Che senso ha l’espressione, fuori di testa? Semmai, le persone che nella loro esistenza di tutti i giorni si sentono strette Come il mare in un bicchiere, sono Dentro di Testa. Barricate nei loro pensieri o nelle loro emozioni esagerate. Persone smarrite, come sentono di essere Chiara, la protagonista di queste pagine e quegli amici che lei ha sempre chiamato gli Animali dell’Arca Senza Noè.
Che però, quando la tragedia del Coronavirus impone di chiudersi in casa, hanno una reazione misteriosa. Contrariamente a chi di solito è capace di stare al mondo e si ritrova disorientato, Chiara e Daniela e Pierantonio e Ludovica e Gollum sembrano fin troppo capaci di sopportare questa quarantena. Ma doveva proprio ammalarsi il mondo, per permettere a loro di sentirsi meglio? Che cosa c’è, nelle restrizioni a cui sono chiamati, che li rassicura, e come potrebbero farsi ispirare da quelle restrizioni, anche quando il mondo, finalmente, guarirà?
Chiara Gamberale, sempre così pronta a inventarsi modi originali per dare voce a ciò che sentiamo, nell’epocale primavera 2020 ha scritto una testimonianza che è allo stesso tempo un urlo e un abbraccio (senza mascherina). Parole forti, nuove, che portano ognuno di noi a chiedersi se, “finito quest’incubo, potremo rendere interiori e spirituali i gesti che per proteggerci da quest’incubo abbiamo dovuto imparare.” Perché quel metro di distanza dagli altri, sia quando si infrange sia quando si rispetta, è comunque un potere nelle nostre mani.
Se
sapessimo di che cosa abbiamo bisogno, non avremmo bisogno dell’amore
(Chiara Gamberale, L’isola dell’abbandono)
Dal suo
esordio “La vita sottile” sono stato un lettore accanito ed
entusiasta dei libri di Chiara Gamberale. Ne ho amato la scrittura
intima, delicata e insieme avvolgente, la percezione che scrivesse
per una necessità autobiografica, la perfetta descrizione delle
geometrie, delle alchimie, dei misteri che caratterizzano le
relazioni amorose e di amicizia, i titoli straordinari come “Quattro
etti d’amore, grazie” o “Le luci nelle case degli altri”.
Con “Come
il mare in un bicchiere” Chiara ci apre la sua casa e il suo cuore
raccontando direttamente sé stessa. Come lei stessa ammette, è un
libro nato da una necessità impellente: riflettere e condividere con
i suoi lettori la straordinaria (lo scrivo non nel senso positivo
comunemente attribuito a questa parola, ma nel senso di non-ordinaria
e spero irripetibile) esperienza del cosiddetto lockdown.
Chiara Gamberale ha solo qualche anno più di me, le nostre
generazioni sono state abituate a dare per scontate le libertà
individuali e personali, così come quelle più giovani, non abbiamo
vissuto neppure “gli anni di piombo” e siamo cresciuti negli
spensierati anni Ottanta e Novanta. Il nostro primo trauma è stato
l’11 settembre 2001, che però, di fatto, non ci ha poi cambiato la
vita come pensavamo, a meno di non salire su un aereo. Con il
lockdown i poteri
pubblici per la prima volta sono entrati direttamente nelle nostre
vite private, costringendo molte coppie a convivenza forzata (che
oggi sappiamo essere causa di divorzi), dividendo per mesi le coppie
che si amavano a distanza in città e regioni diverse, così come
genitori e figli, nonni e nipoti, “famiglie” allargate come il
gruppo di amici che Chiara definisce la sua Arca di Noè. Come per
l’11 settembre, tutti ricordiamo il momento in cui la vita ci è
crollata addosso: il 7 marzo io stavo tornando da Massa, in Toscana,
dove già si respirava un’aria stranissima.
In me sto
bene /come un mare in un bicchiere /ma se sono confinato in questo
calice/ qualcuno mi può bere. Il titolo
riprende un incantevole verso di questa poesia.
