Quel sabato Irene non lavorava: era per questo che si era concessa il lusso di tornare a casa tardi la sera prima. Fin dall’assunzione, il sabato era stato considerato più lavorativo che feriale, tranne quando capitava il turno di riposo. Tanto a casa non ho nulla da fare, pensava ogni volta che un collega le chiedeva di sostituirla, anche di sabato, o quando l’azienda necessitava di qualcuno ‒ ovvero di lei, sempre lei ‒ che provvedesse a rimettere ordine in tutta la confusione che chissà perché si creava ogni settimana.
Era proprio grazie o a causa di questa sua strana convinzione che Irene aveva in arretrato diverse commissioni, e si era imposta proprio quel sabato di svolgerne il più possibile.
Ricordava in modo vago il momento in cui Riccardo l’aveva baciata prima di uscire, nonostante non fosse trascorsa nemmeno mezz’ora. Aveva dormito poco e si era subito risvegliata.
Irene si alzò dal letto, si spogliò e si tuffò sotto la doccia.
L’acqua le impregnò i capelli, scorse lungo le spalle e attorno al collo, favorì la curva di seni e fianchi, superò il basso ventre e si affusolò attorno alle gambe, offrendole una nuova tipologia di calore.
Il mal di testa era passato. Se ne era accorta mentre, le palpebre abbassate, permetteva al getto d’acqua di bagnarle il volto. Si sentiva comunque stanca e assonnata, ma almeno quel pulsare insistente era svanito. Provò il desiderio di raggiungere il parco e svolgere alcuni esercizi di yoga. Le avrebbero fatto bene, ne era certa. Al di là dell’ormai abituale ma vaga sensazione di spossatezza, avvertiva il proprio corpo leggero, vivo, reattivo, pronto a qualsiasi movimento. Sapeva però che queste sensazioni non sarebbero durate in eterno, ma si sarebbero trasformate in fumo non appena con lo sguardo avesse sfiorato la propria immagine allo specchio. Non era soddisfatta di ciò che ogni volta vedeva, sebbene Riccardo ‒ e Andrea prima di lui ‒ si ostinasse ad affermare il contrario.
Giusto, Andrea.
Era comparso per caso alla festa di Alice, e sempre per caso aveva trovato lei, Irene. Dice di voler rimediare, ma come potrebbe riuscirci? Non mi interessa e non ci voglio pensare.
Uscì dalla doccia in fretta, come se il pensiero di Andrea l’avesse messa di malumore e volesse liberarsene al più presto.
Avvolse il proprio corpo in un soffice asciugamano, fece lo stesso con i capelli e si trovò dinanzi lo specchio. Dietro il panno soffice c’era un corpo dalle forme desiderabili, ma non sempre aggraziato e proporzionato, non certo come quello di Alice. I capelli, mossi anche da bagnati, contornavano un volto qualunque, con occhi verdi, sopracciglia fini, una fronte spesso pensierosa.
«Fortuna che è appannato. Ora però devo sbrigarmi, così vado a comprare un nuovo smartphone. O è meglio se provo a riparare quello vecchio? Mmm… chissà quanto costa sistemare lo schermo. Potrebbe valerne la pena?» Ebbe la tentazione di prendere il cellulare per cercare informazioni online, ma rise di se stessa ricordando che, con lo schermo in frantumi, qualunque azione sarebbe stata impossibile.
Troppo strana una doccia senza musica. Avrei apprezzato qualche nota dei Red Hot Chili Pepper, o, perché no, anche dei Thirty Seconds to Mars.
Mentre si asciugava i capelli si accorse che la mente tornava sulla giornata precedente proprio quando i pensieri finirono su Riccardo, sul suo sopraggiungere a quell’ora del mattino, sulla strana necessità di affrontare un discorso così vago e senza senso. Almeno all’apparenza. Perché non poteva aspettare questa mattina?
Non era preoccupata per il sonno perso: era una rinuncia da nulla in confronto alla presenza di Riccardo; la insospettiva invece il contesto, l’oggetto, la situazione… tutto quanto. Perché Riccardo si era disturbato?
