sabato 15 giugno 2019

Segnalazione Romanzo - IL SOSPIRO DEL MISTERO di Cristiano Venturelli









Respiro Readers

vi segnaliamo il romanzo

dell'autore italiano Cristiano Venturelli.










TITOLO: Il sospiro del mistero

AUTORE: Cristiano Venturelli

CASA EDITRICE: Cristiano Venturelli

GENERE: Urban Fantasy

PAGINE: 93

PREZZO EBOOK: 1.99

PREZZO CARTACEO: 12.00

DATA USCITA: 6 Giugno 2019






Un fotografo decide di seguire uno strano essere, dalle sembianze umane, alla ricerca del tesoro più prezioso che alberga nell'animo umano. Il dramma di un padre disperato che progetta di uccidere il figlio malato pur di porre fine alle sue sofferenza. Un marine, negli ultimi giorni della sua vita, trova qualcuno capace di sciogliere i nodi esistenziali che lo hanno sempre tormentato. Un ragazzino frustrato, disposto a tutto pur di entrare nell'olimpo di un videogioco, apprenderà a proprie spese il valore della lealtà. Un parroco deve raccogliere l'angosciante confessione di un aborto dalle conseguenze tragiche. Un frequentatore di escort ne incontra una tanto speciale quanto letale. Un tossicomane scopre che credersi Dio può avere delle conseguenze atroci. Le sette storie di vita ordinaria e straordinaria che compongono questa antologia, capace di spaziare nei vari generi del fantasy (dal soprannaturale all'horror, dalla fantascienza al weird) hanno una peculiarità non facile da trovare nella narrativa di questo genere: le creature fantastiche che li popolano, siano esse alieni, spettri, fantasmi o vampiri, accompagnano i protagonisti, ed anche il lettore, a riflettere sul significato della morte e della vita, sul valore delle emozioni, della lealtà e dell'amore. Sette racconti attraverso i quali l’autore affronta temi reali dolorosi, difficili e talvolta proibiti, dando vita a pagine di profondo coinvolgimento emotivo che conducono verso un sorprendente finale, di fronte al quale è difficile restare indifferenti.








