Respiro Readers
vi segnaliamo il romanzo
dell'autore italiano Nicola Ianuale.
TITOLO: Lo scrittore solitario
AUTORE : Nicola Ianuale
CASA EDITRICE: Self Publishing
GENERE: Narrativa
PAGINE: 177
PREZZO EBOOK: 0.99
PREZZO CARTACEO: 10.00
DATA USCITA: 29 Dicembre 2019
Lo
scrittore solitario è la storia di Daniele Serpico, detto “Dan”,
diciassettenne malato d’apatia, e di William Esposito, talentuoso
scrittore emergente, le cui esperienze sono legate da un fil rouge
più forte di quanto essi immaginano. Il primo incontra il secondo in
una fase anarchica della sua vita, in cui la consapevolezza
dell’incoerenza e della falsità che lo circondano lo hanno reso
insensibile e privo di qualsivoglia vitalità. Arrancando nella
tediante routine quotidiana, Daniele fa la conoscenza di William
prima sugli scaffali di una libreria, acquistando quello che la
critica ha definito il romanzo del nuovo Fitzgerald, e poi nella via
del Passo Vecchio, la strada in cui abita, carica di esoterici e
misteriosi fascini celati. Muovendosi in un’atmosfera pirandelliana
dal retrogusto kafkiano, le vite di William e Dan navigano in
parallelo su acque all’apparenza cristalline ma, in realtà,
salmastre, scortate da un caleidoscopico carosello di personaggi
secondari ambigui, saccenti e contraddittori. Scavando a fondo
nell’eterno dualismo tra vincenti e perdenti, William percorrerà
la via della perseveranza, inseguendo un antico obiettivo, e Dan
andrà alla ricerca dei pezzi mancanti per ricomporre l’enorme e
metaforico mosaico della criptica vita di William, chiave di volta
per comprendere meglio sé stesso.
Capitolo uno
Sono nato negli anni in
cui regnava l'incoerenza; in quegli anni in cui tutto ciò che
appariva non era reale e tutto ciò che era reale sfociava in
un’inesorabile contraddizione. Erano tempi in cui ognuno di noi
indossava delle maschere e nessuno era chi diceva di essere. In quel
mondo perverso, i cliché della società avevano defraudato l'uomo
della semplice capacità di pensare o agire secondo il proprio volere
ed ogni cosa aveva perso il suo reale significato. Sotto il segno di
queste premesse, l'età dei Social troneggiava su di un mondo
plasmato attraverso falsità, inganni e bugie. A quei tempi, noi
tutti tendevamo all'incoerenza; eravamo una generazione senza ideali,
senza aspirazioni, una generazione infiacchita dall'enorme progresso
tecnologico che, lentamente, ci aveva privati della forza di volontà,
rendendoci schiavi delle menzogne e del credo virtuale. Non
esistevano più sentimenti autentici, nessuno riusciva ad instaurare
rapporti veri e duraturi; il mondo era dominato dai vincenti, a cui
si contrapponevano, immersi nell'ombra, i perdenti... ed io ero uno
di questi. Fino al compimento dei miei diciott'anni, non sono mai
stato fiero di una simile condizione d'esclusività, ma in una
società del genere, interamente votata alla contraddizione da essa
generata, non ero solo. C'era qualcun altro con me, pronto a
combattere al mio fianco e a darmi man forte; qualcuno con
un'eccezionale verve... qualcuno il cui incontro cambiò radicalmente
la mia vita.
Fino ad allora,
indipendentemente da cosa facessi o dicessi, il mio nome, Daniele
Serpico, non era stato altro che un sinonimo di nessuno. Ero un
nessuno perché, fin da ragazzino, la società moderna, in palese
disaccordo con la mia fragile personalità, non aveva fatto altro che
declassarmi, costringendomi ad una vita nell'anonimato. Fu nei miei
anni da liceale che iniziai a muovere i primi passi nell'incoerente
età dei Social, ma impiegai un po' di tempo per capire come stessero
veramente le cose. A mie spese scoprii che le persone erano subdole e
non si facevano scrupoli nel tradirsi a vicenda pur di raggiungere i
propri scopi. Che senso aveva legarsi a gente tanto meschina? Era
proprio questa domanda a giustificare la mia disastrosa vita sociale.
