…...Quell’uomo
era in grado di portare una ventata di serenità in Liliana.
«Sempre
più croccante! Ho fatto a botte con una brutta influenza, ma sono di
nuovo in piedi e tutto tuo», terminò l’uomo facendole
l’occhiolino.
Dietro
di lui, Alberto con Anna, che con calma spingeva il passeggino con i
gemelli, che appena scorsero la madre iniziarono ad agitarsi e
pretenderla.
Liliana,
incurante di avere solo una mano disponibile, sollevò prima Matteo,
che aveva le mani impasticciate di biscotto
e iniziò a baciargli le guanciotte morbide.
Il
bimbo iniziò a ridere a quel gesto. Stessa cosa a Selene, che già
rideva ancor prima di sentire le labbra della madre mordicchiarle
le guance,
Ripetette
quel gioco tanto divertente per i bambini, ma lasciandoli nel
passeggino.
«Sono
stati veramente bravi. Hanno dormito tanto, come faceva Davide. Hanno
pranzato e mangiato tutto, come Davide. Non hanno mai pianto, come
faceva anche Davide. Hanno mangiato ben mezza mela grattugiata a
testa, come faceva Davide. Sono veramente belli...».
«Come
Davide», terminò la frase Liliana.
“Vedi te. Tutto come Davide. Io li ho solo partoriti”,
pensò.
Lasciò
nuovamente il passeggino ad Anna e Alberto e con nonno Ennio
sottobraccio andarono tutti
sotto alle tende più grandi affiancate dalla pedana in legno
bianco.
Li
osservò, uno a uno, prendere posto sulle spiaggine appena
rifoderate: avevano abbandonando così il color crema delle stagioni
passate e colorandosi di un bel blu oltremare a cui era stato
abbinato un cuscino con motivi floreali con la stessa base di blu e
piccole inserti di turchese. Liliana adorava quei cuscini, di cui
fece confezionare anche gli asciugamani per i lettini. I teli
aperti sulla sabbia facevano un bel contrasto, parevano pozze
d’acqua, Liliana vi sistemò sopra i
gemelli, liberi dai golfini e dalle calze. A quella libertà
improvvisa iniziarono a sgambettare contenti.
Nonno
Ennio, seduto sulla sedia accanto ai bambini con la schiena
incurvata, le mani e il peso sul suo bastone, sorrideva ai gemelli,
che presero quel sorriso per un gioco divertente così che non
toglievano lo sguardo dall’anziano sopra di loro.
Liliana
spostava il suo sguardo da quel quadretto dolcissimo a Leon e
Lorenzo, che non avevano ancora smesso di correre e saltare intorno a
Lucas e Noah, tanto da ricordare i nativi americani
quando danzavano scatenati attorno al fuoco. Liliana sorrise a quella
scena, finché non vide una figura camminare verso i bambini, si alzò
in piedi. Non si era sbagliata. Vittorio si stava avvicinando ai
bambini.
Il sorriso sul volto di Liliana svanì immediatamente, si guardò
attorno per cercare Ulisse, portò pollice e indice alle labbra e
soffiò forte, emettendo un fischio fortissimo. Pochi istanti e
Ulisse comparve da dietro le cabine correndo verso di lei. Si sentì
gli sguardi dei clienti e di Anna,
scioccata, su di sé, ma se ne infischiò. Ulisse, senza nemmeno che
Liliana gli dicesse qualcosa, capì e corse correndo
verso la riva, senza passare dalla passerella di legno, incurante,
alzò la sabbia tra gli ombrelloni. Fortunatamente i clienti erano
più presi dal passaggio di quel gigante che della sabbia
sollevata.
Il
cane si mise tra Vittorio
e i bambini che si erano messi accanto a Lucas e quell’armadio di
Noah.
I
bambini furono rimessi nei seggiolini tra Alberto e nonno
Ennio.
Tutto
senza togliere lo sguardo dalla riva dove Ulisse con le zanne ben in
mostra e sulla difensiva, pareva ancor più grande: Vittorio non
piaceva nemmeno a lui.
«Anna,
per favore, porta i bambini all’interno», il tono di voce di nonno
Ennio le fu nuovo.
Fermo. Autoritario. Le ricordò quello di Davide. Quelle volte che
era arrabbiato o dava ordini
e indicazioni in azienda. E rivide negli occhi di Ennio la stessa
tonalità di blu di Davide, Lorenzo
e dei gemelli nonché
di Alberto.
