lunedì 14 settembre 2020

Blog Tour - WORDS EDIZIONI - Tappa Trama ed Estratti - SABBIA BIANCA di Pitti Duchamp







Respiro Readers

con piacere ospitiamo il Blog Tour

della prossima nuova uscita edita Words Edizioni

del  romanzo dell'autrice Pitti Duchamp.

La tappa è dedicata alla Trama ed agli Estratti.











TITOLO: Sabbia Bianca

AUTRICE: Pitti Duchamp

CASA EDITRICE: Words Edizioni

SERIE: I Giganti del Calcio Storico #1

GENERE: Romance Contemporaneo

DATA USCITA: 16 Settembre 2020




La perfezione, ecco cosa pretende l’avvocato Leopoldo Carsini dalla vita. Quando conosce Olimpia, quello a cui mira in ogni cosa che fa si concretizza nell’azzurro intenso dei suoi occhi. Lei ha tutte le carte in regola per stargli accanto e lui la vuole, spinto da un desiderio razionale distante da ogni sentimentalismo. Ma la complessità di Olimpia si svela a poco a poco, durante la ricerca di un fratello sparito nel nulla, mentre riaffiorano dispiaceri e solitudine da un passato familiare sofferto. E così, il cuore di Leo, impantanato nella sabbia di piazza Santa Croce, là dove le partite del calcio storico fiorentino danno vita a leggendari scontri tra gladiatori moderni, comincia a battere più forte. Una storia d’amore e di cambiamento con tre protagonisti: un avvocato dalla doppia faccia, una ragazza di buoni sentimenti e una Firenze sospesa tra il presente e un passato attualissimo, vissuta, graffiata, leccata e amata.






«Se lo scordi. Non voglio certo che Rebecca pensi che mi stia corteggiando.»
«Che magnifica parola ha usato.»
«Prego?» lo guardò interrogativa.
«Lei è un pozzo di ispirazione per le mie fantasie. Non ha detto che ci sto provando, ma che la sto corteggiando. Raro per una donna giovane usare l’italiano in modo romantico» scherzò, portandosi la mano al petto.
«Diciamo però che il significato è che non voglio che Rebecca pensi che lei ci stia provando, o magari che ci stia provando io. È ancora innamorata di lei, sa?» disse pentendosi subito della dichiarazione. Non era per nulla educato parlare di Rebecca alle sue spalle. Nonostante fosse una tremenda rompiscatole, era pur sempre il suo capo e la persona che l’aveva indirizzata allo studio Carsini.
«Sì, un sacco di signore dicono di esserlo, ma non sanno neanche loro di cosa sono innamorate» rispose Leo svogliato.
«Comunque, non credo che mi avrà nella sua lunga lista di conquiste» continuò Olimpia, forse in modo troppo brusco, ma era giusto per mettere le cose in chiaro. Quell’uomo non era il tipo da storia tranquilla tutta sorrisi e selfie romantici. Era uno che l’avrebbe fatta salire su delle montagne russe talmente vorticose che, pur di scendere, si sarebbe lanciata di sotto. «Non ho voglia di essere abbandonata senza un perché.»
«Un perché c’è sempre: a volte è il modo in cui una donna mangia, a volte è che non sopporto come si veste o cammina, ha l’alitosi o non mi soddisfa a letto. O magari non le piacciono i funghi, che a me fanno impazzire» le sussurrò avvicinandosi, sporgendo il torace ampio sopra il tavolino mentre Olimpia si tratteneva rigida sulla sedia.
«I suoi perché sono molto profondi, in effetti» ironizzò lei. «Mi chiedo se li ha mai comunicati alle sue compagne. Immagino che le sue donne non superino i venti, ventun anni. È più facile abbindolare le ragazzine.»





Leo avvicinò alla bocca di Olimpia un triangolo di pizza. Vide le labbra di lei avere un fremito di indecisione. Dai, Venere, apri la bocca, non farti pregare, cedimi. Schiudere le labbra voleva dire farlo entrare, farsi penetrare dall’ingordigia, cedere alla volgarità ignorante di una fetta sugosa e unta di salame piccante. Capitolare davanti alla lussuria del cibo e arrendersi a lui che la stava tentando, glielo leggeva in viso, abbattendo le barriere di una disciplina fatta di insalate, tacchi tredici e garbate distanze. Leo si trovò a scommettere che se avesse aperto la bocca sarebbe stata sua. Olimpia si ritrasse solo per un istante, lo guardò negli occhi con quei suoi destabilizzanti fanali azzurri, interrogativi e seducenti, socchiuse le labbra e addentò la punta sugosa e pesante del triangolo di pizza farcito.
«Mi dispiace, non la volevo mettere in difficoltà con Rebecca» le sussurrò lui con un tono che voleva dire adesso mi metto ai tuoi piedi per cominciare a spogliarti dalle scarpe, e un viso soddisfatto, pago della resa della sua Venere bruna.
Lei sorrise, inghiottì con lentezza, attenta a mettere bene in mostra la gola, e rispose: «Doveva pensarci prima.»
«Impossibile pensare con lei davanti» disse lui assumendo il solito tono scherzoso senza cambiare l’espressione della faccia.
«Non può dire queste cose, avvocato!»
«Certo che posso. Io sono franco e sincero.»