La donna della folla
La prima volta che la notò si trovava nella cattedrale di San Gregorio. Era lì, tra i banchi delle prime file, nei posti solitamente occupati dagli amici e dai parenti più stretti, proprio di fianco al corridoio della navata centrale.
San Gregorio era una delle chiese che Poretti preferiva quando veniva chiamato per i servizi fotografici matrimoniali, un magnifico esemplare di architettura gotica del tredicesimo secolo. I suoi archi dalle volte a punta, sorretti da colonne con i loro costoni di marmo rosa, che formavano la navata centrale e quelle laterali, le grandi finestre dai vetri istoriati, lo splendido rosone, le guglie esterne che svettavano verso il cielo, la rendevano un’ambientazione maestosa per le cerimonie. Per questo solo pochi e danarosi eletti potevano permettersela.
Poretti spostò l’obbiettivo della Nikon dagli sposi e zumò su di lei. Bella! Anzi, decisamente più che bella. Un tipo di gran classe. Tra i trenta e i quarant’anni, occhi verdi, il viso dolce, regolare, valorizzato da appena un filo di trucco e contornato da capelli lunghi, neri e mossi, altezza sul metro e settanta e una “carrozzeria” da sballo. Nella sua personale classifica femminile figurava sicuramente in uno dei primi tre posti del podio.
Ormai aveva sviluppato un certo occhio clinico per capire, dal look degli invitati, il livello sociale di appartenenza.
Indossava un tailleur blu quasi certamente firmato, un Valentino forse, con gonna a tubino e la giacca allacciata sotto il seno, una camicetta bianca di seta e un filo di perle al collo. Appesa all’avambraccio sinistro portava una borsetta in pelle turchese di Fendi e calzava scarpe dello stesso colore. Tutto l’insieme, calcolò approssimativamente Poretti, poteva valere dai quattro ai cinquemila euro. “Roba di lusso per una donna di lusso.” pensò. Del resto si intonava perfettamente al contesto della cerimonia: la sposa era la figlia del proprietario di una famosa catena di ristoranti della città, lo sposo discendeva da una facoltosa famiglia di industriali della ceramica. La maggior parte degli invitati apparteneva all’alta borghesia cittadina. Un organista di professione e un quartetto d’archi accompagnavano la celebrazione.
Conclusa la cerimonia e terminate le foto di rito all’interno della cattedrale, lui e Marco, il suo assistente, si spostarono fuori, davanti al grande portone di bronzo, attendendo l’uscita degli sposi e le manifestazioni di affetto ed esultanza di parenti e amici, accompagnate dall’immancabile pioggia di riso.
Ai lati dei banchi e di fronte all’altare facevano bella mostra di sé costosi mazzi di rose scarlatte e cesti di orchidee multicolori, il cui profumo aleggiava in tutta la chiesa. Lo sposo indossava un doppiopetto blu di Armani e la sposa un abito di seta rosa e organza la cui pregevole fattura era certamente frutto di un lavoro di alta sartoria. Poretti si era infatti un po’ stupito che avessero scelto proprio lui per il servizio fotografico. Dopotutto, nonostante i suoi vent’anni di esperienza e pur essendo tra i migliori, non era certo il numero uno sulla piazza.
Poretti prese allora una decisione improvvisa: disse a Marco di seguire gli sposi al ricevimento e terminare lui il servizio fotografico, gli consegnò la sua attrezzatura e si precipitò a sua volta verso il parcheggio. La vide partire su una BMW nera e portarsi lentamente in strada. Poretti montò sulla sua Audi e si avviò dietro di lei, deciso a seguirla.
La donna si era piazzata proprio di fianco all’uscita e Poretti notò che nessuno l’avvicinava, né tantomeno le rivolgeva la parola. “Strano!“ pensò lui, mentre regolava l’obbiettivo della Nikon. Quando gli sposi uscirono dalla chiesa, lei fu tra le prime persone che si precipitarono a fare le congratulazioni, ma, dopo aver stretto le mani e abbracciato e baciato entrambi, vide che si allontanava in tutta fretta, dirigendosi sul retro della cattedrale, dove era situato il parcheggio. Anche questo gli parve strano. Era convinto che si trattasse di una parente o magari di un’amica della sposa. Per contro, da come si era comportata, sembrava fosse capitata li quasi per caso. Si sentiva notevolmente a disagio nel farlo. Era la prima volta in vita sua che seguiva qualcuno, ma a spingerlo era una sorta di inspiegabile curiosità, unita ad una morbosa attrazione.