Di amici ne avevo molti, ma non consideravo nessuno di loro degno
della mia totale fiducia. Sebbene fingessi il contrario, ingannando
il mio prossimo senza alcun rimorso, sapevo che tutti avevano scelto
di indossare la maschera della società. Ciò mi diede la chiarezza e
la cognizione che non esistevano persone autentiche, ma fantocci,
manipolati e diversamente plasmati gli uni dagli altri a seconda del
contesto, che, sotto spessi strati di menzogne, erano semplicemente
l'opposto di ciò che in realtà desideravano ardentemente apparire.
Fin da bambino, infatti, ho sempre avuto una certa tendenza ad
osservare il mondo con lo sguardo di un forestiere. Quella massa
caleidoscopica ed illogica, più comunemente nota all'uomo sotto il
nome di popolazione, ai miei occhi appariva come l'unione dei singoli
individui prostratisi alla volontà di un’età contraddittoria.
Questa abilità, però, non mi aveva donato nient'altro che
solitudine. In una società che spesso e volentieri tendeva ad
estraniarmi, l’unica azione a me concessa era guardare da fuori
quel che vi era dentro, soppesando il mondo per ciò che era
realmente: una farsa colossale. Con tale consapevolezza, non potevo
assolutamente glissare le mie considerazioni, perciò mi ritrovai
solo, senza veri amici. In mezzo a tanta incoerenza, così come un
fiore sbocciava per sbaglio laddove un fiore non sarebbe dovuto
sbocciare, solo una persona si distingueva dalla massa; il suo nome
era William Esposito. William era una di quelle poche persone nelle
quali ancora perdurava la coerenza. Quegli stessi ideali che dalla
nostra generazione erano stati prima rinnegati e poi condannati ad
ammuffire in un vecchio armadio in cantina, in lui avevano trovato un
custode degno di preservarne il ricordo. Ma William era molto più di
questo. Possedeva un carisma talmente eccezionale che il semplice
stargli accanto equivaleva a ricevere una pacca sulla spalla con
l'incoraggiamento: ‘Non ti arrendere. Io credo in te!’.
All'ombra di una così
strabiliante figura, tuttavia, giaceva, rinserrato a forza nel suo
cuore, un antico obiettivo che, fin dalle prime ore di vita, aveva
mosso i passi in una pura e casta forza di volontà. William aveva
posto tale obiettivo al centro della propria esistenza e l'aveva
trasformato in un pilastro portante che rimandasse ogni sua singola
azione, parola o idea a qualcosa di più allegorico. Quel qualcosa,
però, non poteva essere compreso da persone che ne venivano a
contatto casualmente, poiché il suo fine andava ben oltre la misera
percezione dell'uomo.
A parte William, molti
anni prima, c'era stata anche un'altra persona con cui ero riuscito a
stabilire un certo legame. Era il 2011, anno in cui gli SMS e
Facebook spopolavano tra i più giovani, ed il mondo stava entrando
nella sua prima fase di annessione nella società virtuale, quando
fui invitato ad una festa che, nel suo primitivo richiamo dell'alcol
e del fumo, rappresentava un mondo a sé, fatto di vincenti e
perdenti e di ragazze dalla morale licenziosa; era un mondo
grottesco, che rasentava la follia. In mezzo a quella tempesta vi era
un piccolo raggio di sole che, con estrema umiltà, tentava di farsi
spazio fra le nubi dense e opache, sussurrando candidamente il suo
nome... Giulia. Avevo solo quattordici anni, ma, nonostante ciò,
quel giorno ebbi come un’epifania, una rivelazione che, penetrando
nella spensieratezza e nell'incontenibile euforia adolescenziale, mi
suggerì di aver trovato una persona lontana dalla diversità comune
ed estremamente vicina ad un tipo di bellezza tanto unica quanto rara
che, altrimenti, a lungo avrei cercato. Confesso di esser sempre
stato particolarmente selettivo sul genere femminile e mai, fino a
quel momento, avrei immaginato di conoscere una ragazza che
rispecchiasse il modello di donna perfetta di cui ero alla ricerca.
Eppure, lei era là ed incarnava tutto ciò che vi era di più
angelico e puro in quell'incoerente mondo. A quei tempi ero ancora
troppo ingenuo e, riflettendoci adesso, a molti anni di distanza, se
avessi saputo fin da subito che le ragazze tendevano per natura a
scegliere sempre il vincente e mai il perdente, ci avrei pensato due
volte prima di legarmi a lei come mai mi ero legato ad altri.
Sfortunatamente, appartenevo alla categoria dei perdenti e, nei
quattro lunghi anni che le fui accanto, non riuscii mai ad andare
oltre l'amicizia a causa dell’appartenenza alla mia casta.