Chiara ci
invita a riflettere, aprendoci la sua casa e il suo cuore, sugli
effetti a volte totalmente imprevedibili che questa esperienza
psichica può aver avuto sulle persone. Lei si è trovata a convivere
a Roma per alcune settimane con il padre della figlia Vita,
un’esperienza per lei nuova, e costretta a costruire un percorso di
protezione per Vita stessa dagli orrori e le paure del mondo esterno.
Quando anche il padre di Vita parte per tornare a lavorare a Milano,
loro restano sole. E Chiara racconta la sua reazione del tutto
inaspettata a questa situazione apparentemente inquietante, ci
confessa che prima si trovava in crisi, persa nel “Dentro di testa”
persa nel suo mondo interiore, estenuata dalla vita frenetica di
messaggi, telefonate, inviti, presentazioni, occasioni sociali
caratteristica di una persona nota. Racconta un pensiero di cui si
“vergogna”: aver colto l’occasione di scaricare sui Dpcm del
premier Conte, che la figlia chiama il “Grande Peppe” per
distinguerlo da un suo amico, il desiderio represso di sottrarsi a
delle esperienze personali e sociali che la stavano estenuando, persa
come era nel suo “Dentro di Testa”. Insieme ci racconta la
consapevolezza che la situazione era comunque orribile e che il suo
primo pensiero sarebbe stato l’amore per sua figlia Vita e la
necessità di salvaguardarla. Di fronte a un evento cosi grande, a
una pandemia, a una tragedia sanitaria, a una risposta politica molto
forte e discutibile per la compressione delle libertà che davamo per
scontate e la pretesa di disciplinare le nostre vite private, è
giusto dire sempre “io” “io” “io”, pensare solo a sé
stessi?? La questione secondo me è prima di tutto sociopolitica, ma
il libro non la vuole affrontare in sé, lavorando sulla percezione
dell’autrice, e sulla natura intima, psichica di questa esperienza.
I mesi di
lockdown per Chiara
sono l’occasione per provare a costruire un personalissimo
“protocollo di autodifesa psicologia ed emotiva che questa
incredibile tragedia ci potrebbe suggerire”. Il famoso “metro di
distanza” diviene per Chiara il pretesto per ragionare sullo spazio
fra noi e gli altri, sulla differenza fra le persone che vogliamo far
avvicinare “violando” quel metro, le persone da amare e da
abbracciare, e quelle con le quali vogliamo “mantenere le
distanze”.
Chiara, a
partire da una sensazione personale, della quale ammette di essersi
“vergognata” ci illumina come per molte persone la libertà come
responsabilità e dovere di scelta fosse pesante, e per molti sia
stato comodo avere qualcuno, un premier o un gruppo di apparentemente
insindacabili esperti che ci dicesse cosa fare, persino nell’intimità
delle nostre case. Personalmente, ho avuto una reazione opposta, sono
stato molto male dal punto di vista psichico e molto critico dal
punto di vista sociopolitico, ma conosco diverse persone che (almeno
in una prima fase) hanno vissuto questo periodo quasi come fosse
rilassante, una sorta di “fermate il mondo, voglio scendere”.
Chiara illustra le reazioni opposte alla sua dei suoi amici, Elisa e
Vincent, persone anche loro iperattive, ma con temperamenti diversi,
lui diviso dalla sua amata da una relazione a distanza. Secondo
Chiara, chi stava male nel mondo di fuori, ha trovato per un po’
l’alibi per rifugiarsi nel suo “Dentro di testa”; chi nel “Là
di fuori” stava benissimo, “sapeva vivere” è andato in crisi
profondissima trovandosi solo, depresso e smarrito. Ogni persona ha
reagito in maniera diversa, e talora si sono verificate vere e
proprie mutazioni di personalità, trasformando persone attive ed
estroverse in soggetti chiusi e diffidenti, e persone più
introverse, come ero io prima di questo periodo, in aperte verso gli
altri, estroverse e attive, a volte anche politicamente, tutte
proiettate nel “Là di Fuori”.