«Perché
babbo?» Alberto attendeva una risposta dal padre, mentre Anna
spingeva già il passeggino verso la struttura, aveva capito prima
del marito.
Preoccupata dalla presenza di suo figlio Vittorio e di Lidia.
«Guarda
da te. Non c’è da stare tranquilli con quella in giro»,
disse Ennio alzandosi e avviandosi verso Liliana, senza guardare il
figlio, ma la coppia sull’arenile e Liliana, che raggiungeva i
bambini alla postazione di guardia.
Pochi
metri e sarebbe stata accanto ai bambini. Da dov’era notò lo
sguardo gelido in Lidia fissare Lorenzo, che teneva stretta la mano
di Leon, che a sua volta teneva vicinissimo a sé il bambino,
mostrando quanto fosse alto, molto più alto di Lorenzo. Chi avesse
visto in quel momento Leon accanto a Noah avrebbe facilmente pensato
che fossero padre e figlio.
A
Liliana non piaceva per nulla il modo in cui Lidia fissava Lorenzo:
gli occhi sgranati e un
sorriso sottile, tirato ai lati del viso, la pelle tesa, le braccia
tese lungo il corpo e le dita chiuse a pugno.
“Perché
è qui? Non avrebbe dovuto esser nemmeno vivo. È sicuramente lui,
quel coso che dovrebbe esser morto anni fa. Quella stupida vecchia
l’ha tenuto, ma Vittorio non sa nulla. E non deve sapere che è
stata roba mia. Non voglio nemmeno ripensare a quello sbaglio.
Vittorio non dovrà mai venire a saperlo. Non può rovinare tutti i
miei piani quell’essere, devo trovare il modo per farlo sparire per
sempre questa volta. Prima che lo usino contro di me”, e mentre
pensava ciò, Lidia guardava con sempre più odio il bambino che non
abbassava lo sguardo da lei.
«Piantala
di fissarlo!» Leon mise Lorenzo dietro di lui, poi guardò Lidia,
che a quella richiesta spostò lo sguardo cattivo verso di
lui.
«Lorenzo,
non vieni a salutare lo zio?»
«No!»
rispose Lorenzo, sempre dietro a Leon e sotto lo sguardo vigile di
Lucas e Noah.
Vittorio
fece per avvicinarsi, ma si fermò al ringhio di Ulisse che parve
dire: “Eh no, da qui non passi”.
Vittorio
arretrò di qualche passo e fu in quel momento che vide arrivare
Liliana seguita a passo più lento da Ennio.
«Ma
che bei bambini vedo qui e questo cane non mi è
sconosciuto».
Liliana
che stava per parlare rimase a bocca chiusa. Nervosa ancor di
più.
Dalla riva, in un
completo avorio appoggiato a un bastone da passeggio intagliato,
andava avvicinandosi De Marchi.
“Ma
porca miseriaccia schifosa. Non bastavano quei due, No! Pure quel
rompiscatole.
Questa volta lascerò che Ulisse se lo mangi, giuro!” Liliana non
seppe quantificare la rabbia che aveva dentro.
«Vittorio!
Ti è già stato detto che non ti devi avvicinare ai bambini!»
Liliana avrebbe voluto saper sputare fuoco e incenerire
entrambi.
«Datti
una calmata, ha solo salutato suo nipote», le parole di Lidia, tutta
sorrisi ebeti, fece infuriare del tutto Liliana.
«Stai
zitta tu e vatti a cercare un bel sasso dove nasconderti».
Lidia,
che mai si sarebbe aspettata quella risposta in presenza di Vittorio,
si avvicinò a lui.
«Ma
vedi te se non posso nemmeno salutare mio nipote. Vedi di far
spostare questa bestia prima che mi ci faccia una pelliccia,
cretina!»
Mai
parola fu perfetta per far scattare più persone nello stesso istante
e ciò fece capire a Vittorio di non esser in una posizione
favorevole.
«Qui
l’unica a cui sta bene quel termine è quella che ti sta accanto. E
no, non puoi avvicinarti, salutare, né respirare la stessa aria di
Lorenzo, devi stargli lontano almeno cento metri, come minimo! E
avvicinati solo anche di un centimetro al mio Ulisse e lascerò che
sia lui a far di te una leggera colazione. Mi sono pentita di avervi
concesso di stare nel mio stabilimento. Non è stato abbastanza darvi
una postazione nelle ultime file, avrei dovuto farvi stare in un
altro paese!» Liliana parlava con sicurezza e fermezza, poi prese
per mano Lorenzo.