La serratura scattò e Irene balzò per lo spavento, come colta di sorpresa.
«Irene? Sono tornato.»
Udì il rumore di alcuni passi, prima di vedere la porta del bagno aprirsi. Non aveva l’abitudine di chiuderla a chiave. Spense il phon.
«Riccardo. Come è andata la corsa? E l’occhio nero? Come ti senti?»
«Tutto bene. L’occhio non mi fa male. Mi sento energico. Oggi sono soddisfatto. Correre in autunno con questo fresco mi dà una carica pazzesca!» il tono di voce risultava leggermente affaticato, conseguenza dello sforzo appena fatto.
Lei annuì, dandogli le spalle e limitandosi a incrociare il riflesso dei suoi occhi allo specchio, nonostante il vetro appannato.
«C’è qualcosa che non va? Sembri pensierosa.»
Possibile che mi abbia letto nella mente? Con Riccardo questa non era una novità: riusciva, chissà come, a intuire lo stato d’animo di Irene solo guardandola. Ci azzeccava con una precisione tale da farle temere che i suoi pensieri non fossero abbastanza al sicuro e che esistesse una chiave per intrufolarvisi che solo lui possedeva. O mi conosce così bene da saper interpretare il mio corpo e i miei atteggiamenti. Nah, sicuramente mi legge la mente. Prova! Uno, due, tre! Prova! Finge di non sentire.
«Sono solo concentrata. Per me non è facile asciugare i capelli come lo è per te. Forse dovrei spuntarli, che ne pensi?»
«Se anche li tagliassi, io non me ne accorgerei, quindi vedi tu.»
L’appannamento del vetro stava sbiadendo ma Irene, lanciandovi un’occhiata, non ebbe il tempo di studiare il proprio corpo e criticarlo. I suoi occhi caddero su quello di Riccardo, che si stava spogliando per entrare in doccia. La t-shirt sudata, incollata al busto, ne metteva in risalto i muscoli ben delineati. Gli addominali scolpiti e le braccia allenate facevano trasalire. Sensazioni che Irene aveva provato giusto quella notte.
«Mi raccomando, non usare troppo shampoo.»
Lui fece un occhiolino che raggiunse Irene solo dopo essere rimbalzato sullo specchio.
«Potresti aiutarmi con le dosi.»
«Lo farei volentieri, lo sai, ma sono di corsa. Purtroppo sei arrivato tardi. La prossima volta dovrai correre più veloce.»
«La prossima volta non ci vado neanche, a correre.»
L’acqua prese a scrosciare sul corpo nudo di Riccardo mescolandosi alle sue ultime parole.
«Io esco. Prima che tu te ne vada, puoi aprire le serrande per far passare un po’ di luce? Poi ricordati di chiudere a chiave, mi raccomando.»
«Vedo cosa riesco a fare, devo consultare la mia agenda.»
«Stasera usciamo?» gli chiese Irene «potremmo mangiare qualcosa insieme. Mi hanno suggerito un posto davvero curioso.»
«Ehm, stasera sono già d’accordo con Francesco. Me l’ha chiesto qualche giorno fa.»
«Va bene» rispose. Lo specchio catturò la smorfia di delusione che le incupì il volto «nel caso cambiassi idea, fammi sapere. Ci vediamo!»
Alessia Malvestio, classe 1995, dopo una laurea in lingue, letterature e culture moderne conseguita presso l’Università degli Studi di Padova nel 2017, ha frequentato il Master in professioni e prodotti dell’Editoria di Pavia. Nel 2020 ha pubblicato il suo primo romanzo Non solo le stelle brillano in cielo, edito da Bertoni Editore.
Michele Boschiero, classe 1994, nato a Venezia, da anni coltiva la passione per la scrittura, alternandola a quella per la lettura di romanzi d’avventura, classici intramontabili o narrativa contemporanea.
Con il racconto Dalle mie mani alle tue, Alessia e Michele si sono aggiudicati la finale del Concorso Letterario Nazionale “Rina Gatti” 2020.
Breve come la notte è la loro prima opera a quattro mani.
Nessun commento:
Posta un commento