Respiro Readers
con piacere ospitiamo il Blog Tour
della prossima nuova uscita edita Words Edizioni
del romanzo dell'autrice Pitti Duchamp.
La tappa è dedicata alla Trama ed agli Estratti.
TITOLO: Sabbia Bianca
AUTRICE: Pitti Duchamp
CASA EDITRICE: Words Edizioni
SERIE: I Giganti del Calcio Storico #1
GENERE: Romance Contemporaneo
DATA USCITA: 16 Settembre 2020
La perfezione, ecco cosa pretende l’avvocato Leopoldo Carsini dalla vita. Quando conosce Olimpia, quello a cui mira in ogni cosa che fa si concretizza nell’azzurro intenso dei suoi occhi. Lei ha tutte le carte in regola per stargli accanto e lui la vuole, spinto da un desiderio razionale distante da ogni sentimentalismo. Ma la complessità di Olimpia si svela a poco a poco, durante la ricerca di un fratello sparito nel nulla, mentre riaffiorano dispiaceri e solitudine da un passato familiare sofferto. E così, il cuore di Leo, impantanato nella sabbia di piazza Santa Croce, là dove le partite del calcio storico fiorentino danno vita a leggendari scontri tra gladiatori moderni, comincia a battere più forte. Una storia d’amore e di cambiamento con tre protagonisti: un avvocato dalla doppia faccia, una ragazza di buoni sentimenti e una Firenze sospesa tra il presente e un passato attualissimo, vissuta, graffiata, leccata e amata.
«Se lo scordi. Non voglio certo che
Rebecca pensi che mi stia corteggiando.»
«Che magnifica parola ha usato.»
«Prego?» lo guardò interrogativa.
«Lei è un pozzo di ispirazione per le
mie fantasie. Non ha detto che ci
sto provando, ma che la
sto corteggiando. Raro per
una donna giovane usare l’italiano in modo romantico» scherzò,
portandosi la mano al petto.
«Diciamo però che il significato è
che non voglio che Rebecca pensi che lei ci stia provando, o magari
che ci stia provando io. È ancora innamorata di lei, sa?» disse
pentendosi subito della dichiarazione. Non era per nulla educato
parlare di Rebecca alle sue spalle. Nonostante fosse una tremenda
rompiscatole, era pur sempre il suo capo e la persona che l’aveva
indirizzata allo studio Carsini.
«Sì, un sacco di signore dicono di
esserlo, ma non sanno neanche loro di cosa sono innamorate» rispose
Leo svogliato.
«Comunque, non credo che mi avrà nella
sua lunga lista di conquiste» continuò Olimpia, forse in modo
troppo brusco, ma era giusto per mettere le cose in chiaro.
Quell’uomo non era il tipo da storia tranquilla tutta sorrisi e
selfie romantici. Era uno che l’avrebbe fatta salire su delle
montagne russe talmente vorticose che, pur di scendere, si sarebbe
lanciata di sotto. «Non ho voglia di essere abbandonata senza un
perché.»
«Un perché c’è sempre: a volte è
il modo in cui una donna mangia, a volte è che non sopporto come si
veste o cammina, ha l’alitosi o non mi soddisfa a letto. O magari
non le piacciono i funghi, che a me fanno impazzire» le sussurrò
avvicinandosi, sporgendo il torace ampio sopra il tavolino mentre
Olimpia si tratteneva rigida sulla sedia.
«I suoi
perché sono
molto profondi, in effetti» ironizzò lei. «Mi chiedo se li ha mai
comunicati alle sue compagne. Immagino che le sue donne non superino
i venti, ventun anni. È più facile abbindolare le ragazzine.»
Leo avvicinò alla bocca di Olimpia un
triangolo di pizza. Vide le labbra di lei avere un fremito di
indecisione. Dai, Venere, apri
la bocca, non farti pregare, cedimi. Schiudere
le labbra voleva dire farlo entrare, farsi penetrare dall’ingordigia,
cedere alla volgarità ignorante di una fetta sugosa e unta di salame
piccante. Capitolare davanti alla lussuria del cibo e arrendersi a
lui che la stava tentando, glielo leggeva in viso, abbattendo le
barriere di una disciplina fatta di insalate, tacchi tredici e
garbate distanze. Leo si trovò a scommettere che se avesse aperto la
bocca sarebbe stata sua. Olimpia si ritrasse solo per un istante, lo
guardò negli occhi con quei suoi destabilizzanti fanali azzurri,
interrogativi e seducenti, socchiuse le labbra e addentò la punta
sugosa e pesante del triangolo di pizza farcito.
«Mi dispiace, non la volevo mettere in
difficoltà con Rebecca» le sussurrò lui con un tono che voleva
dire adesso mi metto ai tuoi
piedi per cominciare a spogliarti dalle scarpe,
e un viso soddisfatto, pago della resa della sua Venere bruna.
Lei sorrise, inghiottì con lentezza,
attenta a mettere bene in mostra la gola, e rispose: «Doveva
pensarci prima.»
«Impossibile pensare con lei davanti»
disse lui assumendo il solito tono scherzoso senza cambiare
l’espressione della faccia.
«Non può dire queste cose, avvocato!»
«Certo
che posso. Io sono franco e sincero.»
