Il giorno dopo si congedò dal fratello e si diresse verso la casa dei nonni. Mentre guidava, la sua mente fu attraversata da un’intuizione, un lampo di genio improvviso. Ma è ovvio! pensò, se Conrad ha detto che nella casa non c’è più nulla, solo pochi mobili perché tutto il resto è già stato portato via e l’unica cosa di una certa dimensione che rimane è la libreria dagli scaffali ormai marci, tutto diventa chiaro… dietro quell’alta libreria si trova di sicuro la porta d’ingresso alla stanza misteriosa.
Finalmente giunse a destinazione. Il bosco regnava sovrano e dal cancello la casa non la si scorgeva nemmeno. Come è tutto diverso... pensò Suzy il tempo non ha pietà e trascina come un fiume in piena tutto ciò che trova sul suo percorso. Forse ha proprio ragione Conrad. Cosa credo di trovare lì? Ormai non c’è più nulla. Forse non esiste nemmeno la famigerata stanza… forse non ritroverò più lo spirito del luogo che tanto amavo. In fondo, nella vita le cose cambiano, non si può vivere come degli eterni Peter Pan.
Vide la casa, era ancora lì e, a eccezione del bosco che aveva conquistato nuovi spazi, il resto era molto simile a come l’aveva visto l’ultima volta. Tirò un sospiro di sollievo, mentre un’emozione incontenibile le cresceva dentro come un albero rigoglioso.
Inserì la chiave nella serratura che si aprì senza sforzo. La casa era umida e buia. C’erano soltanto le ragnatele a spezzare qua e là il vuoto assoluto delle stanze. Ed ecco, la libreria. Suzy spostò con grande lentezza e fatica il pesante mobile. Non si sbagliava: sul muro retrostante spiccava una porta dalla vernice color rubino, scrostata qua e là. La chiave consegnatale dalla nonna anni prima si inserì perfettamente nella serratura, girò senza sforzo e la porta si aprì nel buio. Il cuore le rimbalzava veloce nel petto. La stanza era impregnata di un forte odore di vernice e di legno, frammisto a qualche nota di stantio. Non si sarebbe aspettata di sicuro un profumo di rose in un ambiente rimasto chiuso tanto a lungo, tuttavia il velato sentore di muffa quasi la sorprese. L’intenso odore di vernice, invece, la incuriosì e la incoraggiò a proseguire mentre una grande ragnatela le sfiorò le ginocchia, dandole il benvenuto. Una fioca luce filtrava da due finestrelle poste in alto sulla parete. Lungo i muri erano collocati dei lunghi tavoli sui quali spiccava una moltitudine di sagome dalle dimensioni e forme più svariate. Suzy si avvicinò. Si sentiva osservata da una miriade di creature lignee dagli occhi immobili, ma straordinariamente vive nella loro staticità, come lo erano stati un tempo gli alberi che ora componevano i loro corpi minuziosamente intagliati. Al centro della stanza troneggiava un’imponente scultura: una bambina seduta che stringeva tra le braccia un lupo che teneva la testa coricata sulle sue ginocchia. Quella bambina era lei, Suzy. Era stupefatta e commossa, ma allo stesso tempo provava un vago senso di malinconia: cosa era rimasto ora di quella bambina?
Si avvicinò ai tavoli disposti lungo le pareti. Su di essi erano sistemate sculture di ogni genere: fiori, animali selvatici, uccelli, piccoli alberi e creature fantastiche. Erano tutte scolpite nei minimi dettagli e sembravano vive. Si fermò un attimo davanti a un’aquila che pareva scrutarla con aria curiosa. Poi il suo sguardo si soffermò su un unicorno elegante e maestoso con la zampa anteriore destra sollevata.
Ma perché il nonno non glielo aveva detto? Perché aveva voluto che tutto ciò rimanesse un segreto? Forse perché lui sapeva già tutto e aveva già predetto ciò che sarebbe accaduto nell’anima di Suzy prima o poi, un giorno più o meno lontano. Forse non sapeva quando con esattezza, ma di sicuro era convinto che qualcosa sarebbe successo.
No, non avrebbe raccontato a Conrad della sua scoperta. Lui non avrebbe capito e non gliene sarebbe importato nulla. Non era il suo mondo e non vi ci si sarebbe mai avvicinato.
Sì, il nonno era veramente saggio… e la nonna aveva ragione! Suzy non sapeva molte cose, anche se era convinta di conoscere tutto del mondo e di se stessa. Quella stanza ne era la prova. Lì dentro aveva scoperto l’arte e il talento del nonno come scultore, ma aveva anche capito quanto lui le avesse voluto bene e quanto fosse stata preziosa quella parte della sua vita tra i boschi dell’Ontario, una parte di quella vita che ora continuava in città e che lei stava per svendere alla schiavitù delle convenzioni, delle apparenze e della superficialità dell’animo. In quella stanza c’era lei, quella se stessa perduta e che ora, finalmente, aveva ritrovato.
Sara Bortoluz è nata a Feltre, Belluno, nel 1990 dove tuttora vive. Laureata in Lingue e civiltà moderne e contemporanee presso l’università Ca’ Foscari di Venezia e successivamente in Relazioni internazionali presso il medesimo ateneo, si interessa di tematiche legate alla cooperazione internazionale e alla diversità culturale. Ha pubblicato alcuni articoli in riviste e blog di attualità e in newsletter di ONG come ad esempio Citizens Rights Watch di Londra. Alcuni dei suoi racconti e poesie sono apparsi su blog e in antologie di autori vari. Nel giugno 2019 ha pubblicato la raccolta poetica “Gocce di Mediterraneo” per la Santelli editore. Ama dedicarsi allo studio della musica, in particolare degli strumenti a fiato tradizionali.
https://www.facebook.com/sara.bortoluz.autrice/
Nessun commento:
Posta un commento