venerdì 27 settembre 2019

Segnalazione Romanzo - UN AMORE PROIBITO. ORGOGLIO di Daniela Tess









Respiro Readers

vi segnaliamo il romanzo

dell'autrice italiana Daniela Tess.










TITOLO: Un amore proibito. Orgoglio

AUTRICE: Daniela Tess

CASA EDITRICE: Self Publishing

SERIE: Un amore proibito #2

GENERE: Romance Storico

PAGINE: 183

PREZZO EBOOK: 2.99

DATA USCITA: 14 Febbraio 2019






Sono passati due anni da quando Alyce ha vissuto il suo amore proibito. Ora lei è una donna profondamente cambiata: ha rinunciato ai suoi sogni, accontentandosi di sopravvivere e di fare da chaperon a sua sorella. Fino al giorno in cui, ad un ballo, uno sguardo scuro la turba. La scruta, la segue dappertutto, la scuote nel profondo dell’animo. Sembra conoscerla, sapere tutto di lei. Ma è impossibile, lei non ha mai visto quell’uomo. Chi è quel duca misterioso? Perché le suscita quelle sensazioni? Può un cuore che si è piegato al gelo dell’inverno risvegliarsi e tornare a vivere? E se proprio nel profondo dell’inverno si celasse un’ineludibile primavera?
Colpi di scena, passione, intrighi e sconcertanti segreti sono pronti a dipanarsi dalle pagine di “Orgoglio”, secondo capitolo della trilogia “Un Amore proibito”.
Nato come racconto a puntate in una community, “Un amore proibito” è diventato ben presto un appuntamento fisso di migliaia di lettrici e lettori con circa 5565 commenti e oltre 119500 visite solo per il primo capitolo. Se ancora non l’hai fatto leggi la prima parte della saga “ Un amore proibito- Origini.”
Romanzo non autoconclusivo, la storia terminerà con il terzo libro “Un amore proibito- Oltre” di prossima pubblicazione.












Capitolo 1

Inghilterra 1812
Rochford Manor
Toc, toc, toc.
Bussavano alla porta. Chi diavolo era? Non voleva essere disturbato da nessuno. Si era chiuso nello studio, con un brandy in mano. Da uno erano diventati due, tre…ora era ubriaco. Come gli capitava spesso, da alcuni mesi a quella parte.
<< Avanti >> biascicò.
Un profumo di rose annunciò chi fosse prima che il suo cervello mettesse a fuoco: Jane, sua moglie.
<< Philip, volevo solo avvisarti che sto uscendo >>.
La guardò…il suo topolino, la sua sposa. Una familiare stretta a quel muscolo chiamato cuore gli fece digrignare i denti. Tutto rombava, la testa, il petto. Era davvero molto ubriaco, per sentire qualcosa lì dove non c’era nulla.
<< Dove vai? >>
Non erano affari suoi, lo sapeva. C’era un tacito accordo tra di loro. Lei lo aveva sposato, pagando i suoi debiti con la dote. Gli aveva dato due figli; James ed Anne. Aveva fatto il suo dovere di moglie, ora voleva solo dedicarsi ai bambini e alle sue opere pie. Sorrise, amaramente. Un angelo come quello sposato con un diavolo come lui.
La vide tentennare, poi rispondere flebilmente : << C’è una riunione al vicariato>>.
Doveva lasciarla stare. Ma era un diavolo, o forse il figlio di Satana. Non lo sapeva, non lo avrebbe mai saputo. Quello che sapeva era di non essere chi dicevano fosse. Non certo il figlio del conte. Neanche lei lo sapeva. Neanche lei poteva immaginarlo. Non doveva importargli dove andasse, ma qualcosa dentro di lui, qualcosa che faticava sempre di più a tenere a bada lo spinse a stuzzicarla: << A quest’ora? Non è un po’ tardi per una riunione al vicariato? >>
Lei sussultò come se l’avesse schiaffeggiata. Si fece ancora più piccola, curvandosi quasi come se volesse scomparire. << Non è molto tardi. I bambini sono già a letto. Non devi preoccuparti di essere disturbato da noi. Io devo vedermi con lady Emilie e Lady Blanche. Dobbiamo decidere come organizzare la raccolta fondi per i poveri della contea >>.
<< Scommetto che ci sarà anche il caro vicario…com’è che si chiama? Alban? Abel? >>.
Rise, sprezzante.
Jane si irrigidì. << Sai benissimo che si chiama Abel >>.
<< Abel, il pio Abel. Un nome, un destino.
Suo padre sarà sicuramente soddisfatto di lui >>. Concluse amaramente.
<< Un uomo buono come lui non merita di essere preso in giro e disprezzato da uno come…>>. All’improvviso, come resasi conto di ciò che stava per dire, si fermò di colpo, avvampando e mordendosi le labbra. Il movimento dei suoi denti bianchi che tormentavano quelle labbra rosse e turgide attirò la sua attenzione. Si sentì d’un tratto sobrio, o almeno abbastanza lucido da abbandonare il bicchiere sul tavolo e alzarsi per andare verso di lei, una fiamma azzurrina, ancora sfocata.
Si ritrasse come se fosse spaventata, da lui. Bene, doveva esserlo, doveva temerlo, stargli lontano. Lui non doveva contaminarla, non più di quanto non avesse già fatto.