Nonostante ciò, Giulia era accerchiata da un’aura mistica che,
imperturbabilmente, mi spingeva ad avere fiducia in lei. Come amica
era fantastica, ma se provavo a spingermi un po' più in là,
soccombevo al mio destino. Ho affrontato questo discorso con William
svariate volte. Era interessante sentire e, talvolta, apprezzare il
suo punto di vista, poiché mi ero costantemente precluso la semplice
possibilità di aprirmi con gli altri, ma di lui mi fidavo e sentivo
di poter confrontare le mie idee ed i miei sentimenti con i suoi. Una
volta, infatti, mi disse: <<Capisci di essere innamorato
veramente soltanto quando sei disposto a fare di tutto per
conquistare una ragazza; anche se ciò significa cambiare te stesso
solo per darle l'impressione di essere migliore di ciò che sembri>>.
Era tutto vero e lo
scoprii a mie spese nel momento esatto in cui, anziché lasciar
andare Giulia e rituffarmi nel fluire magmatico della vita, privo
d'individualità e di concretezze, decisi di provare a cambiare le
carte in tavola in mio favore. Fu allora che, in un mondo plasmato su
finzioni ed apparenze, assunsi un aspetto più curato e abbandonai lo
stile sportivo che mi aveva contraddistinto in precedenza. Da ragazzo
trasandato passai ad elegante e raffinato. Quei minimi particolari,
che fino a qualche anno prima non mi ero mai degnato di curare,
adesso erano all'ordine del giorno. Volevo fare colpo e dimostrarle
di essere maturo e, quindi, degno di lei, ma in me perdurava l'animo
del perdente. Alla fine, fui costretto a prendere una drastica
decisione; col passare del tempo mi resi conto che le buone
intenzioni erano inconcludenti e che, rialzandosi con caparbietà
dopo ogni caduta, anche il più fiero dei guerrieri prima o poi si
sarebbe arreso. Per quanto ci provassi, non potevo ignorare quella
parte razionale di me che, prostratasi al cospetto del mio lato
romantico, mi implorava di desistere, né potevo accettare l'idea di
continuare a vivere nella paura di perderla. Così giunsi a pormi una
domanda: a cosa mi avrebbe portato tutta quella determinazione? A
niente, questa era la risposta. Conoscevo fin troppo bene la società
in cui vivevo, perciò era inutile illudermi. Non ero un vincente;
non avevo i mezzi per ribaltare la situazione a mio favore, quindi la
lasciai andare. Piombai nell'apatia più totale; vissi quei pochi
mesi antecedenti al mio incontro con William come il più misero e
disgraziato essere sul baratro del nichilismo e dell’inettitudine.
Ero diventato il perfetto Zeno Cosini del ventunesimo secolo.
Abbandonando la mia mordace e caustica penna, sempre pronta ad
assoggettare la realtà e filtrarla attraverso una visione più
razionale e veritiera, mi tuffai in un mare privo di emozioni e di
slancio vitale. Si è soliti dire che un uomo senza scopo non è un
vero uomo e non possiede una vera vita; appresi questa preziosa
informazione a mie spese sotto forma di vuoto interiore, capace non
solo di dilaniarmi il corpo e la mente, ma persino l'anima...
un’anima fino ad allora abituata a lottare ed inseguire con
inflessibile volontà ciò che più ardentemente desiderava.
Oltre ad essere un
perdente ed un buon osservatore, ero anche uno scrittore alle prime
armi, dedito alla mediazione tra mondo reale e mondo illusorio. Tale
attività letteraria ebbe origine durante gli anni della mia
infanzia, in cui dimostrai un'eccezionale inventiva. Creavo storie di
tutti i generi, esploravo mondi lontani con il solo ausilio della
fantasia, ma ero ben lungi dal comprendere la fuorviante verità.