Il tailleur, la camicetta, la borsa, le scarpe, perfino i capelli di lei si stavano trasformando in una sorta di schiuma colorata che si dissolveva mano a mano che cadeva a terra. Al suo posto si formava una schiuma di colore diverso che si solidificava via, via, fino a formare un nuovo look, totalmente differente dal primo. Adesso indossava un completo giacca e gonna color ocra di fattura molto semplice, una camicetta verde oliva di cotone, una borsetta color panna di finta pelle - non certo firmata come la prima - e scarpe in tinta con il vestito. Il tutto molto dozzinale. Anche i capelli erano diversi: più corti, pettinati a caschetto e di colore castano chiaro con delle sfumature bionde.
Non fu difficile starle dietro. Guidava molto piano e praticamente non sorpassava mai, quasi che fosse una neopatentata. Dopo circa venti minuti, quando si erano fatte ormai le undici, la vide infilarsi e poi parcheggiare in una via stretta, vicino alla quale si trovava la chiesa di San Giuseppe. Poretti accostò anche lui l’autovettura al marciapiede nella medesima strada, ma quello che accadde dopo lo colse totalmente impreparato, tanto da fargli credere di essere preda di un’allucinazione. La donna uscì dalla BMW, si guardò intorno con circospezione e iniziò a mutare. Poretti per lo stupore e l’incredulità, si sfregò più volte gli occhi, senza riuscire a capacitarsi che fosse vero quello a cui stava assistendo. Appena terminata quell’incredibile trasformazione, la vide dirigersi con passo deciso nella sua direzione e Poretti ebbe un sussulto: forse si era accorta di essere stata seguita e si rese conto che, se così fosse stato, non avrebbe saputo come giustificarsi. Ma lei gli passò a fianco senza degnarlo di uno sguardo, proseguendo verso la fine della strada, dove iniziava il piazzale della chiesa.
Niente orchidee fissate ai lati dei banchi o nei cesti di fianco all’altare, ma al loro posto qualche rosa, margherite e fiori di campo. Il vestito della sposa - bianco, tradizionale come modello - sembrava uno di quelli che solitamente si prendono in affitto. Niente firme in giro. Gli invitati indossavano il classico vestito buono della festa, riservato alle grandi occasioni. Tutta roba da qualche centinaio di euro, acquistata probabilmente nel periodo dei saldi. Niente quartetto d’archi, solo un triste organista ad accompagnare la cerimonia.
Lui allora scese dall’auto e si avviò nella medesima direzione, la vide entrare in una delle porte di legno laterali della chiesa e la seguì. San Giuseppe era una chiesa moderna, di quelle che somigliano più a un capannone industriale che alla casa di Dio: muri lisci, intonacati di bianco, sia all’interno che all’esterno, un campanile e un altare di cemento grigio, sedie plastificate dietro ai banchi e quadretti con stampe raffiguranti la Via Crucis alle pareti. Tutt'altra cosa rispetto a San Gregorio. Anche qui stava iniziando la celebrazione di un matrimonio e pure in questo caso vide la donna misteriosa prendere posto nei primi banchi, vicino ai parenti stretti. Poretti si sedette in una delle file centrali e si guardò intorno. Già ad una prima occhiata si capiva che si trattava di una cerimonia nuziale diversa dalla prima. Sicuramente gli sposi appartenevano ad una classe sociale molto più bassa. Poretti, superato lo sbigottimento per quello a cui aveva appena assistito, iniziò a interrogarsi su chi potesse essere quella donna. O forse avrebbe fatto meglio a definirla quella creatura? Oltretutto, quale poteva essere il motivo della sua metamorfosi? Dopo averci riflettuto un po', il termine migliore che la sua mente riuscì a coniare per definirla fu mimetica.
