È luglio a Bologna: il cielo pesante, il caldo che preme. Mattia è sul treno del venerdì dopo la sua settimana da studente universitario, assorto come d’abitudine in un Dylan Dog. Quando, a un tratto, un calcetto a piede nudo lo distoglie dalla lettura: «Ce l’ho anch’io, quello». È Sara, capelli rossi e una confusione di lentiggini.
Lungo lo sferragliare delle rotaie, i due iniziano a parlare e si perdono presto in una dimensione tutta loro; tanto che, nel momento in cui dal finestrino lei scorge la sua stazione e scende di fretta, per l’altro è già scattato il più infantile dei colpi di fulmine.
Questo almeno racconta Loris, amico fraterno del protagonista e divertita voce narrante, che segue Mattia nell’evoluzione dei suoi ‘neuroni malmessi’. È Loris la spalla che lo regge quando lui s’irrigidisce e cambia. E lo sarà ancor più, insieme a una colorata schiera di personaggi e con un gatto nero a tenere il punto, di fronte a una patologia che li travolgerà senza preavviso. Fatta di insidie, passi incerti e stereotipi da sovvertire.
“Quelli che un mondo perfetto se lo sono ritrovati in mano senza meritarlo, senza aver fatto niente per quel punto in più nella scala di salvezza. Loro che magari non lo sanno neanche usare, quel mondo. Ce l’hanno e non se ne fanno niente.”
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