«Abbiamo
pagato e ho tutto il diritto di stare qui, non sarai certo tu a
vietarmelo!»
«Dimentichi
che qui sono proprio l’unica persona che può farlo, in qualsiasi
istante, e posso buttarvi fuori all’istante, anzi, credo proprio
che lo farò!»
«Lily,
lasciali perdere. Non farti il sangue amaro per loro. È una così
bella giornata. Loro se ne torneranno al loro ombrellone e noi a
goderci in santa pace il resto del pomeriggio che ci resta. Che ne
dici biscottino? Andiamo a mangiarci un gelato? Andiamo
bimbi?»
«Nonno!»
Vittorio
sorrise. E si avvicinò a Ennio che parve un’altra persona.
Ma
non poté avvicinarsi come voleva. Perché il muro ringhiante
chiamato Ulisse gli si parò ancora davanti.
Le
mani del vecchio accarezzavano dolci la folta criniera di Ulisse. Il
cane spostava la sua attenzione al vecchio con occhi dolci che però
mutavano in rabbiosi alla vista di Vittorio e Lidia.
«Vedi
te nonno, non ci fosse questa bestia potrei venirti a salutare»,
commentò Vittorio digrignando i denti e fissando Ulisse.
Inconsapevole che quello era l’unico modo per far arrabbiare ancor
di più l’animale.
«Strano
Vittorio. sei giunto in paese da più di un mese. Hai avuto tutto il
tempo che volevi, se solo avessi voluto.
Sei stato solo da tua madre per delle non spettanti richieste e
basta. Non sei nemmeno andato a salutare tua figlia Lorena. E non
venirmi a raccontare che non sapevi che fosse qui. Sarò vecchio, ma
ancora in possesso di tutte le mie facoltà psichiche, fisiche e
intellettive. Ora dai la colpa al povero Ulisse e anche qui, con
pretese che nemmeno ti aspettano, senza meritartele. Tornatene con…
quella, al tuo ombrellone. E quando ricorderai l’educazione che ti
è stata insegnata, se davvero qualcosa ti importa ancora, verrai a
salutare me e la tua famiglia. E non ti permettere più di usare quel
tono con Liliana. Non te lo permetto. Ravvediti e torna in te».
«Ma
nonno. Lascia almeno che ti presenti la mia compagna...», con la
voce amareggiata, delusa, Vittorio guardava il nonno addolorato.
«Non
c’è n’è bisogno Vittorio, la conosciamo tutti anche troppo
bene. Qui l’unico che non sa chi ha accanto sei solo tu».
E
con un braccio in quello di Liliana e nell’altra mano quella
piccola di Lorenzo e Leon al suo fianco, Ennio risalì la passerella,
lasciandosi alle spalle lo sguardo interrogativo e deluso di Vittorio
e quello iracondo di Lidia.
Matteo
e Selene, con addosso solo il body, sgambettavano felici, ridevano al
solletico che Lorenzo e Leon facevano sotto i loro piedini con una
piuma sbucata dal taschino di nonno Ennio, anche lui divertito da
quella scena.
Liliana
faceva finta di non sentire le domande di Anna, ansiosa di sapere a
che punto fossero i preparativi per il matrimonio: chi avesse scelto
come testimoni? Dove sarebbe stata la location? Di che colore sarebbe
stato il vestito?
Se aveva trovato il tempo per andare a provare i modelli che le aveva
fatto mettere da parte e che secondo lei, Anna, erano perfetti per
lei e per Davide? A quel punto fu Ennio a rispondere alla nuora.
«Ma
Annina carissima, Davide è un bellissimo uomo, ma avrei dei dubbi
sul vederlo arrivare all’altare con una gonna lunga grigio perla.
Preferirei che si optasse per un completo a pantalone».
Liliana
trattenne una risata con tutte le sue forze, almeno finché Anna
avrebbe risposto.
«Ma
babbo! Io intendevo per Liliana! Non per Davide...».
«Ma
insomma Anna! L’hai appena detto tu che quell’abito sarebbe
perfetto per Davide».
«Oh
Alberto. Dillo tu, che non intendevo quello».
Lo
sguardo e il volto di Anna non riuscivano a stabilirsi su di una
precisa espressione. Tant’è che Alberto rise. Ennio e Liliana lo
seguirono a ruota.