Ma il diavolo che albergava in lui, che gli succhiava anima e sangue, non lo fece fermare né riflettere. << Bada, Jane. Sei mia moglie. Non ammetterò sbagli né colpi di testa da parte tua >>.
<< Cosa vorresti insinuare? Ti ho già detto che vado lì per una riunione… >>.
Non la lasciò finire: << Una riunione? Credi che non abbia occhi o orecchie? Ho visto come ti guarda il caro vicario quando pensa che nessuno lo veda. Ti spoglia con gli occhi, sembra voler baciare la terra su cui cammini. Io mi diverto a vederlo scodinzolarti attorno come un cucciolo adorante. Non potrà mai averti, sei mia moglie>>.
Lei era prima impallidita, poi arrossita per la furia repressa: << Non osare infangare il nome di un uomo retto ed onesto. Sei un diavolo che si diverte a tormentare le sue vittime. Maledetto quel giorno che mio padre ha accettato la proposta del vostro. Sono tua moglie, tua di nome. Hai comprato il mio corpo, il mio nome ma non il mio cuore. Quello è e sarà sempre e solo mio, da regalare a chi vorrò >>.
Lo colse all’improvviso una furia cieca, un dolore sordo al petto…maledetto muscolo che si ripresentava vivo quando credeva ormai di averlo ucciso.
<< Non mi sfidare Jane, o devo ricordarti di come mi dichiarasti il tuo amore dopo la nostra prima volta? Di come ti facevi baciare, toccare…di come mugolavi nella mia bocca, di come ti piaceva….>>.
Lei gli si gettò addosso come una gatta furiosa: << Sei un maledetto! Ti odio, ti odio Philip! Cosa vuoi da me? Cosa? Mi tormenti da anni. Ti ho dato la mia innocenza, il mio cuore e tu lo hai calpestato. Hai riso di me, mi hai buttato addosso il tuo disprezzo. Ti ho dato due figli e l’erede che volevi. Lasciami in pace. Lasciami vivere tranquilla. Lasciami qui, da sola, con i nostri figli e tornatene a Londra dalle tue putt…ah!>>. L’aveva afferrata per un braccio. Sapeva di stringerla forte ma non riusciva a farne a meno. Doveva stringerla, rivendicarla, marchiarla di nuovo come sua.
<< Senti, senti…il mio topolino di campagna; tutto fuoco sotto l’apparenza algida e tranquilla . Mi dispiace cara ma non posso. Lo hai detto, sono un depravato, un diavolo e tu sei la mia vittima . Se te ne andrai, non porterai via i miei figli. Ricordati che sono io tuo marito e non accetterò mai che un altro uomo assaggi le tue grazie >>.
Uno schiaffo deciso infiammò la sua guancia. Lo aveva colpito. La timida, ritrosa Jane lo aveva schiaffeggiato. Non ci credeva neanche lei. Si mise una mano sulla bocca. Scioccata da quello che aveva fatto, pallida come una morta.
Il dolore del colpo improvviso, misto a quello dell’anima, lo spinse verso di lei. Le afferrò le ciocche bionde dello chignon severo, le tirò il nodo, fino a quando non sentì le forcine cadere, una ad una…lei aveva sbarrato gli occhi e lo guardava come fosse un mostro a tre teste e forse lo era. Non si fermò, non poteva. Quei capelli biondissimi, quasi lunari, scesero a coprirgli le braccia. Lo facevano impazzire, lo avevano sempre fatto impazzire quei fili di luna, pallidi, belli, perfetti