Imparai una preziosa bugia, che l’inoppugnabile bene trionfava
sempre sul male, e ciò mi fornì il pretesto per crogiolarmi nella
sicurezza di questa fallace ideologia, consentendomi di rannicchiarmi
in un nido Pascoliano, che, molto più tardi, venne scavalcato dalla
empia e tetra realtà. Era inutile cercare rifugio
nell'immaginazione, sperare nel lieto fine o anelare ad un futuro
onirico di sola giustizia ed equità. Come l'ultimo dei miserabili,
come feccia della peggior specie, fui strappato dall'amorevole culla
della fantasia e gettato in pasto ad un mondo offuscato dall'egoismo
degli uomini, ormai capaci soltanto di calpestare cose e persone pur
di raggiungere i loro scopi. Furono proprio tali considerazioni a
facilitarmi lo sviluppo di una capacità di pensiero che andava ben
oltre la semplice percezione umana. Tra i vari pro e i contro, le mie
doti artistiche mi avevano offerto un quadro generale della società
in cui vivevo, una visione che non tutti i miei coetanei sarebbero
stati in grado di possedere, perciò decisi di riportare l'incoerenza
e le maschere dell'età dei Social in una serie di racconti. Nella
mia carriera di scrittore amatoriale sono stato ampiamente
influenzato da un romanzo in particolare che, ottemperando alle mie
voraci esigenze di allora, si impose sugli altri per poi innalzarsi
come una bibbia. Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald
non era solo la storia di un uomo e del suo sogno di rivalsa, ma
rappresentava la perfetta metafora della mia vita. Così come nel
romanzo il ricco soffiava al povero la donna tanto a lungo
desiderata, anche nella mia personale ideologia accadeva lo stesso
tra il vincente ed il perdente. Gli anni Venti americani erano un
periodo che ammiravo con tutto me stesso e rappresentavano l'epoca
d'oro in cui sarei voluto nascere. Ero, tuttavia, tristemente
incatenato al Ventunesimo secolo, costretto semplicemente ad imitare
i modelli di quegli anni, colmi di fasti e di gloria, ma ben presto
capii che c'era ancora qualcuno, oltre a me, che, spingendosi oltre
la superficiale percezione del semplice ed inetto uomo moderno,
custodiva in sé il rimpianto per quegli anni lontani.
Contemporaneamente ai miei primi passi nel mondo letterario, iniziai
a vagheggiare futuri sogni di gloria. A poco a poco persi
completamente l'interesse per la scuola e mi limitai a fare il minimo
indispensabile per andare avanti. Sentivo in me la crescente
ostinazione di un sogno, di una possibilità di riscatto fortemente
legata alla scrittura. Volevo e dovevo diventare uno scrittore,
quindi, anziché concentrarmi sullo studio, preferivo dedicarmi ai
miei racconti e alle letture dei classici. Quando mi ammalai di
apatia, però, anche le mie doti artistiche ne risentirono e per
mesi, ogni qual volta tentavo di riprendere una storia laddove
l'avevo interrotta, assunsi l'atteggiamento di chi non riusciva più
a riconoscersi nel proprio lavoro. I sogni, l'amore, la
letteratura... avevo abbandonato tutto e, rantolando nel nulla, mi
ero aggrappato alla vita. Intanto, molto più in là nello spazio e
nel tempo, William mi stava aspettando, pronto ad entrare con
veemenza nell'imperfetto e incompiuto romanzo della mia esistenza per
cambiarlo radicalmente.
Questa storia, fatta di
vincenti e perdenti, ha inizio in un posto per me molto
significativo: la libreria Prometeo, sita in un comune limitrofo al
mio. Quel tempio sacro, eretto sulle basi dell'epica omerica e della
Commedia dantesca, al cui interno il fresco ed inebriante odore dei
libri si mescolava agli avidi sguardi dei lettori, fu il luogo in cui
feci l'incontro più importante di tutta la mia vita. Fino a quel
fatidico giorno, ai romanzi contemporanei avevo sempre anteposto i
classici, poiché l'età moderna mi disgustava anche per la scarsa
originalità che caratterizzava gran parte della produzione
letteraria di quei tempi. Quasi nessuno riusciva a creare un'opera
degna di essere definita tale. Si scriveva per accontentare il
pubblico e non più per arricchire l'immensa eredità culturale di
cui il mondo disponeva. Nonostante ciò, nella mia sfrenata ricerca
di qualche nuovo autore in grado di contribuire alla formazione
umanistica del futuro scrittore che, sotto spessi strati di apatia,
ancora anelavo a diventare, c'era un romanzo contemporaneo, concepito
dal cuore di alcune delle più nobili presunzioni umane, incapace di
passare inosservato al mio sguardo. Abbagliato come da una luce
divina e provvidenziale, lo presi.
Il Poeta d'altri tempi
Un romanzo di
William Esposito.
