Gregorio imprecò diverse volte, mentre si trascinava nell’interno della casa. Il dolore che gli causava la ferita lo tormentava sempre di più, ma non per questo veniva meno la sua determinazione di trovare la statunitense e di ucciderla.
La consapevolezza di aver sepolto viva Conchita, oltretutto obbedendo a un suo ordine, aveva definitivamente alterato il suo equilibrio mentale, da sempre precario e segnato dalla violenza inflitta e subita nel corso del tempo. Carlos aveva intuito bene, non sarebbe sopravvissuto a lungo. Ma sperava che quel poco che gli restava da vivere sarebbe bastato a regolare i conti. Tra spasmi atroci e bestemmie a fior di labbra, avanzò seguito da una scia di sangue sempre più consistente.
Esasperato dalla frustrazione, iniziò a gridare tutta la propria furia.
“Maldita puta yanqui, me cago en tu madre, sale que te patearé el coño.”
Urlò fino a esaurire tutto il repertorio di insulti che conosceva, ma stava già disperandosi quando gli parve che i suoi occhi ormai velati avessero scorto un’ombra.
Strinse i denti e proseguì fino a raggiungere un vaso grande come una colonna e dai rilievi frastagliati e coloratissimi. Si fermò. Il suo istinto, che mai lo aveva tradito, gli faceva percepire una presenza. I battiti del suo cuore accelerarono e scandirono i fatali secondi successivi. Quando gli parve che il profilo di una sagoma stesse facendo capolino, si proiettò in avanti con la pistola spianata. Venne colto una gioia intensa – la stessa che prova in natura ogni cacciatore quando scova una preda inerme – non appena scorse Charlize appiattita contro il muro.
Ma la gioia non durò a lungo. Il dito premette convulsamente il grilletto, ma il percussore, svuotato in precedenza, scattò a vuoto. Portò la mano alla tasca interna, per prendere la sua arma, ma Charlize fu più veloce. Una tempesta di molecole urticanti venne nebulizzata dalla bionda, che si era ricordata dello spray al peperoncino di Lina e lo aveva portato con sé. Gli occhi del sicario vennero investiti dal getto, strappandogli un urlo acutissimo e lacerante, che riecheggiò per tutta la villa.
Charlize, approfittando del fatto che il suo avversario si era messo le mani sul volto, tentò di correre verso l’uscita, ma il sangue di Cabezon, come una coda malefica, la fece scivolare. Cadde e sbatté violentemente contro un comodino.
Il dolore fu straziante, ma la paura la obbligò a riprendersi. Mentre faceva leva sulle mani per tirarsi su, toccò qualcosa di solido: era una mazza in ossidiana di origine azteca, uno dei tanti reperti archeologici che il vecchio Augustin aveva collezionato nella sua vita.
Quell’arma cadeva a proposito. Gregorio, sebbene con gli occhi in fiamme, aveva estratto la sua pistola dalla tasca interna e si stava preparando a sparare. Charlize non gliene diede il tempo: chiudendo gli occhi e gridando a squarciagola, attinse a tutta l’energia che le era rimasta e vibrò un fendente violentissimo con la mazza.
Il colpo staccò di netto la mascella sinistra del killer. La californiana fissò per un istante la sua opera, restandone inorridita. Ma fu un attimo: in un moto di furia alimentata dalla paura, superò il ribrezzo e assestò all’uomo un secondo colpo, stavolta al cranio. Il terrificante suono che seguì l’impatto, certificò la fine di Cabezon. Charlize non ebbe nemmeno bisogno di osservare lo scempio che lei stessa aveva causato.
Rinculò, ansimando. Era così esausta che non si accorse di chi le stava alle spalle.
“Credo che ormai siamo quasi sull’obiettivo. Che mi dite dell’elicottero?”
Rodriguez aveva posto la domanda all’altra volante, che affiancava lui e gli altri a distanza.
“Sono a poche miglia da qui e arriveranno quasi in contemporanea con noi” fu la risposta.
Rolando guardò l’avvocato seduto vicino a lui, inerte e bianco come un cencio, e mentalmente sussurrò una preghiera.
I minuti che seguirono l’uccisione di Gregorio Cabezon furono per Charlize confusi. Una parte di lei, semi-incosciente, si era sentita trascinare fisicamente sul pavimento, mentre lo sguardo offuscato non vedeva altro che contorni sgranati e sbiaditi.
Alla fine, nonostante un forte ronzio alla testa, la bionda si riprese completamente dal colpo che aveva subito alla nuca. Sentiva che il suo braccio destro era teso in davanti, come se lo stessero tirando. Non le rimase che alzare il volto dalla superficie sulla quale era sdraiata e allora, lentamente, mise a fuoco la pianta di un piede femminile. Quella parte anatomica aveva qualcosa di familiare, un piccolo tatuaggio sul tallone che riproduceva la famosa piedra del sol. Di colpo Charlize si riebbe del tutto, realizzando a chi appartenessero quell’arto e quel tatuaggio.
Sollevò ulteriormente il volto e guardò innanzi a sé. Poi urlò, inorridita.
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