come Jane, la sua Jane. Jane che sembrava una suora, che vestiva castigata, capelli legati, vestiti accollati. Jane che sbocciava sotto le sue mani, che da topolino diveniva una bellezza lunare. Una contraddizione che lo aveva sempre eccitato e spaventato. Jane. Troppo perfetta per lui. Prima che potesse protestare le chiuse la bocca morbida con la sua. Lei ovviamente all’inizio oppose resistenza, spingendogli le braccia contro il petto e cercando di respingerlo. Ma era troppo esperto, per lei e anche troppo ubriaco per fermarsi. Le forzò la dolce cavità, suggendole prima il labbro inferiore, turgido e pieno, poi quello superiore. Lei singhiozzò. Avrebbe dovuto accertarsi che fosse un singhiozzo di passione e non di dolore ma quella bestia che albergava in lui aveva ormai distrutto ogni barlume di coscienza. Si impossessò della sua bocca come aveva fatto del suo corpo e della sua vita. La penetrò crudelmente, saggiandola, leccandola, succhiandola, respirando attraverso di lei. “Sei un bastardo” gli diceva la bestia interiore; era così ma non riusciva a fermarsi. “Non potrai mai suggerle la cosa più importante, l’anima”. Era maledettamente vero. Niente e nessuno lo aveva mai cambiato, neanche Jane. Lui era una bestia e così sarebbe morto, probabilmente giovane, scontando uno dei suoi innumerevoli peccati. Baciarla fino a sfinirla e a sfinirsi non avrebbe cambiato le cose. Lei non poteva cambiarlo, né redimerlo. Lei non poteva cambiare il passato, quello che era. Baciarla non gli avrebbe fatto assorbire neanche una briciola della sua bontà. Lei era pura, innocente e generosa. Lei dava senza mai chiedere. Smise di baciarla quando sentì che i singhiozzi erano aumentati, anche se, insieme ad essi, era aumentato l’ardore. Di lui certamente, ma anche di lei. Lei che ora gli si era stretta, poggiandogli il seno sodo sul petto. Sentiva tutto nonostante strati di vestiti. Lo voleva . Il corpo di lei lo voleva. Ma la bestia desiderava tutto, corpo e anima. Si staccò lasciandola confusa e infelice. Non era una novità. Lo guardò con odio ma Philip sapeva che odiava di più se stessa per aver risposto al suo bacio, per essere così arrendevole. Jane si passò una mano sulla bocca, sfregandola forte, arrossandola, come per togliere il sapore di lui, per pulirsi dal veleno che le aveva iniettato, da qualcosa di sporco. Lui la guardò fingendo indifferenza: << Ora puoi anche andare dal tuo caro vicario, Jane. Inutile che provi a pulirti. Ti ho già infettato, dato la mia essenza. I tuoi figli sono anche figli miei. Ti ho solo ricordato chi è che ti possiede. Sei mia. Sono stato dentro la tua bocca. E ora per quanto tu sfreghi, non riuscirai a levarti il mio odore di dosso, il mio sapore dalla lingua. Rischi solo di accentuare il rossore e lo spessore di quelle labbra. Tutti sapranno quello che hai fatto, chi ti ha baciato. E ora vai. >>
Si girò, dandole le spalle. Sentì la porta sbattere con violenza insieme alla minaccia di lei: << Ti odio e un giorno te lo dimostrerò >>.








