cavolo di equazioni? Mi impegno
tanto, ma poi il risultato non è mai giusto, certo, potrei chiamare
Eugenio
il secchione, abita proprio nel mio palazzo, c’è solo un problema: è
innamorato di me, di conseguenza dovrei vedere la sua bava cadere per
tutto il tempo sui miei quaderni. No, grazie.
«Clara!!!», urla mia madre senza
ritegno. «Quante volte ti ho detto che la
roba da lavare la devi mettere nel portabiancheria?»
«Uffi!! Sei sicura che la roba è mia? Non può essere di Silvia?»,
rispondo.
«No. Silvia dice che la roba è tua! La sua è già piegata nel
portabiancheria».
«Cosa la piega a fare se tanto andrà a finire in lavatrice?, continuo in
modo acido.
«Adesso basta!!! Vai subito a mettere la roba in ordine!!!!»
Mia madre mi viene incontro come una furia e mi sembra anche di
vedere
del fumo uscirle dal naso, mi scappa da ridere, ma mi trattengo,
potrebbe
uccidermi all’istante se solo lo facessi. Scatto come una molla dalla
sedia – ormai ho imparato a schivare colpi inaspettati - e mi dirigo in
bagno per
adempiere al mio compito, ecco mia sorella in un angolo che ride
come al
solito delle mie disgrazie. Si chiama Silvia, ha quattordici anni ed è
l’opposto di quello che sono io, sia fisicamente che caratterialmente.
Lei
ha gli occhi azzurri e i capelli biondi e io sembro uscita da un camino
sporco, lei è calma e tranquilla ed io la pecora nera, insomma una
sfiga
unica come sorella.
«Non hai niente da fare tu?!? Cos’hai da ridere?» La guardo infuriata
mentre continua a sghignazzare.
«Niente figurati, pensa se ti vedesse Ivan in questo momento…», mi dice
così a bruciapelo.
Ivan è il ragazzo più bello che abbia mai visto, è più grande di me di
tre
anni, ha i capelli neri e gli occhi blu come il mare. Lui sa a malapena
che
esisto, non ci hanno mai presentati, ma essendo il cugino del fidanzato
della mia amica Simona è capitato di incontrarci qualche volta e di
scambiarci un saluto. Bè, è già un inizio! Ogni volta che sento il suo
nome
mi infiammo immediatamente, soprattutto se Silvia si prende gioco del
mio amore.
«Non ti azzardare a pronunciare il suo nome!!», le urlo infuriata.
Subito dopo le scaravento le mie mutande sporche addosso e lei si
mette a
piangere chiedendo aiuto a mamma come se stesse cadendo da un
dirupo.
Mia madre in meno di un secondo è in bagno, mi chiedo se abbia delle
ciabatte particolari, perché quando cammina non la sentiamo arrivare,
ma
quando me le tira addosso le sento eccome.
Inizia la solita colluttazione verbale e non solo, odio quando si
toglie la
ciabatta e la sventola per aria, sembra una pazza e poi odio quando
la
parcheggia sul mio sedere per motivarmi nell’impresa. Cerco sempre di
dimenarmi come posso, ma qualche ciabattata la prendo comunque.
Questa volta però non riesce a prendermi subito, sono una saetta e lei
sta
per esplodere ad ogni colpo mancato, mia sorella fa finta di piangere
ed io
dal nervoso la spingo verso il muro. Peccato che l’urto faccia cadere
un
vaso dalla mensola del bagno. Ops! Non è “un” vaso, è “il” vaso.
Quello
che zia Assunta ci ha regalato la scorsa estate in onore della laurea
del figlio.
Mia madre si ferma di colpo e fissa i cocci sul pavimento, sembra che
non
stia più respirando. C’è un’aria strana in questo momento, non saprei
decifrare esattamente i suoi pensieri, ma forse ho qualche vaga idea.
Si
rimette la ciabatta ai piedi e come da copione tira fuori l’asso nella
manica. «Clara». Prende fiato. «Stasera non esci!»
Ti pareva!! Preferivo le ciabattate. Il generale apre la porta del
bagno –
che ha chiuso per non farmi scappare - e se ne va in cucina senza più
voltarsi. In questo momento è meglio non controbattere, ormai mi
sono
giocata la serata e la possibilità di vedere Ivan.
Questa sera avrei potuto vederlo di sicuro, ma come al solito sono in
punizione, tanto ogni cosa che faccio è sempre un’occasione per non
farmi uscire di casa. Ci sono le giostre in paese e sicuramente lui sarà
lì
con un sacco di ragazze intorno. Ed io? A casa. Non posso neanche
chiamare Simona - la mia amica - per sfogarmi perché mia madre
controlla il telefono di casa, lo ha spostato in cucina, così lo può
tenere
tutto per sé. Non mi resta che preparare la tavola per la cena e
contenere
la mia rabbia come se nulla fosse.
Dopo aver apparecchiato mi siedo al mio posto e fingo interesse per il
cibo, in realtà mangio quello sformato di zucchine a forza e subito
dopo
mi chiudo in cameretta. Continuo a rigirarmi nel letto nervosamente
da
quando abbiamo finito di cenare, mia sorella sta giocando con un mini-
flipper e i miei genitori sono in cucina come tutte le sere a parlare di
parenti; mi chiedo: cosa cambia per mia madre sapermi sul letto come
una scema, piuttosto che alle giostre con gli amici? Avevo preparato
questa serata da settimane e lei ha rovinato tutto!! Mi conviene
cercare di
dormire adesso, almeno avrò la possibilità di sognare. Prima però,
prendo
il mio diario segreto e voglio scrivere tutto quello che sto subendo,
così
un giorno, quando sarò grande, avrò le prove di tutto questo e mia
madre
non potrà che sentirsi in colpa.







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