Dopo aver parcheggiato, scese, si guardò intorno con circospezione, come per accertarsi che non la vedesse nessuno, e Poretti, sconcertato, assistette ad un nuovo cambiamento: il completo ocra, la camicetta, la borsa, le scarpe e i capelli si dissolsero in quella strana schiuma colorata, per lasciare il posto ad un paio di pantaloni neri dal taglio classico, abbinati ad uno spolverino allacciato in vita del medesimo colore, che lasciava intravedere nella scollatura una camicetta viola. Nero era anche il colore delle scarpe, della borsa di pelle e dei capelli, lisci, lunghi e raccolti in uno chignon. Da una tasca dello spolverino tirò fuori un paio di grossi occhiali scuri e, dopo averli indossati, si incamminò proprio verso le Camere Ardenti. Mentre stava per passare di fianco alla sua auto, Poretti, per timore di essere scoperto, si chinò verso il sedile del passeggero, come se stesse cercando qualcosa, ma lei, anche stavolta, parve non accorgersi di lui e proseguì verso la fine della stradina. Quando si sentì sicuro, scese e si incamminò nella medesima direzione.
Al termine della cerimonia, uscì dalla chiesa, si portò sul piazzale a debita distanza e la osservò mantenere lo stesso comportamento tenuto in precedenza: si posizionò vicino al portone, in mezzo alle piccola folla di amici e parenti poi, come nel primo caso, all’uscita degli sposi, fu tra le prime persone ad andargli incontro per abbracciarli e porgergli le felicitazioni. Subito dopo si avviò rapidamente in direzione della via dove aveva parcheggiato l’auto. Poretti la seguì e quando vide la BMW ripartire, continuò il suo pedinamento. Era circa l'una quando la donna parcheggiò nei pressi di un fast-food. Stavolta non vi fu alcun cambiamento, nessuna mutazione e lui, dal canto suo, per non destare sospetti, rimase in auto ad attendere che uscisse. Si era quasi appisolato quando la vide uscire e riavviarsi di nuovo. Dopo circa mezz’ora di guida tra le strade cittadine, si infilò in una viuzza che non si trovava nelle vicinanze di nessuna chiesa, ma portava bensì sul retro dell’Ospedale Civile, dove erano situate le Camere Ardenti. Fuori dalle Camere Ardenti era parcheggiato un carro mortuario col portello posteriore aperto, circondato da un piccolo capannello di persone. La donna si mischiò ad esse, ma, anche in questo caso, non salutò e non rivolse la parola a nessuno. Intanto quattro uomini uscirono portando sulle spalle una cassa da morto color noce, sopra alla quale era deposto un cuscino di rose scarlatte, la caricarono e, chiuso il portellone, il carro si avviò lentamente seguito dal corteo funebre. Poretti notò che lei si era accodata alle prime persone che formavano il corteo il quale, piano, piano, si incamminò in direzione del cimitero cittadino, distante da li poco meno di un chilometro. Lui, per non farsi notare, si mise in fondo alla fila.
Una volta entrata nel grande atrio si infilò nei bagni pubblici e lui si sedette su una delle panchine in attesa che uscisse. Non dovette aspettare molto. Dopo un paio di minuti ricomparve, nuovamente mutata, e stavolta faticò non poco a riconoscerla. I capelli adesso erano corti, castani, con una frangetta sbarazzina che le attraversava la fronte. Indossava un paio di jeans, una maglia rosa con sopra una giacca di pelle scamosciata e reggeva una borsa, anch’essa in tessuto jeans, decorata con delle margherite colorate. Attraversò l’atrio, si portò di fronte agli ascensori e, quando il primo giunse al piano terra, entrò. Poretti fece lo stesso, ponendosi alle sue spalle.