Capitolo 2

Londra, 1812
Salone delle feste di Almack’s

Nel salone da ballo una raggiante Arianne tornava a sedersi, accaldata, dopo l’ennesima danza con uno dei suoi numerosi corteggiatori.
<< Zia >> disse a Lady Marge << Dov’è finita Alyce? Non l’ho più vista>>.
<< E’ uscita in terrazza con il duca di Tresham >> le rispose sua zia con un luccichio malizioso negli occhi.
<<Capisco >> replicò altrettanto divertita la nipote. Sua zia era incredibile: spiritosa, divertente, allergica alle stupide convenzioni ma desiderosa solamente di vedere le persone care felici e di cercare di esserlo lei stessa, per quanto possibile. Si rimise seduta, quella quadriglia l’aveva davvero stancata. Intanto il suo cavaliere, il conte di Felton, era andato a prenderle una bevanda al tavolo dei rinfreschi.

Era davvero un tipo interessante: biondo, occhi azzurri, affascinante e spiritoso, forse leggermente viziato, non avendo praticamente mai fatto nulla nella vita a parte aspettare di entrare in possesso della sua eredità; era comunque una compagnia piacevole. Non le faceva battere il cuore ma aveva accantonato da tempo quelle sciocchezze. Lei e Alyce in questo erano molto simili.
Alyce non aveva accettato compromessi, aveva preferito un’esistenza solitaria ad un misero palliativo. Lei sarebbe stata capace di fare lo stesso? Certo non c’era paragone tra la sua sciocca infatuazione di due anni prima e la tragedia, devastante, vissuta da sua sorella. Le si strinse il cuore: magari, chissà… questo duca di Tresham sembrava un tipo davvero interessante e da come aveva guardato Alyce era già totalmente affascinato da lei. Si avvide che stava tornando il conte, accantonò quei pensieri e gli sorrise.
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Intanto dall’altra parte della sala un uomo era appena arrivato. Si era messo anche lui quella stupida maschera, fortunatamente era quasi mezzanotte. Era in ritardo ma non aveva molta voglia di essere a quella festa. Dopo l’ultima, sanguinosa guerra, temeva di essere cambiato, di non essere più lo stesso. Sorrise, salutò alcuni ospiti. Era lì proprio per scuotersi da quell’apatia che lo aveva afferrato dal suo ritorno tra i “civili”. Voleva tornare a essere l’uomo spensierato e allegro di un tempo, la canaglia superficiale e divertente, amante delle donne e della bella vita. Non gli piaceva quel nuovo se stesso riflessivo e cupo, pensieroso. Quella era l’occasione giusta per rituffarsi nei piaceri di una volta e recuperare quella “leggerezza”. Salutò il conte di Wyngate << Vecchio mio, come stai?>>
<< Finalmente sei tornato dai campi di battaglia caro Adrian…allora? Pronto per mettere la testa a posto? Si dice che tuo padre sia stufo delle tue follie e voglia un erede prima di morire. Vuole essere certo di lasciare il marchesato in buone mani, tu cosa ne pensi al riguardo?>>

E rise fragorosamente. Adrian lanciò un’occhiataccia all’amico: << Smettila, mi stai mettendo di cattivo umore. Stasera sono qui per divertirmi, intendo ballare e voglio farlo con la dama più bella della serata anzi, con la debuttante più affascinante. Mi divertirò a scandalizzare la madre prendendo la figlia e trascinandola in un valzer pericoloso >> rise . << Il titolo di marchese, che presto sarà mio, mi dà una certa rispettabilità >> aggiunse con un velo di amarezza che l’amico non colse. << Guarda, guarda quella fata laggiù! Uhm, non sembra neanche una debuttante, non è scialba e infantile come le altre, sembra più donna…ma chi è? Penso di non averla mai vista>> .
L’amico scoppiò in un’altra fragorosa risata. << Chi, quella? Non te la consiglio amico mio! Anche se stasera è affascinante e soave ha una lingua tagliente che non ti piacerebbe. Non fa per te credimi >>.
<< Invece voglio conoscerla. Ora chiederò a qualcuno di presentarmi: è la donna più bella della festa e sarà con lei che danzerò >>.
<< Fermati Adrian, prima di renderti ridicolo. E’ assurdo che tu non riesca a riconoscerla, pur portando una maschera; per caso in guerra hai perso la memoria? Possibile che non ricordi la contessina Arianne Rochford? >>.
Adrian si fermò, attonito. Per un lungo momento la osservò: e così quella era Arianne. Il familiare senso di disagio che sempre aveva provato nei suoi confronti riemerse ma lo scacciò, infastidito. Certo che lei era davvero cambiata. Non era più l’adolescente acerba e insignificante ma era diventata una vera bellezza. Diversa dalla sorella ma comunque una bellezza: i capelli castano chiaro, con riflessi dorati, erano raccolti in un’acconciatura elaborata con boccoli leggeri che le ricadevano sulle spalle. Gli occhi erano nascosti ma quello che poteva intuire del viso lo lasciò a bocca aperta: la bocca era più piena, sensuale, carnosa; indossava un vestito bianco ma su di lei aveva un effetto tutt’altro che innocente, era scollato e lasciava intravvedere la pienezza del seno. Le scivolava addosso sottolineando un corpo snello , perfetto. Era attorniata da decine di ammiratori. Una traccia di buon senso gli disse di voltarsi ed andarsene ma come al solito scelse la strada più difficile. Nulla era cambiato, disse a se stesso. Non voleva una moglie e non era certo il caso di corteggiare una debuttante, eppure…quando si trattava di lei, non aveva mai fatto la scelta giusta o saggia. Semplicemente gli faceva perdere il controllo della situazione, era irritante ma anche maledettamente eccitante. Aveva proprio bisogno di una sfida per tornare a sentirsi vivo e a distrarsi. Non ascoltò l’amico che gli diceva di fermarsi, seguì un impulso folle e il suo istinto.