Chiara
propone di interiorizzare e sublimare quelle pesantissime restrizioni
usandole come una “danza” personale per riorganizzare la nostra
vita, proteggerci dal “Là di Fuori” quando diviene invadente e
stressante, proteggerci dalle persone che non ci danno niente, che ci
sottraggono energie e vita, e nello stesso aprirsi
incondizionatamente alle persone che amiamo, a quelle che vogliamo
far avvicinare a meno di un metro, a quelle che fanno e faranno parte
della nostra vita: amori, amicizie, affetti familiari, perché, come
afferma lei “famiglia è dove famiglia si fa”. E infatti,
esattamente come è accaduto a me, per lei punto di rottura della
narrazione dominante, affidarsi acriticamente alle istituzioni
politico-scientifiche, è stato il discorso del 26 aprile sui
“congiunti” e gli “affetti stabili”: c’erano congiunti
mai conosciuti che potevamo incontrare e persone amate che non
potevamo incontrare perché prive di legami “ufficiali” con noi,
amori lontani e amicizie lontane. Afferma Chiara, ci sarebbe stata
dovuta dare la possibilità di autocertificare chi erano i “nostri
affetti stabili”: lei ci ricorda che alcune amicizie, come la sua
Arca di Noè, possono essere più stabili e durature degli amori.
In
conclusione, Chiara riprende un’espressione del “Pdv” il padre
di Vita, “pulire i filtri”. Questo lungo incubo, al di là delle
valutazioni politico-sociali ed economiche, è stato per le persone
l’occasione di “pulire i filtri”. Chi mi
manca, mi manca moltissimo, chi non mi manca, non mi manca
moltissimo, afferma una scrittrice amica di
Chiara.
In questo
aspetto, come nell’etimologia greca, la crisi è stata
un’opportunità per fare pulizia di relazioni tossiche, sia amorose
che di (forse falsa) amicizia, di rapporti tenuti in piedi per
inerzia, di dipendenze affettive, di lavori odiati, di oggetti
inutili, Una pulizia dei filtri che quando lentamente, ma credo
inesorabilmente, siamo tornati a vivere, a lavorare, a amarci, a
incontrarci ci ha permesso di aprire la nostra porta e il nostro
cuore a persone ed esperienze nuove. E’ quello che è successo a
me, ho attraversato due mesi terribili nei quali avevo perso ogni
speranza, poi lentamente mi sono risvegliato, ho pulito i filtri e la
mia vita ora sta rifiorendo, cercando, come dice Chiara, di
trasformare quell’esperienza in una danza simile a quella del Tai
Chi. Chiara ci lascia una pagina bianca: per fare una lista delle
persone che ci hanno fatto sentire meno soli durante questo incubo.
Ognuno può scrivere la sua.
Come il
mare in un bicchiere è un libro
straordinario, un piccolo gioiello nella quale una persona nota ci
apre la porta del suo cuore e della sua casa e ci indica una via, un
protocollo di autodifesa, come afferma, da una tragedia incredibile,
che io ritengo sia stata nello stesso tempo sanitaria, politica,
economica, emotiva, psichica.
Chi ama la
scrittura, lo stile, i personaggi, la delicatezza di Chiara Gamberale
non può che adorare questo libro, anzi quaderno, e tenerlo sempre
con sé. Un “livre de
chévet” come dicono
i francesi. Ma la lettura di “Come un mare in un bicchiere” è
consigliata per tutti, in quanto ci insegna a cercare di estrarre
qualcosa di positivo anche da questo periodo orribile senza indulgere
alle retoriche un po’ disturbanti del sacrificio
per gli altri e dell’andrà
tutto bene, ma semplicemente cogliendo
l’occasione per cercare di rifiorire. Perché il mare in un
bicchiere può anche stare bene, ma rischia di essere bevuto. Grazie
a Chiara per aver condiviso la tua esperienza con noi.
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