«Ti desidero, voglio fare l’amore con te e poi ancora e ancora e non voglio staccarmi più» le mormorò con i nasi che si sfioravano.
«Mi innamorerò di te e tu mi spezzerai il cuore. Ti stancherai, mi getterai via e io non sopporterò di diventare solo un ingombro.»
Olimpia respirava sussurrandogli nella bocca, vicinissima a lui anche senza la costrizione delle sue mani a trattenerle la testa.
«Non possiamo conoscere il futuro, nessuno può. Potresti essere tu a spezzarmi il cuore. Potresti essere tu a gettarmi via» le bisbigliò parlandole con pazienza a un millimetro dal volto, inspirando l’essenza di vaniglia e chissà cosa che sulle labbra di Olimpia si era mischiata al sapore amarognolo della birra.
«Baciami ancora.»
Persa, la capitolazione sarebbe stata totale. Lui non ebbe bisogno di una seconda richiesta, si fece strada tra le sue labbra e andò alla ricerca della sua lingua con la propria, esplorando ogni anfratto di Olimpia, gustando ogni millimetro dell’antro vellutato. Strati e strati di stoffa li separavano, ma il calore che emanava il corpo di lei era talmente invitante che l’eccitazione lo scosse subito. Le premette una mano sul sedere morbido e rotondo, così perfetto, né troppo piccolo né troppo grande, alto, ben disegnato, e l’avvicinò al proprio inguine per farle sentire quanto la desiderava. Olimpia non si ritrasse, resa audace dalla lingua di Leo, gli passò una mano sulla schiena, così grande e accogliente, lasciando che il calore che le inumidiva il centro delle cosce le scaldasse ogni fibra. Aveva perduto la battaglia per raffreddare il proprio cuore e adesso, ne era sicura, la mente sarebbe stata occupata da lui, piena e straboccante di lui, senza più spazio per niente altro, neanche per quel fratello che era sparito.






Quando Olimpia aprì gli occhi, provò a muoversi. Aveva un braccio pesante di Leo sopra il seno. Le tornarono in mente le immagini delle ore precedenti, i baci, le carezze, anche quelle più spinte.
Aveva tracciato con la lingua le sagome di ogni singolo tatuaggio, baciando la forma della colomba dei Bianchi di Santo Spirito su un pettorale, quella del Perseo, del David, il Palazzo Vecchio su un bicipite e il grande giglio della Fiorentina che occupava tutto l’altro. Era passata con perizia, baciando ogni smerlo, sullo skyline di Firenze tatuato dall’una all’altra delle spalle larghe e non aveva tralasciato neanche la grossa croce celtica disegnata sulla nuca. Non sapeva davvero che il sesso potesse essere così.
Non glielo aveva detto, ma quelli con lui erano stati gli unici orgasmi della sua vita, tanto che quando lui l’aveva toccata, regalandole il primo, si era quasi impaurita, ignorante sull’argomento, aveva pensato che il suo corpo si spezzasse o di sembrargli stupida e ridicola con i muscoli fuori dal suo controllo, abbandonata al piacere, troppo piccola per contenere un’estasi così grande.
Si eccitò di nuovo al pensiero del corpo di Leo e di come lo aveva morso, graffiato, accarezzato e una scintilla di malizia le mosse i pensieri ancora prima dell’intraprendenza delle mani. Voleva un altro orgasmo, all’improvviso egoista come non era mai stata.
Leo sentì dei movimenti piccoli e scattosi vicino, anzi, sotto di lui. Con gli occhi ancora chiusi si accorse che qualcuno stava entrando dentro i suoi boxer e reagì subito al respiro caldo sul membro già vigile, spalancò gli occhi incredulo e sorrise afferrando una ciocca di lunghi capelli neri per dettarle il ritmo. Era dannatamente brava o aveva l’istinto di una puttana perché faceva cose con la lingua che non aveva mai sentito fare.




Il sangue si bloccò nelle vene del collo ingrossandole e probabilmente non arrivò al cervello perché non pensò a niente sferrando il primo pugno, né quando ne sentì uno raggiungergli lo zigomo, pesante come un’incudine. Il viso di Antonio era passato da aggressivo a impaurito per diventare terrorizzato nel momento in cui aveva capito che Leo non si sarebbe fermato: nessuno dei cazzotti che aveva messo a segno lo avevano mandato ko. Leo era in piedi, cattivo, con la faccia assassina e un ghigno spietato che gridava soddisfazione. Picchiava con una forza e una precisione difficile da reggere. Due, tre, quattro, cinque cazzotti. Piovevano da ogni lato le sue mani pesanti. Antonio cercò più di una volta di raggiungere la porta, ma Leo non mollava.
«Leo! Leo! Mio Dio, smettila lo ucciderai! Leo, piantala!»
La voce di Olimpia lo riportò finalmente alla ragione. Si accorse di essere a cavalcioni su Antonio, ormai semi svenuto sotto l’assalto dei suoi pugni. Era raccapricciato e obnubilato dalla rabbia per la scena a cui aveva assistito. Stava alimentando il proprio livore violento con il pensiero di cosa sarebbe successo se non fosse arrivato in tempo.



1 commento:

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