Respiro Readers
vi segnaliamo il romanzo
dell'autrice italiana Daniela Tess.
TITOLO: Un amore proibito. Orgoglio
AUTRICE: Daniela Tess
CASA EDITRICE: Self Publishing
SERIE: Un amore proibito #2
GENERE: Romance Storico
PAGINE: 183
PREZZO EBOOK: 2.99
DATA USCITA: 14 Febbraio 2019
Sono
passati due anni da quando Alyce ha vissuto il suo amore proibito.
Ora lei è una donna profondamente cambiata: ha rinunciato ai suoi
sogni, accontentandosi di sopravvivere e di fare da chaperon a sua
sorella. Fino al giorno in cui, ad un ballo, uno sguardo scuro la
turba. La scruta, la segue dappertutto, la scuote nel profondo
dell’animo. Sembra conoscerla, sapere tutto di lei. Ma è
impossibile, lei non ha mai visto quell’uomo. Chi è quel duca
misterioso? Perché le suscita quelle sensazioni? Può un cuore che
si è piegato al gelo dell’inverno risvegliarsi e tornare a vivere?
E se proprio nel profondo dell’inverno si celasse un’ineludibile
primavera?
Colpi di scena, passione, intrighi e sconcertanti segreti sono pronti a dipanarsi dalle pagine di “Orgoglio”, secondo capitolo della trilogia “Un Amore proibito”.
Colpi di scena, passione, intrighi e sconcertanti segreti sono pronti a dipanarsi dalle pagine di “Orgoglio”, secondo capitolo della trilogia “Un Amore proibito”.
Nato
come racconto a puntate in una community, “Un amore proibito” è
diventato ben presto un appuntamento fisso di migliaia di lettrici e
lettori con circa 5565 commenti e oltre 119500 visite solo per il
primo capitolo. Se ancora non l’hai fatto leggi la prima parte
della saga “ Un amore proibito- Origini.”
Romanzo
non autoconclusivo, la storia terminerà con il terzo libro “Un
amore proibito- Oltre” di prossima pubblicazione.
Capitolo 1
Inghilterra 1812
Rochford Manor
Toc, toc, toc.
Bussavano alla porta. Chi diavolo era?
Non voleva essere disturbato da nessuno. Si era chiuso nello studio,
con un brandy in mano. Da uno erano diventati due, tre…ora era
ubriaco. Come gli capitava spesso, da alcuni mesi a quella parte.
<< Avanti >> biascicò.
Un profumo di rose annunciò chi fosse
prima che il suo cervello mettesse a fuoco: Jane, sua moglie.
<< Philip, volevo solo avvisarti
che sto uscendo >>.
La guardò…il suo topolino, la sua
sposa. Una familiare stretta a quel muscolo chiamato cuore gli fece
digrignare i denti. Tutto rombava, la testa, il petto. Era davvero
molto ubriaco, per sentire qualcosa lì dove non c’era nulla.
<< Dove vai? >>
Non erano affari suoi, lo sapeva. C’era
un tacito accordo tra di loro. Lei lo aveva sposato, pagando i suoi
debiti con la dote. Gli aveva dato due figli; James ed Anne. Aveva
fatto il suo dovere di moglie, ora voleva solo dedicarsi ai bambini e
alle sue opere pie. Sorrise, amaramente. Un angelo come quello
sposato con un diavolo come lui.
La vide tentennare, poi rispondere
flebilmente : << C’è una riunione al vicariato>>.
Doveva lasciarla stare. Ma era un
diavolo, o forse il figlio di Satana. Non lo sapeva, non lo avrebbe
mai saputo. Quello che sapeva era di non essere chi dicevano fosse.
Non certo il figlio del conte. Neanche lei lo sapeva. Neanche lei
poteva immaginarlo. Non doveva importargli dove andasse, ma qualcosa
dentro di lui, qualcosa che faticava sempre di più a tenere a bada
lo spinse a stuzzicarla: << A quest’ora? Non è un po’
tardi per una riunione al vicariato? >>
Lei sussultò come se l’avesse
schiaffeggiata. Si fece ancora più piccola, curvandosi quasi come se
volesse scomparire. << Non è molto tardi. I bambini sono
già a letto. Non devi preoccuparti di essere disturbato da noi. Io
devo vedermi con lady Emilie e Lady Blanche. Dobbiamo decidere come
organizzare la raccolta fondi per i poveri della contea >>.
<< Scommetto che ci sarà anche
il caro vicario…com’è che si chiama? Alban? Abel? >>.
Rise, sprezzante.
Jane si irrigidì. << Sai
benissimo che si chiama Abel >>.
