lunedì 7 marzo 2022

Segnalazione Romanzo - UN'ALTRA VITA di Antonia Calabrese

 





Respiro Readers

vi segnaliamo il  romanzo

dell'autrice italiana Antonia Calabrese.











TITOLO: Un'altra vita

AUTRICE: Antonia Calabrese

CASA EDITRICE: Self Publishing

GENERE: Narrativa

PAGINE: 2047

PREZZO EBOOK: 4.50

PREZZO CARTACEO: 14.00

DATA USCITA: 24 Luglio 2021







Dubbi di fede e di coscienza per Lia, giovane donna di mentalità laica ma di educazione cristiano evangelica che, accompagnata da una misteriosa guida attraverso un’esperienza transpersonale di premorte, fra psiche e memoria rivede la propria vita e dispera la reversibilità delle proprie scelte. Un romanzo contemplativo che oltrepassa e trascende la visione convenzionale del mondo fisico e dell'aldilà, una lettura avvincente e mozzafiato che ti costringerà a confrontarti con tematiche sempre attuali come religiosità individuale, adulterio e aborto.



“La gravidanza è stata un interminabile disagio. Mi sento goffa e gonfia, pronta a esplodere come una fagiolata in una pentola a pressione. Nulla di tanto eclatante e tutto nella norma, a parere di mia madre: sono io ad essere la solita piagnucolona. Piccoli fastidi che sarebbero passati, a sentire lei. Va bene la gravidanza indesiderata ma, queste no, uffa! La mia pancia sembra segnata a mo’ di una cartina geografica. Mi resteranno addosso tutte queste smagliature? Le detesto ma temo che sarò costretta a tenermele. Ho passato nove mesi a impomatarmi senza risultato. Ci mancava solo la pressione alta. Bastasse almeno per convincere quella deficiente della mia ginecologa a farmi praticare il cesareo, macché! È testarda come un mulo. Ho una strizza tale che ogni volta che penso che dovrò sfornare una creaturina dalle zone intime ho la tremarella. È arrivato il momento; ma sì, che poi non ci penserò più! Sono qui, nella sala d’attesa dell’ospedale. Frattanto che aspetto sono costretta a sentire il chiacchiericcio delle altre e c’è chi la dice cotta e chi la dice cruda. Io no, che nausee in realtà non ne ho avute se non poche in tutti e nove i mesi, rispondo a una partoriente che me lo domanda; se non altro, questo vantaggio, a quanto pare. Quella seduta là di fronte ha tutta l’aria di incarnare lo stereotipo della mamma felice del suo pancione. Per me la pancia è come un ingombrante e antiestetico macigno conficcato fra le costole, la schiena e l’inguine. Adesso che se n’è scesa più in basso la trascino a fatica. Pesa sulle gambe e per di più, preme contro la vescica. Sono costretta a urinare spesso, quasi ogni mezz’ora. Guarda questi poveri piedi e le caviglie come sono gonfi! Sono enormi, sembrano quelli delle bambole di pezza. Quando faccio le scale mi pare d’essere un alpinista alle prese con la scalata degli Alburni che stia lì lì per precipitare all’indietro, nelle profonde gole del fiume. Al pensiero, mi faccio ridere da sola, come una scema. Cerco di distrarmi concentrando il pensiero sul ricordo dei paesaggi della mia infanzia. Spesso, insieme a Daniele, andavamo in esplorazione del Sammaro e ogni volta scoprivo luoghi nuovi e segreti di una bellezza inusuale e impressionante. Lo spettacolo incontaminato dei Monti Alburni, proprio nel cuore del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, lascia senza fiato. Le Dolomiti del Sud sono il nostro vanto e offrono scenari naturali maestosi, col tempo divenuti preziosi per la mia anima, assieme al rimpianto delle antiche usanze roscignole. È un territorio di conformazione carsica, ricco di torrioni, cuspidi, doline, falsopiani, grotte, fiumi, piccoli laghetti, ruscelli e cascate… Per non parlare del ponte che collega Roscigno a Sacco che offre una veduta panoramica sugli Alburni unica al mondo, un’affacciata da brivido. Ci sono posti dove la luce compenetra gli anfratti e li squarcia con mille ombre fra rigogli di rami d’alberi tingendo le rocce dei colori dell’arcobaleno. I macigni e le acque assumono delle curiose sfumature azzurro-verdognole intanto che il percorso dell’abbondante scroscio risale rumoreggiando impetuoso attraverso una profonda gola, come inghiottito da una grossa bocca, quella della Grande Madre Terra. Quel passaggio spettacolare evoca grandiosità e mistero della natura in uno spettacolo d’armonia sublime. Non devo avere paura: il parto è una cosa naturale, primordiale e selvaggia, crudele ma necessaria, come tutto in natura e ora sento che deve essere arrivato il momento. Delle fitte che dal basso ventre mi risalgono verso il rene destro stanno divenendo sempre più frequenti. Vorrei trovarmi là, presso le sorgenti, in quella piccola area picnic tra la sponda del laghetto e i resti dell’antico mulino in pietra, al sicuro, insieme a mamma e papà. Se non ci fossimo trasferiti qui a Salerno non mi sarebbe successo. Ho combinato un pasticcio; almeno che questa creatura innocente sia sana! Per venire fin qui, infilarmi le scarpe è stata un’impresa. Sembravo un pellicano bagnato invischiato in una viscida pozzanghera o in un’appiccicosa chiazza di petrolio. Per non dire di tutte le privazioni che ho sofferto in questi mesi… Ahi! Dov’è finita l’infermiera? Perché non mi portano in sala parto? L’attesa sta diventando estenuante. Sono tesa e vigile. E la chiamano dolce attesa, la chiamano… Glielo taglio se mi tocca ancora, accidenti, sto male! Ho perso delle acque e non ce la faccio più, ho caldo. Non c’è proprio nessuno che mi aiuti in questo caspita d’ospedale? Va a finire che mi sgravo su questa sedia. –Signorina, infermiera! Si è voltata, torna indietro e mi raggiunge: –Signora, si calmi, deve aspettare ancora. Con quale frequenza ha le contrazioni? Quanto durano? –Non saprei. Pochi secondi, all’incirca ogni… ogni, tre minuti? Non lo so, però sono frequenti. –Avverto l’ostetrica e intanto si tranquillizzi, stia calma. Le assicuro che è presto. Cerco di non pensarci e di polarizzare l’attenzione su altro ma la vicinanza delle altre partorienti non mi è di aiuto. Ho voglia di piangere. Per tutti questi mesi sono stata costretta a fare attenzione a ogni cosa. È andata così, che ci si può fare?










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