Sono passati due mesi da quel giorno, Aurora ha cinque mesi e vogliono dimetterla dall’ospedale, ma prima devo imparare ad alimentarla con il sondino.
Le infermiere sempre così amorevoli e pazienti, mi stanno insegnando a metterle il sondino dal naso, e ogni volta che lo faccio è una tortura per me e per lei, vedere la sua lacrimuccia silenziosa, che scende giù a prova del fastidio che le provoco ogni volta, mi uccide. Come faccio a portarla a casa? Ho paura e se non ce la faccio? Qui ci sono le infermiere a venirmi in aiuto, a casa sono sola.
Quando feci il corso preparto, si parlava di tutto, del pianto, della fame, del sonno, del bagnetto, dei dolori al pancino, dello svezzamento, e altro, ma mai a nessuno viene in mente di insegnare alle future mamme come mettere un sondino naso gastrico, o come aspirarla. Io l’ho dovuto fare, ho dovuto imparare tutte queste cose.
Mi ricordo che quando partorii mi chiesero se sapevo di avere una bambina malata in grembo, no che non lo sapevo. Mi diedi le colpe per non aver fatto l’amniocentesi, avevo paura di perderla facendo l’esame. Ma poi la mappa cromosomica che ha fatto anche Aurora andava bene.
Le sue malformazioni si sarebbero dovute vedere con l’ecografia morfologica che si fa alla ventiduesima settimana e poi procedere con indagini più specifiche. Il medico che mi fece l’ecografia mi disse solo che era femmina e che aveva tanti capelli, ricordo che gli chiesi se mi faceva vedere il suo profilo, Non si può signora, è girata questo mi disse il dottore.
In seguito feci le mie ricerche, e mi dissero tutti che quando un feto non si vede bene, si fa camminare la mamma e poi dopo qualche minuto si ripete l’ecografia, io non feci nulla di tutto questo, e pensare che andai da questo dottore privatamente perché mi avevano detto che era tra i migliori.
Ripensandoci ci fu una tirocinante o comunque una dottoressa giovanissima che secondo me vide qualcosa in Aurora mentre mi faceva la flussimetria. È un’ecografia che si fa alla trentaduesima settimana per controllare il flusso sanguigno della mamma, e quello del feto, la funzionalità della placenta e il benessere fetale.
Durante l’ecografia, questa dottoressa chiamò un altro medico, si allontanarono un pochino da me, e la sentii dire che non la convincevano le misure del cranio, l’ecografia la continuò il dottore e disse che era tutto ok, che dovevo solo mangiare più carne, perché mia figlia era un po’ piccolina.
Alla nascita mia figlia pesava 3010 kg.
Il peso era l’unica cosa che andava bene.
Sono di nuovo davanti a questa finestra. Dovrei scendere giù in maternità a tirarmi il latte, magari scambiare due parole con Michela mi farà bene, lei starà già lì.
Michela l’ho conosciuta cinque mesi fa quando, appena nata, hanno portato d’urgenza mia figlia in questo ospedale, lei ha partorito qui. La mia cucciola è stata trasferita perché è nata con la labiopalatoschisi, e ignari dei suoi problemi neurologici, si pensava che avrebbe dovuto fare l’intervento per il labbro leporino.
La porta è chiusa, busso e entro, Michela è seduta davanti un tavolo dove ci sono i tiralatte e un contenitore con una soluzione igienizzante per i biberon e le tettarelle, nella stanza non c’è altro.
“Ciao Michela.”
“Katia, speravo che venissi, tesoro come stai?”
“Ho tanta paura Michela, mi stanno preparando per portare Aurora a casa. Sto girando come una trottola per farmi autorizzare a ricevere l’attrezzatura per l’ossigeno, tutto l’occorrente per monitorarla, sto impazzendo, mi mandano da una parte all’altra, mi serve la fornitura dei sondini, ma quella che mi danno non ricopre il fabbisogno mensile, è uno schifo Michela, e sai un’altra cosa assurda che mi è capitata qual è?”
“Ho quasi paura a saperla, ma dimmi Ka.”
“Sono andata a parlare con il pediatra che mi ha assegnato la Asl, ho portato la relazione medica di Aurora al dottore, per metterlo a conoscenza delle condizioni di mia figlia, e anche per avere un sostegno psicologico da una figura medica, be’ sai cosa mi ha detto dopo aver letto lo stato di salute di Aurora? Signora io non sono in grado di avere una paziente come sua figlia, mi dispiace. Ti giuro Michela volevo urlare, e invece mi sono sforzata di mantenere la calma e mi sono limitata a dirgli: È in grado di scrivere ricette mediche qualora mi servissero? Poi senza aspettare la sua risposta mi sono alzata e me ne sono andata.”
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