«Nonna,
mettilo tu quel vestito. Ti sta bene di sicurissimo», intervenne
Leon a dar man forte a nonna Anna, che accarezzò la testa del
bambino sorridendogli.
«Meno
male che ci sei almeno tu a difendermi!»
E
anche Anna si lasciò travolgere da una risata liberatoria.
«E
comunque, Liliana. Dimmi, come vanno i preparativi e...».
«Eccetera,
eccetera», fece eco nonno Ennio accarezzando la criniera di Ulisse
che pareva sorridere
anche lui, invece annusava l’effluvio della carne che cuoceva sulle
griglie.
«Allora,
l’abito è bello e pronto. Come sarà lo scoprirete solo il giorno
stesso. No, non ho provato i vestiti né li proverò. Avendo già
tutto pronto. I testimoni li ho già. Almeno, uno è confermato,
Lucas. Il secondo mi darà conferma a breve. Il menù lo deciderò
con Davide, al suo ritorno. Mi manca la location, Davide ne aveva in
mente una e mi dirà».
«Ma
come? Non hai ancora la location? Saprai bene che sarà difficile
trovarne una libera in breve tempo!» disse Anna angosciata, come se
quella che doveva sposarsi fosse lei.
«A
esser onesta, se voglio, posso tranquillamente fare tutto qui. Ho un
ristorante che contiene almeno trecento posti, oltre la terrazza,
stessa capienza sulla terrazza sul tetto. La location è l’ultimo
dei miei problemi, voglio aspettare Davide e ascoltare le sue idee e
proposte».
«Io
so già cosa vuol proporti Davide, biscottino bello», parlò Ennio,
orgoglioso, pavoneggiandosi
«Come
babbo?» chiese Anna sbalordita.
«Certo,
vorrà chiederti di celebrare e festeggiare il tutto nella mia
campagna. A mezz’ora da qui. È nel mezzo del nulla. Campi e
vigneti. E una bella collina dove cresce un noce favoloso che è lì
da ancor prima io nascessi. Poi è un vero spettacolo. Certo, c’è
qualche mucca, capretta, gatti che convivono con i topini. Che ne
dici di farci un pensierino biscottino?»
Non
dovette pensarci nemmeno un secondo, Liliana, quell’idea per lei fu
qualcosa di favoloso.
«Ma
io non ho bisogno di pensarci! Accetto immediatamente! E lei però
accetta di farmi da testimone?»
Al
culmine della felicità Liliana abbracciò Ennio che gongolava
felice.
«Sono
contento che vi sposerete lì. Ma per il testimone non credo
accetterò. Perdona questo vecchio, avessi qualche anno in meno avrei
accettato volentieri, ma inizio a stancarmi con un nonnulla, però ci
sarò. Sarò un angelo custode. Fai come se avessi accettato. Non ti
offendere biscottino».
Non
si offese, Liliana, ma sentì nascere dentro sé una strana tristezza
e quelle parole: “Sarò un angelo custode” le fecero pensare al
peggio. Sentì nascerle un nodo che andava via via serrarle la gola.
Sorrise. Si sforzò e abbracciò nuovamente nonno Ennio, felice di
quel gesto che per lui era stato tanto
importante.
«Uno
dei prossimi giorni ci andremo, appena tornerà Davide, che se non
torna presto andrò a prenderlo personalmente».
«Aggiudicato!
Faremo un bel pranzo là. Con i miei prodotti. Quanto tempo che non
ci torno. Parlo con il fattore al telefono.
Che
bella invenzione il telefono».
«Aggiudicato
nonno Ennio! Vero bimbi? Chi viene con me e nonno Ennio in campagna a
vedere mucche e caprette?»
E
per celare quella lacrima che, spavalda, le corse lungo la guancia,
Liliana si girò verso i bambini urlando quell’evento favoloso.
«Ma
mangiano anche i bimbi le “cabrette”?» chiese preoccupato
Lorenzo.
«No! Mangiano
l’erba. E giocano con i bambini», rispose Alberto.
«Ah
ecco. Allora va bene», rispose il bambino infilandosi la
maglietta.
«Ma
Lorenzo! Non andiamo adesso. Andiamo appena tornerà il
babbo».
Deluso,
Lorenzo guardò Liliana sollevando gli occhioni blu.
«Ma
sei proprio sicura? Uffa però!»
Non
poté fare altro, Liliana, che abbracciare il bambino e lui le
schioccò un grosso bacio sul collo, a quel contatto Liliana provò
solletico e scoppiò a ridere.
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