Respiro Readers
vi segnaliamo l'uscita del nuovo romanzo
dell'autrice italiana Serafina Lomaisto.
TITOLO: Eterno contrasto, perfetto incastro
AUTRICE: Serafina Lomaisto
CASA EDITRICE: Self Publishing
GENERE: Romance
DATA USCITA: 1 Dicembre 2018
Gaia è una diciottenne, prossima alla maturità, che conoscerà l'amore per caso e si ritroverà incastrata in questo sentimento dalle mille sfaccettature. Conoscerà il sapore dell'esser donna tra forza e fragilità, tra conoscenze e perdite, tra sconfitte e cambiamenti. Farà scelte dettate dalla paura di soffrire o far soffrire. Così, spesso, preferirà lasciar scorrere il tempo senza realmente viverlo, ma la vita non è una sprovveduta: offre nuove possibilità a chi sa coglierle.
In questo viaggio Gaia non sarà sola, anzi. Ci sarà chi cambierà con lei e si ritroverà ad essere causa e soluzione di queste scelte.
PROLOGO
Era la metà di aprile quando, studiando in biblioteca per
gli esami di Stato, incontrai un ragazzo, poco più grande di me.
Si chiamava Marco, era simpatico e gentile. Non era proprio
il mio tipo, però mi chiese di prendere un caffè insieme, ed io
non rifiutai.
Dopo il caffè arrivò l’appuntamento. Mi aveva invitato a
fare una passeggiata prima di andare al cinema con altri amici.
Ero emozionata, era passato tanto tempo dal mio ultimo appuntamento
con un ragazzo. Non sapevo cosa mettere.
Provavo e riprovavo finché non optai per i miei amati jeans
e le mie Converse blu, abbinate alla maglietta.
L’appuntamento era al parco vicino casa mia. Non avevo
ancora capito se lui abitasse da quelle parti o veniva fin lì solo
perché era il posto più vicino a casa mia. Insomma, arrivai con
dieci minuti di anticipo. Preferivo aspettare io piuttosto che
sfilare davanti a lui in totale imbarazzo mentre mi aspettava,
magari anche infastidito.
Nonostante fossi in anticipo lui era già ad aspettarmi, seduto
su una panchina. Capelli spettinati, camicia a quadri, jeans
e Converse: un bel tipo, diverso dal solito.
Mi salutò... ci sedemmo e io imbarazzata continuavo a giocherellare
con le mani guardando a terra, fin quando lui prese
la parola e disse:
«Beh come è andata l’interrogazione?»
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«Bene, bene» risposi sorridendo e guardandolo negli occhi.
Sembrava piuttosto divertito.
«Ci siamo visti per parlare della mia interrogazione?» dissi
ironicamente e con aria di sfida.
«Se vuoi possiamo anche smettere di parlare» disse ridendo
mentre io abbassai lo sguardo per l’imbarazzo. Dov’erano
le mie risposte taglienti e provocanti?
Tutto taceva dentro la mia testa ma il cuore mi batteva forte.
Era bello averlo accanto.
«Vieni. Ti faccio vedere una cosa» dissi alzandomi e prendendolo
per mano.
«Dove andiamo? Mi devo preoccupare?» continuava
a parlare ridendo. Era davvero difficile spegnere il suo buon
umore e il suono della sua risata echeggiava nella mia gabbia
toracica al ritmo del mio cuore.
«Forse, o forse no. Dipende se ti fidi di me» lo guardai
dritto negli occhi smettendo di camminare. Ero seria.
«Mi fido» disse prendendo il mio viso tra le mani e lasciandomi
un bacio sulla guancia. Gli sorrisi.
«Fai bene» lo minacciai ironicamente mentre entrambi
scoppiammo a ridere.
Camminammo ancora per un po’, ammirando ogni particolare
che ci circondava. Gli facevo notare ogni fiore, ogni
albero, ogni singolo dettaglio. Conoscevo bene quel parco. Ci
ero cresciuta e quando ero piccola venivo sempre con i miei
genitori. Mio padre era un ottimo compagno di giochi. Mia
madre è sempre stata più razionale, e mentre io e papà ci sporcavamo
nell’erba, lei era sempre lì a rimproverarci.
«Guarda che bello qui. Si vede tutto ma nessuno ti vede»
dissi, sedendomi ai piedi di un albero dietro ad alcuni cespugli
altissimi che sembravano coprire il panorama.
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Parte del parco e della città si estendevano sotto i nostri
piedi ma per me quel posto era qualcosa di più. Era il mio posto.
Il posto in cui mi rifugiavo quando le cose non andavano
bene. Il posto dove mio padre mi disse dei miei nonni, morti
a seguito di un incidente. Avevo scoperto questo posto con lui
e, seduti qui dietro, fantasticavamo sul futuro.
Ero solo una bambina ma già avevo le idee chiare. “Voglio la
casa rossa. La compriamo?” chiedevo ingenuamente a mio padre,
mentre lui e mia madre lottavano per avere un altro figlio.
«Gaia è bellissimo qui» mi disse sorridendo con gli occhi
colmi di meraviglia.
C’era però qualcosa che mi impediva di condividere con
lui tutti i miei ricordi. Forse non era ancora il momento. Persa
in questi dubbi non mi accorsi che Marco mi fissava.
«Che c’è?» chiesi.
Lui mi guardò negli occhi e mi baciò, ed io mi lasciai andare.
