Il Sessantotto più che una data, rappresenta un’idea significativa della storia d’Europa e dell’Italia del dopoguerra. L’idea, cioè, come di una svolta drastica, per certi versi traumatica, della cultura e del costume sociale. Essa comportava un diverso modo di affrontare i problemi e le questioni sul tappeto di quegli anni rispetto al passato; e, soprattutto, comportava un atteggiamento di rivolta e di nausea verso quello che si diceva perbenismo. In ragione di questa idea la scuola poteva esaltare, polemicando, i mungivacche di Barbiana e la letteratura poteva compiacersi senza remore del romanzo-saggio Porci con le ali. A volere fare una sintesi di quello che s’intendeva, e s’intende ancora, per spirito del Sessantotto, giova questa constatazione metaforica: la politica ed ogni ufficialità si sono tolti giacca e cravatta e si sono avvezzi a presentarsi sempre in maniche di camicia. Tuttavia, come a fronte delle aberrazioni poté emergere la saggezza di un Noberto Bobbio, così dalla marea sommaria poté salvarsi quella linea di pensiero che poneva in primo piano la coscienza della condizione umana nel tempo, le sue prospettive, il suo equilibrio: un filo di saggezza nel lungo impatto con le inquietudini del divenire. Accadeva e si poteva dire di tutto nel Sessantotto – da qui il nostro titolo –, ma quel filo era destinato ad ispirare ancora molto altro, ed era in ragione di quel filo che potevano venire fuori anche pagine di immersione nella complessità di quel momento storico, rievocando personaggi che quel divenire rappresentavano. Giovandosi di quel filo, sono state scritte pure queste pagine che, non prive di conseguenti riflessioni, ora tornano come ultimo messaggio di chi, come l’autore, ha molto camminato ed avverte che ormai gli restano pochissimi passi ancora da fare.
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