<< Abel, il pio Abel. Un nome, un
destino.
Suo padre sarà sicuramente soddisfatto
di lui >>. Concluse amaramente.
<< Un uomo buono come lui non
merita di essere preso in giro e disprezzato da uno come…>>.
All’improvviso, come resasi conto di ciò che stava per dire, si
fermò di colpo, avvampando e mordendosi le labbra. Il movimento dei
suoi denti bianchi che tormentavano quelle labbra rosse e turgide
attirò la sua attenzione. Si sentì d’un tratto sobrio, o almeno
abbastanza lucido da abbandonare il bicchiere sul tavolo e alzarsi
per andare verso di lei, una fiamma azzurrina, ancora sfocata.
Si ritrasse come se fosse spaventata,
da lui. Bene, doveva esserlo, doveva temerlo, stargli lontano. Lui
non doveva contaminarla, non più di quanto non avesse già fatto.
Ma il diavolo che albergava in lui, che
gli succhiava anima e sangue, non lo fece fermare né riflettere. <<
Bada, Jane. Sei mia moglie. Non ammetterò sbagli né colpi di testa
da parte tua >>.
<< Cosa vorresti insinuare? Ti
ho già detto che vado lì per una riunione… >>.
Non la lasciò finire: << Una
riunione? Credi che non abbia occhi o orecchie? Ho visto come ti
guarda il caro vicario quando pensa che nessuno lo veda. Ti spoglia
con gli occhi, sembra voler baciare la terra su cui cammini. Io mi
diverto a vederlo scodinzolarti attorno come un cucciolo adorante.
Non potrà mai averti, sei mia moglie>>.
Lei era prima impallidita, poi
arrossita per la furia repressa: << Non osare infangare il nome
di un uomo retto ed onesto. Sei un diavolo che si diverte a
tormentare le sue vittime. Maledetto quel giorno che mio padre ha
accettato la proposta del vostro. Sono tua moglie, tua di nome. Hai
comprato il mio corpo, il mio nome ma non il mio cuore. Quello è e
sarà sempre e solo mio, da regalare a chi vorrò >>.
Lo colse all’improvviso una furia
cieca, un dolore sordo al petto…maledetto muscolo che si
ripresentava vivo quando credeva ormai di averlo ucciso.
<< Non mi sfidare Jane, o devo
ricordarti di come mi dichiarasti il tuo amore dopo la nostra prima
volta? Di come ti facevi baciare, toccare…di come mugolavi nella
mia bocca, di come ti piaceva….>>.
Lei gli si gettò addosso come una
gatta furiosa: << Sei un maledetto! Ti odio, ti odio Philip!
Cosa vuoi da me? Cosa? Mi tormenti da anni. Ti ho dato la mia
innocenza, il mio cuore e tu lo hai calpestato. Hai riso di me, mi
hai buttato addosso il tuo disprezzo. Ti ho dato due figli e l’erede
che volevi. Lasciami in pace. Lasciami vivere tranquilla. Lasciami
qui, da sola, con i nostri figli e tornatene a Londra dalle tue
putt…ah!>>. L’aveva afferrata per un braccio. Sapeva di
stringerla forte ma non riusciva a farne a meno. Doveva stringerla,
rivendicarla, marchiarla di nuovo come sua.
<< Senti, senti…il mio topolino
di campagna; tutto fuoco sotto l’apparenza algida e tranquilla . Mi
dispiace cara ma non posso. Lo hai detto, sono un depravato, un
diavolo e tu sei la mia vittima . Se te ne andrai, non porterai via i
miei figli. Ricordati che sono io tuo marito e non accetterò mai che
un altro uomo assaggi le tue grazie >>.
Uno schiaffo deciso infiammò la sua
guancia. Lo aveva colpito. La timida, ritrosa Jane lo aveva
schiaffeggiato. Non ci credeva neanche lei. Si mise una mano sulla
bocca. Scioccata da quello che aveva fatto, pallida come una morta.
Il dolore del colpo improvviso, misto a
quello dell’anima, lo spinse verso di lei. Le afferrò le ciocche
bionde dello chignon severo, le tirò il nodo, fino a quando non
sentì le forcine cadere, una ad una…lei aveva sbarrato gli occhi e
lo guardava come fosse un mostro a tre teste e forse lo era. Non si
fermò, non poteva. Quei capelli biondissimi, quasi lunari, scesero a
coprirgli le braccia. Lo facevano impazzire, lo avevano sempre fatto
impazzire quei fili di luna, pallidi, belli, perfetti come Jane, la
sua Jane. Jane che sembrava una suora, che vestiva castigata, capelli
legati, vestiti accollati. Jane che sbocciava sotto le sue mani, che
da topolino diveniva una bellezza lunare. Una contraddizione che lo
aveva sempre eccitato e spaventato. Jane. Troppo perfetta per lui.