Alla fine al cinema non andammo. Restammo a guardare le
stelle e a raccontarci un po’ di noi. Ci ascoltavamo rapiti, soprattutto
io dalla sua percezione della vita. Sorrideva, ad ogni
problema, ad ogni ostacolo, lui era sempre pronto a sorridere
alla ricerca di una soluzione.
Quando tornai a casa trovai i miei genitori sul divano a
guardare la televisione, o a far finta di farlo.
«Buonasera» dissi fingendo di essere triste. Sapevano che
dovevo uscire con lui e, come ogni genitore, non riponevano
molta fiducia in quel ragazzo. Era comunque più grande di me,
e per loro continuavo ad essere una bambina.
«Com’è andata?» chiese impaziente mia madre.
«Benissimo» gli sorrisi correndo ad abbracciarli. Gli raccontai
qualcosa, tenendo i dettagli per me. Da quel giorno i
miei sonni furono tranquilli e felici.
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Gli esami si conclusero al meglio, e io e le mie amiche eravamo
pronte a festeggiare la promozione e l’inizio delle vacanze.
Avevamo previsto una serata al pub, tra musica e confusione.
Per Marco era la vigilia di un esame importante perciò non
venne a festeggiare con noi, ma mi promise una serata romantica
il giorno seguente.
«Allora accompagniamo prima Gaia» disse Manuela
mentre entravano in macchina, ma subito intervenni «Io vado
a piedi, devo chiamare Marco e non basterà la strada fino a
casa» dissi sarcasticamente, e salutai le mie amiche che non
insistettero.
La telefonata quella sera durò solo il tempo di dirsi “mi
manchi” perché Marco doveva tornare a studiare. Lo sapevo
ma era un’ottima scusa per tornare a piedi. Mi piaceva ammirare
le stelle quando, a farmi compagnia, c’era solo il silenzio.
Quando Marco era sotto esame, non ci vedevamo per giorni
e ci sentivamo pochissimo. S’impegnava molto nello studio e
dava il meglio di sé in quel che faceva.
Così passeggiai sotto le stelle... perché era la cosa che più mi
piaceva. Quando mamma non stava bene, mia nonna mi ripeteva
sempre “Guarda le stelle, sono tantissime. Ognuna di loro è un
angelo volato via dalla terra. Loro sono gli amici di Dio e ascoltano
ogni preghiera fatta col cuore. Non ti deluderanno mai”.
Credetti subito alle parole di mia nonna, ebbi fede e l’angelo
mi aiutò. Mia madre guarì e da allora non smisi di guardare
il cielo ogni sera. Immersa nei miei pensieri, fui interrotta da
alcune voci provenienti da una stradina, mi girai e vidi dei ragazzi
che parlavano tra loro. A un certo punto uno si staccò dal
gruppo e mi seguì. Sentivo la sua presenza alle mie spalle ma
pensavo stesse andando da un’altra parte, perciò continuai a
camminare perdendomi nei miei pensieri.
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«Ciao bella» esclamò il ragazzo.
Io sobbalzai, ma immediatamente dissi sorridendo «Scusa,
non ti avevo visto.»
«Me ne sono accorto, non volevo farti spaventare» mi
sorrise.
Media altezza, capelli arruffati e vestiva con una semplice
camicia bianca ben raccolta nei pantaloni. Dagli occhi e dalla
camminata non sembrava essere pienamente in sé ma non ero
spaventata. Sicuramente avrei preferito tornare a casa da sola. Se
Marco fosse venuto a saperlo, ero certa che si sarebbe arrabbiato.
«Posso accompagnarti a casa?» mi chiese.
«Grazie ma preferisco tornare da sola» provai a dire cortesemente,
senza accennare all’esistenza di un fidanzato.
«Hai paura di me?» mi chiese, con un tono che mi fece
rabbrividire.
«No, ma non voglio litigare con il mio fidanzato» cercai di
farmi forza ma la voce mi tremò quando lessi nei suoi occhi le
sue intenzioni.
Mi prese per i polsi e mi avvicinò al muro. Era ad un passo dalle
mie labbra quando disse «È geloso il fidanzato? E di cosa?»
mi fissava insistentemente, mentre io ero paralizzata dalla paura.
Non osavo aprire bocca ma non riuscii a trattenere le lacrime.
Non ricordo neanche cosa mi disse, se continuò a parlare.
Ero come volata in un’altra dimensione. Ricordo solo le sue
mani, il suo corpo sempre più vicino al mio. La mia unica reazione
fu quella di alzare lo sguardo e fissare le stelle, credendo
nelle parole di mia nonna ancora una volta e sperando che lei
facesse qualcosa da lassù.
All’improvviso sentii il vento carezzarmi le gambe e mi resi
conto che lui si era allontanato. Era di fronte a me, cercava i
miei occhi ma aveva lo sguardo vuoto, terrorizzato.
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«Scusa» sussurrò indietreggiando mentre tremava, abbassando
la testa.
Io mi lasciai cadere a terra, nascondendo il viso tra le mani
e continuando a piangere, ma questa volta piangevo perché
tutto era finito.
Un labile “Grazie” mi sfuggì senza che me ne rendessi conto,
ma ero certa che non mi avesse sentita perché scappò via,
lasciandomi lì da sola con la mia vergogna.
Passò circa mezz’ora prima del mio rientro a casa. Smisi di
piangere e cercai di sistemarmi al meglio. Nessuno lo avrebbe
saputo, sarebbe stato il mio segreto per sempre, o quasi...
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