Adesso la sua mente era piena di interrogativi. Considerando le metamorfosi alle quali aveva assistito, quella donna sicuramente non era umana. L’unico elemento che accomunava i suoi cambi di look era il perfetto adattamento alla tipologia e al contesto delle tre cerimonie a cui aveva partecipato. Ma perché? Qual'era lo scopo di tutto ciò? Mentre continuava a rimuginare, il corteo intanto era giunto davanti al grande portale ad arco del cimitero cittadino, recante in alto la scritta latina ‘REQUIESCANT IN PACE’. Una volta che i quattro uomini di prima ebbero scaricato la cassa dal carro funebre e se la furono caricata sulle spalle, il corteo attraversò le cancellate di metallo nero del cimitero e, dopo un breve zigzagare tra il marmo delle lapidi e i cipressi, si fermò in corrispondenza di una fossa scavata per terra, dove due necrofori attendevano appoggiati a delle pale. Lei assistette a tutta l’operazione di inumazione, tenendosi vicina alle quattro persone che si trovavano davanti alla fossa, tre uomini e una donna anziana, tutti in lacrime. Poretti suppose che fossero la moglie e i figli del defunto, visto anche le scritte riportate sulla fasce viola delle ghirlande funebri. Terminate le esequie la donna si allontanò e uscì dal cimitero, ripercorrendo a ritroso la strada che portava all’ospedale, ma anziché dirigersi verso il retro, dove aveva parcheggiato l’auto, la vide spostarsi su un’altra strada, in direzione dell’ingresso principale. Poretti, per non perderla, accelerò il passo fino a trovarsi a pochi metri da lei.
Era Novembre e le ombre della sera avevano già lasciato il posto all’oscurità della notte. La donna tornò nella stradina che dava sulle Camere Ardenti, salì sulla BMW e Poretti ricominciò l’inseguimento tra le vie della città, finché non giunsero ad un grande parcheggio pubblico. L’auto della donna si infilò in un posto poco illuminato, lui parcheggiò a poca distanza, nella fila di fronte, ma preferì non scendere. Anche stavolta, come nel caso dell’ospedale, la rivide a trasformazione compiuta, mentre procedeva a passo spedito verso l’uscita del parcheggio. Adesso aveva capelli vaporosi lunghi fino la sedere, tinti di un rosso acceso, che cadevano sopra ad un giubbino di pelle nera. Sotto indossava un paio di jeans bianchi attillati e scarpe pure bianche con la zeppa. Attraversata la strada, la vide dirigersi verso i neon azzurri che formavano l’insegna del “Riflex”, un grande discobar molto noto in città. Una volta accertatosi che quella era la sua destinazione, Poretti attese qualche minuto, poi entrò anche lui.
Adesso le era vicino, come mai era successo prima e la fronte gli si imperlò di sudore per il timore di essere scoperto. Nonostante la tensione si accorse che non emanava nessun profumo, nessun odore. Notò inoltre che aveva premuto il tasto del quarto piano, dove era situato il reparto di ostetricia. Una volta giunta a destinazione, uscì senza essersi mai voltata ed entrò nel reparto, percorrendo la corsia sulla quale si affacciavano le camere delle partorienti. Arrivata circa a metà, svoltò nel corridoio sulla destra, dove si trovava la nursery, con la sua grande vetrata trasparente al di là della quale erano collocate le culle dei neonati. Poretti passò di fianco al corridoio, limitandosi a lanciare un’occhiata. Era già orario di visite e davanti alla vetrata, tra neomamme nelle loro vestaglie colorate, papà, amici e parenti, si era già formato un gruppetto di persone, tutte intente a sorridere e a rimirare quei piccoli esserini nelle loro tutine rosa o azzurre. La donna era li, in mezzo a loro, guardando a sua volta il vetro, ma senza mostrare un' interesse specifico per qualcuno dei neonati in particolare. Anche in questo caso, nessuno dei presenti le rivolse la parola. Lui, sempre per non dare nell’occhio, decise di attenderla su una delle panchine situate nella corsia di degenza. Trascorsero circa due ore, il numero dei visitatori aumentava sempre di più, compresi coloro che si dirigevano nel corridoio della nursery, ma lei non aveva accennato a spostarsi da li. Quando ormai l’orario di visita volgeva al termine, la vide ricomparire e dirigersi verso l’uscita del reparto. Poretti chinò la testa e si fece schermo al viso con le mani, poi, quando la donna fu vicina agli ascensori, si precipitò a scendere di corsa i quattro piani di scale. Troppo rischioso trovarsi di nuovo eccessivamente vicino a lei, come era successo all’andata. Una volta giunto nell’atrio, attese a distanza opportuna che arrivasse e riprese il suo pedinamento.