Prima che potesse protestare le chiuse la bocca morbida con la sua.
Lei ovviamente all’inizio oppose resistenza, spingendogli le
braccia contro il petto e cercando di respingerlo. Ma era troppo
esperto, per lei e anche troppo ubriaco per fermarsi. Le forzò la
dolce cavità, suggendole prima il labbro inferiore, turgido e pieno,
poi quello superiore. Lei singhiozzò. Avrebbe dovuto accertarsi che
fosse un singhiozzo di passione e non di dolore ma quella bestia che
albergava in lui aveva ormai distrutto ogni barlume di coscienza. Si
impossessò della sua bocca come aveva fatto del suo corpo e della
sua vita. La penetrò crudelmente, saggiandola, leccandola,
succhiandola, respirando attraverso di lei. “Sei un bastardo”
gli diceva la bestia interiore; era così ma non riusciva a fermarsi.
“Non potrai mai suggerle la cosa più importante, l’anima”. Era
maledettamente vero. Niente e nessuno lo aveva mai cambiato, neanche
Jane. Lui era una bestia e così sarebbe morto, probabilmente
giovane, scontando uno dei suoi innumerevoli peccati. Baciarla fino a
sfinirla e a sfinirsi non avrebbe cambiato le cose. Lei non poteva
cambiarlo, né redimerlo. Lei non poteva cambiare il passato, quello
che era. Baciarla non gli avrebbe fatto assorbire neanche una
briciola della sua bontà. Lei era pura, innocente e generosa. Lei
dava senza mai chiedere. Smise di baciarla quando sentì che i
singhiozzi erano aumentati, anche se, insieme ad essi, era aumentato
l’ardore. Di lui certamente, ma anche di lei. Lei che ora gli si
era stretta, poggiandogli il seno sodo sul petto. Sentiva tutto
nonostante strati di vestiti. Lo voleva . Il corpo di lei lo voleva.
Ma la bestia desiderava tutto, corpo e anima. Si staccò lasciandola
confusa e infelice. Non era una novità. Lo guardò con odio ma
Philip sapeva che odiava di più se stessa per aver risposto al suo
bacio, per essere così arrendevole. Jane si passò una mano sulla
bocca, sfregandola forte, arrossandola, come per togliere il sapore
di lui, per pulirsi dal veleno che le aveva iniettato, da qualcosa di
sporco. Lui la guardò fingendo indifferenza: << Ora puoi anche
andare dal tuo caro vicario, Jane. Inutile che provi a pulirti. Ti ho
già infettato, dato la mia essenza. I tuoi figli sono anche figli
miei. Ti ho solo ricordato chi è che ti possiede. Sei mia. Sono
stato dentro la tua bocca. E ora per quanto tu sfreghi, non riuscirai
a levarti il mio odore di dosso, il mio sapore dalla lingua. Rischi
solo di accentuare il rossore e lo spessore di quelle labbra. Tutti
sapranno quello che hai fatto, chi ti ha baciato. E ora vai. >>
Si girò, dandole le spalle. Sentì la
porta sbattere con violenza insieme alla minaccia di lei: << Ti
odio e un giorno te lo dimostrerò >>.
Capitolo 2
Londra, 1812
Salone delle feste di Almack’s
Nel salone da ballo una raggiante
Arianne tornava a sedersi, accaldata, dopo l’ennesima danza con uno
dei suoi numerosi corteggiatori.
<< Zia >> disse a Lady
Marge << Dov’è finita Alyce? Non l’ho più vista>>.
<<
E’ uscita in terrazza con il duca di Tresham >> le rispose
sua zia con un luccichio malizioso negli occhi.
<<Capisco >>
replicò altrettanto divertita la nipote. Sua zia era incredibile:
spiritosa, divertente, allergica alle stupide convenzioni ma
desiderosa solamente di vedere le persone care felici e di cercare di
esserlo lei stessa, per quanto possibile. Si rimise seduta, quella
quadriglia l’aveva davvero stancata. Intanto il suo cavaliere, il
conte di Felton, era andato a prenderle una bevanda al tavolo dei
rinfreschi.
Era davvero un tipo interessante:
biondo, occhi azzurri, affascinante e spiritoso, forse leggermente
viziato, non avendo praticamente mai fatto nulla nella vita a parte
aspettare di entrare in possesso della sua eredità; era comunque una
compagnia piacevole. Non le faceva battere il cuore ma aveva
accantonato da tempo quelle sciocchezze. Lei e Alyce in questo erano
molto simili.