«Ti desidero, voglio fare l’amore con
te e poi ancora e ancora e non voglio staccarmi più» le mormorò
con i nasi che si sfioravano.
«Mi innamorerò di te e tu mi spezzerai
il cuore. Ti stancherai, mi getterai via e io non sopporterò di
diventare solo un ingombro.»
Olimpia respirava sussurrandogli nella
bocca, vicinissima a lui anche senza la costrizione delle sue mani a
trattenerle la testa.
«Non possiamo conoscere il futuro,
nessuno può. Potresti essere tu a spezzarmi il cuore. Potresti
essere tu a gettarmi via» le bisbigliò parlandole con pazienza a un
millimetro dal volto, inspirando l’essenza di vaniglia e chissà
cosa che sulle labbra di Olimpia si era mischiata al sapore
amarognolo della birra.
«Baciami ancora.»
Persa, la capitolazione sarebbe stata
totale. Lui non ebbe bisogno di una seconda richiesta, si fece strada
tra le sue labbra e andò alla ricerca della sua lingua con la
propria, esplorando ogni anfratto di Olimpia, gustando ogni
millimetro dell’antro vellutato. Strati e strati di stoffa li
separavano, ma il calore che emanava il corpo di lei era talmente
invitante che l’eccitazione lo scosse subito. Le premette una mano
sul sedere morbido e rotondo, così perfetto, né troppo piccolo né
troppo grande, alto, ben disegnato, e l’avvicinò al proprio
inguine per farle sentire quanto la desiderava. Olimpia non si
ritrasse, resa audace dalla lingua di Leo, gli passò una mano sulla
schiena, così grande e accogliente, lasciando che il calore che le
inumidiva il centro delle cosce le scaldasse ogni fibra. Aveva
perduto la battaglia per raffreddare il proprio cuore e adesso, ne
era sicura, la mente sarebbe stata occupata da lui, piena e
straboccante di lui, senza più spazio per niente altro, neanche per
quel fratello che era sparito.
Quando Olimpia aprì gli occhi, provò a
muoversi. Aveva un braccio pesante di Leo sopra il seno. Le tornarono
in mente le immagini delle ore precedenti, i baci, le carezze, anche
quelle più spinte.
Aveva tracciato con la lingua le sagome
di ogni singolo tatuaggio, baciando la forma della colomba dei
Bianchi di Santo Spirito su un pettorale, quella del Perseo, del
David, il Palazzo Vecchio su un bicipite e il grande giglio della
Fiorentina
che occupava tutto l’altro. Era passata con perizia, baciando ogni
smerlo, sullo skyline di Firenze tatuato dall’una all’altra delle
spalle larghe e non aveva tralasciato neanche la grossa croce celtica
disegnata sulla nuca. Non sapeva davvero che il sesso potesse essere
così.
Non glielo aveva detto, ma quelli con
lui erano stati gli unici orgasmi della sua vita, tanto che quando
lui l’aveva toccata, regalandole il primo, si era quasi impaurita,
ignorante sull’argomento, aveva pensato che il suo corpo si
spezzasse o di sembrargli stupida e ridicola con i muscoli fuori dal
suo controllo, abbandonata al piacere, troppo piccola per contenere
un’estasi così grande.
Si eccitò di nuovo al pensiero del
corpo di Leo e di come lo aveva morso, graffiato, accarezzato e una
scintilla di malizia le mosse i pensieri ancora prima
dell’intraprendenza delle mani. Voleva un altro orgasmo,
all’improvviso egoista come non era mai stata.
Leo sentì dei movimenti piccoli e
scattosi vicino, anzi, sotto di lui. Con gli occhi ancora chiusi si
accorse che qualcuno stava entrando dentro i suoi boxer e reagì
subito al respiro caldo sul membro già vigile, spalancò gli occhi
incredulo e sorrise afferrando una ciocca di lunghi capelli neri per
dettarle il ritmo. Era dannatamente brava o aveva l’istinto di una
puttana perché faceva cose con la lingua che non aveva mai sentito
fare.
Il sangue si bloccò nelle vene del
collo ingrossandole e probabilmente non arrivò al cervello perché
non pensò a niente sferrando il primo pugno, né quando ne sentì
uno raggiungergli lo zigomo, pesante come un’incudine. Il viso di
Antonio era passato da aggressivo a impaurito per diventare
terrorizzato nel momento in cui aveva capito che Leo non si sarebbe
fermato: nessuno dei cazzotti che aveva messo a segno lo avevano
mandato ko. Leo era in piedi, cattivo, con la faccia assassina e un
ghigno spietato che gridava soddisfazione. Picchiava con una forza e
una precisione difficile da reggere. Due, tre, quattro, cinque
cazzotti. Piovevano da ogni lato le sue mani pesanti. Antonio cercò
più di una volta di raggiungere la porta, ma Leo non mollava.
«Leo!
Leo! Mio Dio, smettila lo ucciderai! Leo, piantala!»
La voce di
Olimpia lo riportò finalmente alla ragione. Si accorse di essere a
cavalcioni su Antonio, ormai semi svenuto sotto l’assalto dei suoi
pugni. Era raccapricciato e obnubilato dalla rabbia per la scena a
cui aveva assistito. Stava alimentando il proprio livore violento con
il pensiero di cosa sarebbe successo se non fosse arrivato in tempo.
Grazie infinite!
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