Silfrida è una giovane donna Gota, venduta come schiava dagli usurpatori dell’Imperatore Teodosio e poi adottata da una coppia di romani che abita nei pressi di Verona, sulla via Postumia. È timida e timorosa, la evitano tutti a causa della sua origine barbara. Ma il Fato è in agguato e la sua vita verrà sconvolta per sempre. Il Padre che credeva perduto è il temibile Alarico, a capo dell’orda di barbari che invade il nord Italia. Partirà alla sua ricerca accompagnata da un giovane e valoroso guerriero Goto. Ma i legionari romani sono sulle loro tracce, la battaglia del Tanaro incombe. Riusciranno i due giovani a coronare il loro sogno d’amore e ritrovare Alarico.
Il
romanzo, ambientato durante l’Impero romano, descrive le
battaglie tra le milizie romane e i guerrieri Goti. Tutto ha inizio
con il massacro delle donne nelll’accampamento goto, e i bambini
rapiti per essere venduti come schiavi. Tra questi c’è Silfrida,
figlia del condottiero Alarico. Nelle sue traversie come schiava, la
ragazza è stata molto più fortunata degli altri, poiché viene
adottata da una famiglia che l’ha accolta come fosse una figlia.
Silfrida,
dalla bellezza nordica, è contesa da due personaggi del romanzo: il
fratellastro Tullio, e il tribuno Lucio. Tuttavia il cuore di
Silfrida è rapito dal valoroso e giovane guerriero goto, Ghiveric,
che suo padre Alarico le affianca affinché la scorti nel lungo
viaggio per ricongiungersi alla sua gente.
A causa del tribuno
Lucio deciso a riprendersi Silfrida, il viaggio si rivelerà per i
due giovani amanti una lunga corsa alla sopravvivenza.
È
il primo romanzo che leggo di questa brava autrice e sono rimasta
veramente rapita dallo stile con cui è riuscita a trascinarmi nella
storia e, al tal punto, di percepire le avventure dei personaggi come
se fossero realmente esseri umani.
Per di più, ho trovato i
periodi storici ben delineati nei minimi particolari, rendendo adatta
la trama anche ai non amanti del romanzo cosiddetto “storico”.
Più
di una pecca, però, credo sia doveroso riportarla. In primis la
ricchezza dei termini latini, che se fossero stati scritti con le
dovute citazioni invece che riportati a piè di pagina, avrebbero
facilitato il lettore alla lettura e soprattutto velocizzato il ritmo
della narrazione.
La
seconda: è la facilità con cui Silfrida esprime i suoi sentimenti
prima per Lucio poi per Ghiveric.
In
questa parte l’intreccio confonde le aspettative del lettore. So
che l’autrice avrebbe voluto lasciare un segno di suspence come
avviene nei romanzi rosa: “Chi sceglierà l’eroina della storia?
Tizio o caio?”.
Per tale genere avrei evitato questa escamotage.
La parte storica è interessante e cronologicamente attendibile e,
anche se gran parte di noi l’abbiano studiata a scuola, credo che
un buon ripasso introdotto nel romanzo di Giovanna Barbieri non possa
che suscitare nel lettore solo che dei buoni ricordi.
So
che non è stato facile per l’autrice narrare un simile spaccato
storico, quello dell’Impero romano dell’anno 394 d.C. per poi
approfondirlo. Tuttavia, uno sguardo che a un attento lettore non
dovrebbe sfuggire, è la condizione di asservimento al proprio marito
o compagno che la donna era costretta a subire in quel periodo
storico e non solo. Diciamocelo pure, nel corso dei secoli la donna è
stata sempre costretta a sottomettersi alla volontà del padre o del
proprio marito. La donna era poco più che un semplice oggetto da
vendere al primo offerente.
Un
plauso comunque all’autrice, per aver dato vita a un componimento
narrativo storico-romantico laddove pochi, almeno di quelli che ho
letto fino a ora, sia riuscito a raccontare.
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