Alyce non aveva accettato compromessi,
aveva preferito un’esistenza solitaria ad un misero palliativo. Lei
sarebbe stata capace di fare lo stesso? Certo non c’era paragone
tra la sua sciocca infatuazione di due anni prima e la tragedia,
devastante, vissuta da sua sorella. Le si strinse il cuore: magari,
chissà… questo duca di Tresham sembrava un tipo davvero
interessante e da come aveva guardato Alyce era già totalmente
affascinato da lei. Si avvide che stava tornando il conte, accantonò
quei pensieri e gli
sorrise.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Intanto
dall’altra parte della sala un uomo era appena arrivato. Si era
messo anche lui quella stupida maschera, fortunatamente era quasi
mezzanotte. Era in ritardo ma non aveva molta voglia di essere a
quella festa. Dopo l’ultima, sanguinosa guerra, temeva di essere
cambiato, di non essere più lo stesso. Sorrise, salutò alcuni
ospiti. Era lì proprio per scuotersi da quell’apatia che lo aveva
afferrato dal suo ritorno tra i “civili”. Voleva tornare a
essere l’uomo spensierato e allegro di un tempo, la canaglia
superficiale e divertente, amante delle donne e della bella vita. Non
gli piaceva quel nuovo se stesso riflessivo e cupo, pensieroso.
Quella era l’occasione giusta per rituffarsi nei piaceri di una
volta e recuperare quella “leggerezza”. Salutò il conte di
Wyngate << Vecchio mio, come stai?>>
<<
Finalmente sei tornato dai campi di battaglia caro Adrian…allora?
Pronto per mettere la testa a posto? Si dice che tuo padre sia stufo
delle tue follie e voglia un erede prima di morire. Vuole essere
certo di lasciare il marchesato in buone mani, tu cosa ne pensi al
riguardo?>>
E rise fragorosamente. Adrian lanciò
un’occhiataccia all’amico: << Smettila, mi stai mettendo
di cattivo umore. Stasera sono qui per divertirmi, intendo ballare e
voglio farlo con la dama più bella della serata anzi, con la
debuttante più affascinante. Mi divertirò a scandalizzare la madre
prendendo la figlia e trascinandola in un valzer pericoloso >>
rise . << Il titolo di marchese, che presto sarà mio, mi dà
una certa rispettabilità >> aggiunse con un velo di amarezza
che l’amico non colse. << Guarda, guarda quella fata laggiù!
Uhm, non sembra neanche una debuttante, non è scialba e infantile
come le altre, sembra più donna…ma chi è? Penso di non averla
mai vista>> .
L’amico scoppiò in un’altra fragorosa
risata. << Chi, quella? Non te la consiglio amico mio! Anche se
stasera è affascinante e soave ha una lingua tagliente che non ti
piacerebbe. Non fa per te credimi >>.
<< Invece voglio
conoscerla. Ora chiederò a qualcuno di presentarmi: è la donna più
bella della festa e sarà con lei che danzerò >>.
<<
Fermati Adrian, prima di renderti ridicolo. E’ assurdo che tu non
riesca a riconoscerla, pur portando una maschera; per caso in guerra
hai perso la memoria? Possibile che non ricordi la contessina Arianne
Rochford? >>.
Adrian si fermò, attonito. Per un lungo
momento la osservò: e così quella era Arianne. Il familiare senso
di disagio che sempre aveva provato nei suoi confronti riemerse ma lo
scacciò, infastidito. Certo che lei era davvero cambiata. Non era
più l’adolescente acerba e insignificante ma era diventata una
vera bellezza. Diversa dalla sorella ma comunque una bellezza: i
capelli castano chiaro, con riflessi dorati, erano raccolti in
un’acconciatura elaborata con boccoli leggeri che le ricadevano
sulle spalle. Gli occhi erano nascosti ma quello che poteva intuire
del viso lo lasciò a bocca aperta: la bocca era più piena,
sensuale, carnosa; indossava un vestito bianco ma su di lei aveva un
effetto tutt’altro che innocente, era scollato e lasciava
intravvedere la pienezza del seno. Le scivolava addosso
sottolineando un corpo snello , perfetto. Era attorniata da decine
di ammiratori. Una traccia di buon senso gli disse di voltarsi ed
andarsene ma come al solito scelse la strada più difficile. Nulla
era cambiato, disse a se stesso. Non voleva una moglie e non era
certo il caso di corteggiare una debuttante, eppure…quando si
trattava di lei, non aveva mai fatto la scelta giusta o saggia.