Arrivò davanti a lei che stava per alzarsi e ballare il valzer con un idiota biondo. Lui interruppe gli sguardi complici che si lanciavano: <<Scusatemi Lady Arianne, credo che questo sia il mio ballo >>.
Lei lo guardò stupita, l’incantevole bocca aperta a formare un cerchio perfetto. Era meravigliata e incredula, forse non si aspettava di vederlo. Prima che l’altro cavaliere protestasse, approfittando della confusione di lei, la trascinò sulla pista per ballare, finalmente insieme, per la prima volta.
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Lucas si guardò intorno. Alyce era svenuta ma aveva fatto in tempo ad afferrarla e a tirarsela in braccio. Era così leggera, fragile, lì stretta a lui. Fortunatamente nessuno li stava guardando, erano rientrati tutti per il ballo prima della rivelazione delle identità. Si permise di stringersela addosso con fare possessivo. Non indagò sulle sue motivazioni, non voleva. Sapeva solo che lei era esattamente come l’aveva lasciata. Ancora bellissima e con quel viso d’angelo che lo aveva fatto impazzire, sembrava così dolce, indifesa…pura. Non c’era traccia di malizia o inganno in lei eppure….

Rimandò a dopo i pensieri cupi ed oscuri che lo avevano tormentato per quei lunghi due anni. Con lei in braccio si avviò ad una panchina di marmo, seminascosta da una siepe. Ve la posò delicatamente, poi si sedette e se la mise in grembo, come una bambina. La chiamò per farla rinvenire. Sul suo bel volto cominciò ad esserci una lieve preoccupazione, perché non tornava in sé?
<< Alyce, Alyce…mi senti? >>.
Intanto le accarezzava il viso dicendo a se stesso che lo faceva solo per scuoterla, per trasmetterle un po’ di calore e non perché moriva dalla voglia di toccarla, di accarezzarla. Ad un certo punto lei si mosse, prima impercettibilmente poi in maniera più evidente. Piano aprì gli occhi…Dio! Erano splendidi proprio come ricordava. Un uomo poteva morire contento solo di essere fissato da quei due cristalli turchesi e trasparenti. Lo guardò fissò, lo mise a fuoco e cominciò a piangere. Grosse lacrime uscirono dai suoi occhi e le caddero sui capelli biondi: << Lucas…sei tu…sei proprio tu. Credevo di averti sognato. Credevo fossi frutto della mia immaginazione e del mio dolore, invece sei qui, vicino a me. Sei vivo. Dio mio…>>.
Poi improvvisamente gli buttò le braccia al collo continuando a piangere sommessamente e bagnandogli la camicia candida. Lui rimase con le mani lungo i fianchi, si controllò e impedì a se stesso di ricambiare il suo abbraccio. Lei si scosse, cercò di parlare: aveva la voce rotta e si vedeva che era in preda alla confusione e a una fortissima emozione. Lo guardò di nuovo, negli occhi mille domande: << Pensavo fossi morto, mi avevano detto che eri morto! Ho creduto di impazzire per il dolore ma tu…eri vivo e io per tutto questo tempo non ne ho saputo nulla. Dove sei stato? Perché sei tornato solo ora? Perché mi hai lasciato sola per tutto questo tempo? >>
Si irrigidì. Le scostò le braccia dal suo collo mettendo tra loro una certa distanza. Indurì il suo cuore e le rispose fermo e deciso << Perché? Semplice…Lucas Smith è morto davvero. Non c’è più, come puoi vedere tu stessa ed io… cosa dovevo tornare a fare da una donna che ha scelto di sposare un altro ma che non ha mai avuto il coraggio di dirmelo? >>.
Lo guardò sorpresa. I suoi occhi limpidi mostrarono il suo turbamento e un lieve senso di colpa. Lui ebbe la conferma ai suoi sospetti: allora era tutto maledettamente vero! Bene, era il momento della verità e delle spiegazioni. Lei ora era lì con lui. Non poteva scappare, non l’avrebbe lasciata andare fino a quando non gli avesse dato tutte le risposte che pretendeva.








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