Il timbro della voce era monocorde, privo di inflessioni. Poretti da terra, ancora intontito e in preda all’imbarazzo per essere stato scoperto, riuscì soltanto a balbettare.
All'interno venne subito investito dai lampi delle luci psichedeliche e dalla musica tecnotronica sparata dalle casse. Nonostante fossero solo le dieci, il locale era già popolato da una piccola folla di ragazzi e ragazze dai quindici ai trent’anni. I tavolini erano già quasi tutti occupati e lui faticò un poco ad individuarla. Era seduta da sola, in disparte, guardando le poche persone che si trovavano sulla pista da ballo e sorseggiando quella che sembrava comunissima acqua minerale. Poretti si sistemò di spalle in uno degli sgabelli di fronte al bancone e ordinò una birra. Di tanto in tanto si girava per darle un’occhiata, ma lei continuava a rimanere lì, seduta a bere la sua minerale. Anzi, non accennò a scomporsi neppure quando due ragazzotti, un po’ alticci, cercarono di approcciarla. Si limitò a dire loro qualcosa e questi poco dopo si allontanarono. Trascorse circa un’ora. Il locale adesso era pieno fino all’inverosimile. L'aria profumava di alcol, di essenze delle marche più disparate e di risate. Anche la piccola pista da ballo adesso era affollata da una ventina di ragazze e ragazzi che si muovevano a tempo di musica. Ad un certo punto si alzò, mescolandosi a loro, e iniziò a ballare. Si muoveva bene, adattandosi ai ritmi urbano- meccanici che uscivano dagli altoparlanti. Un altro ragazzo cercò di avvicinarla, ma lei gli girò le spalle e continuò la sua danza solitaria. Andò avanti così, senza fermarsi, per quasi due ore, non sembrava mai stanca. Poi, d’improvviso, si allontanò dalla pista e uscì in fretta dal locale. Poretti attese un minuto poi anche lui andò fuori, attraversò la strada e si diresse verso il parcheggio. Una volta arrivato rimase sorpreso nel vedere che la BMW era ancora parcheggiata lì, ma di lei non vi era alcuna traccia. D'un tratto sentì un rumore alle sue spalle, si girò e se la trovò davanti. Prima che avesse il tempo di riaversi dalla sorpresa, la donna lo colpì con violenza al viso e alla bocca dello stomaco. Per la forza dei colpi si ritrovò a terra stordito e dolorante e, per la prima volta, la donna gli parlò. “Chi sei? Perché mi stai seguendo? “ “Scusa. Non volevo farti niente di male. E’ solo che ti ho visto fare...quelle cose.“ Si interruppe, non sapendo bene come proseguire. Era intimorito non solo dalla vergogna per quello che aveva fatto, ma soprattutto per come quella donna lo stava fissando. Il suo sguardo, il suo viso: erano completamente inespressivi. Dai suoi occhi e dal suo volto non traspariva nulla, neppure risentimento o contrarietà, come sarebbe stato logico aspettarsi. Niente! Sembrava il volto di un manichino, di quelli che si vedono nei grandi magazzini. Fu lei a rompere il silenzio. “Esattamente, cosa mi avresti visto fare?“ Lui deglutì prima di rispondere.
“Però, dopo aver trascorso un po' di tempo in mezzo a voi, ho scoperto per caso che trovandomi in situazioni o circostanze nelle quali molte persone condividevano il medesimo tipo di emozioni o emozioni similari, riuscivo anch’io a sentirle, a provarle, a farle mie.“
“Ecco. E' da stamattina che ti seguo. E ti ho vista... cambiare. Più di una volta.” Lei nuovamente non lasciò trasparire nulla e col suo tono monocorde disse. “E allora, adesso, cosa vorresti sapere? Se sono una aliena? Se provengo da un altro pianeta? Diciamo allora, per semplicità, che appartengo a una razza diversa dalla tua. O forse non era questa la domanda che volevi farmi? “ Poretti, adesso che si sentiva più lucido e più calmo, pensò a quello che gli aveva appena detto. Che lei non fosse umana era scontato. Anche il motivo di quei cambi di look gli era abbastanza chiaro: in ogni contesto in cui l’aveva vista si era perfettamente armonizzata con l’ambiente e la circostanza in cui si era trovata. E il sapere da dove proveniva non era il quesito prioritario su cui si interrogava. Lentamente si rialzò da terra e, schiaritosi le idee, riuscì a dar voce alla domanda che più lo assillava. “I matrimoni, il funerale, la nursery e adesso la disco. Cosa ti ha portato in luoghi così diversi tra loro? Questo vorrei capire.