Semplicemente gli faceva perdere il controllo della situazione, era
irritante ma anche maledettamente eccitante. Aveva proprio bisogno
di una sfida per tornare a sentirsi vivo e a distrarsi. Non ascoltò
l’amico che gli diceva di fermarsi, seguì un impulso folle e il
suo istinto.
Arrivò davanti a lei che stava per
alzarsi e ballare il valzer con un idiota biondo. Lui interruppe gli
sguardi complici che si lanciavano: <<Scusatemi Lady Arianne,
credo che questo sia il mio ballo >>.
Lei lo guardò
stupita, l’incantevole bocca aperta a formare un cerchio perfetto.
Era meravigliata e incredula, forse non si aspettava di vederlo.
Prima che l’altro cavaliere protestasse, approfittando della
confusione di lei, la trascinò sulla pista per ballare, finalmente
insieme, per la prima
volta.
---------------------------------------------------------------------------------
Lucas
si guardò intorno. Alyce era svenuta ma aveva fatto in tempo ad
afferrarla e a tirarsela in braccio. Era così leggera, fragile, lì
stretta a lui. Fortunatamente nessuno li stava guardando, erano
rientrati tutti per il ballo prima della rivelazione delle identità.
Si permise di stringersela addosso con fare possessivo. Non indagò
sulle sue motivazioni, non voleva. Sapeva solo che lei era
esattamente come l’aveva lasciata. Ancora bellissima e con quel
viso d’angelo che lo aveva fatto impazzire, sembrava così dolce,
indifesa…pura. Non c’era traccia di malizia o inganno in lei
eppure….
Rimandò a dopo i pensieri cupi ed
oscuri che lo avevano tormentato per quei lunghi due anni. Con lei in
braccio si avviò ad una panchina di marmo, seminascosta da una
siepe. Ve la posò delicatamente, poi si sedette e se la mise in
grembo, come una bambina. La chiamò per farla rinvenire. Sul suo bel
volto cominciò ad esserci una lieve preoccupazione, perché non
tornava in sé?
<< Alyce, Alyce…mi senti? >>.
Intanto le accarezzava il viso dicendo
a se stesso che lo faceva solo per scuoterla, per trasmetterle un po’
di calore e non perché moriva dalla voglia di toccarla, di
accarezzarla. Ad un certo punto lei si mosse, prima
impercettibilmente poi in maniera più evidente. Piano aprì gli
occhi…Dio! Erano splendidi proprio come ricordava. Un uomo poteva
morire contento solo di essere fissato da quei due cristalli turchesi
e trasparenti. Lo guardò fissò, lo mise a fuoco e cominciò a
piangere. Grosse lacrime uscirono dai suoi occhi e le caddero sui
capelli biondi: << Lucas…sei tu…sei proprio tu. Credevo di
averti sognato. Credevo fossi frutto della mia immaginazione e del
mio dolore, invece sei qui, vicino a me. Sei vivo. Dio mio…>>.
Poi improvvisamente gli buttò le braccia al collo continuando a
piangere sommessamente e bagnandogli la camicia candida. Lui rimase
con le mani lungo i fianchi, si controllò e impedì a se stesso di
ricambiare il suo abbraccio. Lei si scosse, cercò di parlare: aveva
la voce rotta e si vedeva che era in preda alla confusione e a una
fortissima emozione. Lo guardò di nuovo, negli occhi mille domande:
<< Pensavo fossi morto, mi avevano detto che eri morto! Ho
creduto di impazzire per il dolore ma tu…eri vivo e io per tutto
questo tempo non ne ho saputo nulla. Dove sei stato? Perché sei
tornato solo ora? Perché mi hai lasciato sola per tutto questo
tempo? >>
Si irrigidì. Le scostò le braccia dal suo collo
mettendo tra loro una certa distanza. Indurì il suo cuore e le
rispose fermo e deciso << Perché? Semplice…Lucas Smith è
morto davvero. Non c’è più, come puoi vedere tu stessa ed io…
cosa dovevo tornare a fare da una donna che ha scelto di sposare un
altro ma che non ha mai avuto il coraggio di dirmelo? >>.
Lo
guardò sorpresa. I suoi occhi limpidi mostrarono il suo turbamento e
un lieve senso di colpa. Lui ebbe la conferma ai suoi sospetti:
allora era tutto maledettamente vero! Bene, era il momento della
verità e delle spiegazioni. Lei ora era lì con lui. Non poteva
scappare, non l’avrebbe lasciata andare fino a quando non gli
avesse dato tutte le risposte che pretendeva.
Nessun commento:
Posta un commento