giovedì 2 luglio 2020

Recensione Romanzo - BY ANDREA - L'ARTE DI CAMBIARE di Enrico Valente

















Assoggettati a una macchina produttiva che fa dell'ambizione e dell'ansia da riconoscimento il suo eterno motore la condizione esistenziale dell'uomo moderno appare mai come prima d'ora inautentica e priva di senso. Il bisogno di trovare un rimedio spinge il nostro essere ad attivarsi in direzioni apparentemente opposte: da una parte alla ricerca del piacere ammaliante dell'amore che consente di liberarci dal peso della nostra dimensione individuale annichilendo i sensi ed evocando dolci e rassicuranti vissuti infantili, dall'altra verso un percorso di inconcludente affermazione personale voluto da un Io ipertrofico affamato di apprezzamenti e di conferme del proprio valore.
Due condotte a prima vista antitetiche ma che attingono nutrimento dalle stesse radici: quelle del bisogno dell'altro, della impossibilità di farne a meno per nutrire la nostra autostima, per sentirci appagati e realizzati come individui.
Ma un'esistenza che miri ad espandersi e che voglia fare della gioia lo scopo supremo nella vita, non può restare per sempre aggrappata alle proprie certezze, ancorata ad un presente senza futuro dove a farla da padrone è solo il nostro bisogno inesauribile di conferme. Ed è proprio nella dialettica tra bisogno di stabilità e desiderio di cambiamento che entra in gioco la relazione con l'altro che lungi dal costituire la risposta alle mie insicurezze, mi offre un'opportunità di trascendenza che spezza le catene del bisogno e spiega le ali del desiderio.








“L’Arte di cambiare. Da bisogno a desiderio dell’altro” di Enrico Valente è un saggio incentrato sull’analisi del desiderio come problema filosofico/antropologico e psicologico. Il desiderio è un anelito di trascendenza, de-sidero significa infatti dal punto di vista etimologico “essere lontani dalle stelle”. Il desiderio può essere quindi il motore del cambiamento, della crescita personale e anche della possibilità di trascendenza rispetto a una realtà appiattita sull’immanenza e sulla materialità.
A mio avviso la tesi fondamentale del libro di Valente è la differenza tra il piacere individualista, materialista, in qualche modo “capitalista” dell’autoaffermazione e quello irrazionale, estatico, totalizzante dell’amore come fusione totale nell’Altro e “annullamento” dell’individualità.
Con una posizione razionale e condivisibile, Valente ritiene che sia necessario trovare un punto di equilibrio tra queste due tipologie di piacere. La coscienza interviene a impedire quella fusione totale, quell’annullamento dell’individualità che può produrre uno stato estatico temporaneo, ma ha come ombra proiettata quella di una possibile dipendenza affettiva.
Il piacere come autoaffermazione, potremmo dire come “accumulazione” è invece interno a quella che Erich Fromm definisce modalità esistenziale dell’avere, che possiamo considerare caratterizzante e dominante la nostra epoca. Valente, sulla scia di Fromm, ritiene questa modalità esistenziale “tossica” preferendole la modalità dell’essere, tipica della tradizione orientale, nella quale al centro ci sono “la persona e le sue qualità esistenziali” e il processo continuo di cambiamento e miglioramento di se stessi.
Le tesi che Valente riprende da Fromm sono dal punto di vista teorico, largamente condivisibili. Tuttavia, non si può omettere di sottolineare come quest’ultimo scrivesse nel Novecento e oggi la differenza tra approccio occidentale e orientale sia molto più sfumata.
Le culture orientali sono state interessate da quel processo che in antropologia è definito “inculturazione”: di fatto, ormai le società orientali funzionano secondo paradigmi occidentali, basti pensare al modello cinese, che dietro la facciata comunista è capitalista e iperliberista, o all’uso massiccio dei social network, tipico prodotto della filosofia libertarian e anarco-capitalista americana, da parte del terrorismo islamista. La modalità dell’avere, a livello sociale, è ormai dominante.
La modalità dell’essere, vicina a quella dell’artista a mio avviso nella società contemporanea può essere ricercata solo a livello individuale, costruendosi quella che Michel Foucault definiva un’estetica dell’esistenza.
Valente affronta, fra l’altro, il tema del dolore in autori come Leopardi e Schopenauer, prendendo in qualche modo le distanze dal loro pessimismo radicale, sempre con uno sguardo alle possibilità che anche dal dolore si aprano prospettive di cambiamento. Dal punto di vista filosofico, Valente segue la linea della critica radicale all’idea cartesiana del cogito “io penso” secondo la linea di Nietzsche, poi radicalizzata e messa a punto dagli autori di quella che negli Usa viene definita French Theory: Ricoeur, Foucault, Derrida, Lèvinas (l’unico a essere esplicitamente citato).
L’amore e il desiderio di fusione implicito nel sesso sono secondo Valente, spinte necessarie alla trascendenza e al cambiamento, ma trovano in qualche modo dei limiti nella coscienza e nelle norme sociali, quelle che Freud chiamava “Super-io”. L’autore ritiene che sia necessario un bilanciamento tra la tendenza all’autoaffermazione e quella alla fusione, e che l’amore, per generare un cambiamento e un’evoluzione positiva dell’individuo, non debba nascere da un bisogno (quindi da un’istanza materiale) ma da un de-siderio, un anelito alla trascendenza.
Il lavoro di Valente è ben documentato, mostrando un’ottima conoscenza degli autori citati e analizzati. La lettura è consigliata a chi ha delle buone conoscenze di base di filosofia e psicologia. Lo stile di esposizione talora risulta eccessivamente lambiccato e complesso, nonostante il testo non sia destinato esclusivamente ad addetti ai lavori. Interessantissima è l’idea di analizzare il tema del desiderio e del suo uso politico nella società affluenti e capitalistiche, non sempre aggiornatissimi i riferimenti culturali utilizzati: come ho sottolineato, è ad esempio assente un’analisi del tema negli autori della French Theory, con l’eccezione di Lévinas.
La tesi di fondo del libro è invece condivisibile: è necessario trovare un equilibrio tra la spinta individualizzante al piacere come autoaffermazione, e quella estatica, ma rischiosa del piacere come fusione totale nell’altro che può portare a pericolose dipendenze affettive: “nel rapporto tra volontà di fusione e volontà di affermazione personale si decide il nostro destino”. Sta a noi trovare il punto di equilibrio che ci permette di mettere in moto processi di cambiamento positivo.
L’arte di cambiare. Dal bisogno al desiderio dell’altro, nonostante alcuni limiti di tipo stilistico (la complessità e la farraginosità a volte eccessive) e teorico (l’assenza del riferimento dell’analisi del desiderio in autori più contemporanei come Foucault e Deleuze) rimane un lavoro interessante e condivisibile nella sua tesi fondamentale.















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