“ Lei lo fissò per qualche istante con quello sguardo vuoto, poi rispose. “Forse la domanda giusta che dovresti pormi è: “Cosa cerco”. Non credi? ” Questo interrogativo lo colse di sorpresa. Effettivamente non lo aveva preso in considerazione. La donna, forse interpretando la sua espressione perplessa, gli diede una risposta che lo colse totalmente impreparato. “Emozioni! E’ questo che cerco.“ Poretti spalancò gli occhi per lo stupore. Emozioni? Cosa intendeva per “Emozioni”? La risposta lo indusse in un tale stato confusionale, che non riuscì a replicare. Lei allora continuò. “La razza a cui appartengo presenta delle similitudini, ma anche molte diversità dalla tua. Tra queste, la più sostanziale forse, è la totale incapacità di provare emozioni. Di qualunque genere. Positive o negative che siano. Ogni cosa, ogni azione o decisione della nostra vita viene determinata dal puro raziocinio. Questo ha consentito lo sviluppo di un modello sociale più pacifico, ordinato e civile del vostro. Negatività emozionali come odio, rabbia, avidità, invidia, gelosia, paura del diverso, le cose cioè che vi portano a fare del male a voi stessi e agli altri e al mondo in cui vivete, sono a noi sconosciute. Ma il prezzo da pagare è stato altissimo. Non possiamo neppure provare felicità, amore tenerezza, allegria, euforia, ma anche dolore e tristezza per la perdita di una persona cara. Le emozioni che in definitiva, come ho potuto constatare, rendono una vita degna di essere vissuta.” Si interruppe per alcuni istanti, poi riprese.
Poretti la fissò intensamente per alcuni istanti e la donna, forse accorgendosi della cosa, lo guardò a sua volta. Lui allora le rivolse un sorriso e, con piacere, gli parve che lei lo ricambiasse. Forse era stata solo una sua impressione. Ma gli piacque pensare che fosse davvero così.
Poretti rifletté su quello che gli aveva svelato. Adesso gli era tutto chiaro. Capiva il senso del suo girovagare, il perché della scelta di quei luoghi e si accorse di provare nei suoi confronti un misto di comprensione e di tenerezza. La donna intanto proseguì. “Se solo la vostra razza capisse quale enorme tesoro alberga dentro di voi. Se comprendeste che il libero arbitrio di cui siete in possesso vi permette di decidere, in qualunque istante della vostra vita, quali azioni e quali comportamenti siano i più giusti da adottare. Se imparaste a dominare le emozioni negative, applicando un maggior raziocinio quando ne siete preda, forse potreste diventare la razza che più si avvicina alla perfezione. Ma forse è giusto così. Forse non può o non deve esistere una razza perfetta. Del resto neppure la mia lo è.“ Tacque ancora per un attimo ed, infine concluse. “Non temere. Non ho intenzione di farti del male. Potrei tranquillamente ucciderti per quello che hai visto. Tanto non avrei nessuna remora, non proverei nessun rimorso. Non mi è dato di sentire queste cose. Ma il tesoro che scoperto stando in mezzo a voi, è sufficiente per farmi rispettare la vostra razza. Ti chiedo solo di lasciarmi stare e, se dovessi rincontrarmi, di non provare più a seguirmi.“ Poi, di scatto, gli girò le spalle e si incamminò verso la sua auto. Poretti la guardò allontanarsi. Avrebbe avuto altre cose da chiederle, avrebbe voluto augurarle di essere sempre felice. Ma, in cuor suo, sapeva che questo non era possibile e che la cosa valeva per entrambi. ***
Trascorsero diverse settimane da quell’incontro: era la solita domenica, il solito servizio fotografico, la solita cerimonia nuziale, quando la rivide. Era in piedi, nei banchi delle prime file, come al solito. Certo, il look era completamente diverso da quelli che le aveva visto in precedenza, ma non c’era da sbagliarsi: era proprio lei!





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