Sul frontespizio c'era
una nota, forse la cosa che più mi aveva incuriosito nella mia prima
e fugace occhiata, che informava il lettore di avere fra le mani il
romanzo del cosiddetto nuovo Fitzgerald. I libri erano
disposti per ordine alfabetico, perciò mi soffermai sulla casuale
vicinanza della E e della F. Immaginai Fitzgerald,
seduto pochi autori più avanti, intento a scrutare meditabondo il
ragazzo designato come suo successore. L'uno troneggiava sulla fama
dell'altro, dando vita ad un indescrivibile valzer di frasi
memorabili e concetti resi perfetti dalla loro impeccabile padronanza
di linguaggio. Il maestro che sorvegliava con occhi attenti il lavoro
dell'allievo prediletto; il passato che intercedeva al cospetto del
mondo in favore del presente, cedendogli, infine, il tanto ambito
testimone. Era tutto lì; due generazioni di scrittori che si
apprestavano a darsi man forte per accrescere il lungimirante e vasto
olimpo letterario. Ancor più spinto dalla curiosità da questa
mistica visione, iniziai a leggere sulla copertina anteriore i
commenti dei vari giornali italiani che, con parole molto
lusinghiere, avevano osannato, in un trionfo di critica letteraria,
quel nuovo esordiente.
Così come Fitzgerald
seppe cogliere l'inquietudine
dei Ruggenti Anni
Venti, Esposito inquadra perfettamente
la società odierna in
un misto di satira e dramma.
Il Corriere della sera
Esposito è il
Fitzgerald italiano e contemporaneo. Dalla letteratura americana
di inizio Novecento,
rispolvera tutto ciò che Jay Gatsby aveva rappresentato
in passato e lo riporta
alla luce nella società odierna. Il Poeta d'altri
tempi è il caso
editoriale dell'anno.
Il Mattino
Non ci volle molto prima
che mi accorgessi di aver finalmente trovato qualcuno ancora disposto
a battersi per la vera letteratura.
<<Chi è questo
William Esposito?>>, domandai ad un commesso intento ad
ordinare sugli scaffali i nuovi arrivi.
<<È un esordiente
che sta riscuotendo un enorme successo>>, chiosò questi.
<<Non ne ho mai
sentito parlare>>.
<<I giornali di
oggi danno sempre più spazio alle opere commerciali. Che siano
recensioni, tweet, articoli pubblicati sui social… Per romanzi di
questo genere la pubblicità è relativa e il mondo letterario è una
vera e propria giungla. Il Poeta d’altri tempi, però-
seguitò prendendo il libro tra le mani- grazie al passaparola è
arrivato a vincere sia il Bancarella che lo Strega>>.
<<Ha vinto il
Bancarella e lo Strega?>>.
<<Sì, ma, non so
perché, ha ricevuto pochissima attenzione mediatica>>.
Ringraziai il commesso e
rimasi fermo per alcuni minuti a contemplare l’opera prima che
avevo tra le mani. Quel romanzo non solo rappresentava una grottesca
metafora dell'età dei Social, ma troneggiava su tutti come unico e
solo testimone oculare delle inquietudini di una generazione immersa
a capofitto in un’illusoria realtà. Il punto di vista della
minuziosa indagine sulla società moderna, di cui si faceva portavoce
la storia, era quello di un giovane diciottenne che, con l'obiettivo
di diventare il più grande scrittore del suo tempo, una volta
trasferitosi a Roma, si ritrovava a contatto con un mondo fatto di
sole apparenze. Qui, tra amori impossibili, editori alla ricerca di
libri commerciali, sogni letterari, fantasmi del passato, vincenti,
perdenti e un continuo carnevale di maschere, l'unica soluzione a
tutti i problemi del protagonista si compendiava in un semplice
verbo: uniformarsi. La prima volta che lo lessi rimasi sospeso a
mezz'aria tra realtà e finzione. William Esposito aveva arricchito
ancora di più la mia particolare visione del mondo e, applicando la
sua visuale alla mia, sentivo di aver raggiunto lo status di
osservatore completo. Il Poeta d'altri tempi era un
capolavoro, ma, nonostante la critica avesse acclamato William come
lo scrittore rivelazione dell'anno, la sua figura era avvolta nel
mistero. Cercai su internet per sapere qualcosa sulla sua vita, ma,
al pari di un Salinger o di un Pynchon, non trovai niente. Abitava a
Roma e collaborava con una piccola casa editrice chiamata
Alessandrini Editore; di lui si conosceva solo questo. Non
esistevano foto, interviste o video; addirittura scoprii che ad ogni
cerimonia di premiazione non si era mai presentato in prima persona,
ma aveva incaricato il suo editore di farne le veci. Chi era? E
perché rifiutava l’attenzione mediatica? Nei pomeriggi trascorsi
in un crescendo di ossessiva e morbosa curiosità, l’unica verità
che venne a galla, completamente agli antipodi con i miei moventi
iniziali, fu che del suo passato non vi era alcuna traccia.
Nessun commento:
Posta un commento