Da quando i suoi genitori sono stati uccisi, Vivienne si è sempre sentita fuori posto, sballottata a destra e a manca in affidamento a diverse famiglie. Proprio quando l’indipendenza sembra finalmente possibile, pochi giorni prima del suo diciottesimo compleanno, è ricoverata in ospedale con sintomi che nessuno riesce a spiegare. Malgrado le perplessità dei medici, Deacon, un misterioso ragazzo, sostiene che abbia un Nevergene attivo. Quella diagnosi inverosimile è accompagnata da un avvertimento: Vivienne sta per diventare una cavia inconsapevole per la Humanitarian Organization for Order and Knowledge (l’Organizzazione Umanitaria per l’Ordine e la Conoscenza) – detta H.O.O.K. –. Per sfuggirvi, Vivienne si rifugia alla Neverland's Kensington Academy e impara a volare (volare per davvero), altrimenti rischia di diventare una cavia umana. Ma accettare un posto tra i PAN significa per lei abbandonare la sua vita e la sua famiglia adottiva per salvaguardare i segreti di Neverland... e rimanervi per sempre…
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«Sei già vestita?» chiese una voce maschile da dietro la tenda. «Si sta facendo tardi e dobbiamo proprio andare.»
L’accento britannico la fece sorridere. Aveva sempre avuto un debole per gli accenti. «Sì, ho finito.» Raggiunse la tenda per vedere chi fosse il suo accompagnatore. Il ragazzo era appoggiato con una spalla allo stipite della porta. E wow. Semplicemente wow. Zigomi alti, mascella affilata, naso dritto, e bocca...
Sapeva che era scortese fissare, ma non poteva farne a meno. Non era solo bello. Era bellissimo.
«Era ora che ti liberassero dai macchinari» disse lui. «Pensavo che avrei dovuto farlo io.» La sua testa si inclinò e le sopracciglia si unirono mentre studiava il suo abbigliamento. Gli occhi erano della più insolita tonalità di verde, profondi e vivaci, come un campo in piena primavera. «Hai qualcosa di più scuro da indossare?»
«Più scuro?» Vivienne abbassò lo sguardo sulla felpa gialla. Il colore aveva davvero importanza? «Uhm... no?»
«Dovrà bastare, allora. Sei pronta ad andartene?»
«Con te?» afferrò la sponda del letto, leggermente spaventata.
L’angolo delle labbra di lui si sollevò in un mezzo sorriso. «Non posso lasciarti andare da sola.»
O le sfuggiva qualcosa o questo tizio era nella stanza sbagliata. «Chi sei?»
Lui la ignorò incamminandosi verso le sue cose sparse sul letto che iniziò a raccogliere, compresi i libri. «Se ti sbrighi, te lo dico.»
Un ragazzo misterioso, che a quanto pareva nessun altro poteva vedere, le stava chiedendo di andare con lui… chissà perché le sembrò un’ottima idea. Prese il bicchiere di plastica dal tavolo e bevve finché l’acqua fresca non finì. «Per quanto la tua offerta sia intrigante» gli disse, «resterò qui ad aspettare il dottore.»
Invece di andarsene, quello continuò a infilare le cose nello zaino. Quando ebbe finito, le afferrò saldamente il polso; aveva dita fredde e sottili.
«Ma che diavolo fai?» Vivienne cercò di allontanarsi, ma la presa di lui si rafforzò.
Gettandosi la borsa sulle spalle, la trascinò verso la porta come un secondo bagaglio. Ficcò la testa nel corridoio, presumibilmente per controllare se ci fossero stati testimoni, poi la spinse verso la tromba delle scale.
«Lasciami andare!» si ribellò, inciampando all’indietro. Il suo grido riecheggiò tutto intorno, nel vuoto.
«Puoi andare, se vuoi.» Lui agitò la mano verso una porta prima di controllare l’orologio d’argento che aveva al polso. «Il cosiddetto specialista da cui ti vogliono mandare ti ucciderà. Ma vai, sei assolutamente libera di farlo.»
Ucciderla? Non poteva essere vero. Chi poteva avere interesse per una noiosa diciassettenne dell’Ohio? Perché qualcuno avrebbe voluto vederla morta?
«Oppure…» aggiunse, tirandosi su il cappuccio e facendole l’occhiolino, «puoi venire con me.»
Vivienne esitò, ovviamente non gli credeva, ma tornare in camera non le sembrava una buona idea. «Come faccio a sapere che non sarai proprio tu a uccidermi?»
«Perché sto cercando di salvarti.»
«E allora? Sei come... un angelo custode?»
Il sorriso che le rivolse profetizzava oscure promesse. «Qualcosa del genere.»
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