Respiro Readers
vi segnaliamo l'uscita del romanzo fantasy
degli autori italiani Alessio Manneschi e Daniele Cella.
TITOLO: I volti dell'inganno. Sinfonie del sole e della Luna
AUTORI: Alessio Manneschi e Danidele Cella
CASA EDITRICE: Self Publishing
GENERE: Dark Fantasy
SAGA: Sinfonie del Sole e della Luna #1
PAGINE: 399
In un mondo pieno di inganni, ognuno recita una parte.
In vista della celebrazione di un matrimonio fra reali, i clan dell'Impero si ritrovano nel palazzo imperiale, dove il Principe Isao sposerá la mite Ren, secondogenita del clan Nari. Per la prima volta da tanti anni, i clan sono riuniti in pace...finché non accade l`
imprevedibile.
Sotto l`influsso di una luna scarlatta, tradimenti celati tra le ombre vengono alla luce. Macchinazioni ingannevoli prendono forma. Creature misteriose, anime sventurate, eroi impavidi, sicari astuti, e figure dal passato oscuro danno vita ad una trama di eventi cui nemmeno la Sacra Triade puo` porre un freno.
Potrá l`Impero essere sottratto alle mani di cospiratori disposti a uccidere pur di averlo? O cadrá in loro potere per sempre?
Shin,
il prigioniero, barcollò in seguito al brusco strattone della corda
legata al suo collo. Cadde su un ginocchio, grugnì e si rimise in
piedi mentre il Carnefice sibilava verso di lui. Shin avanzò, il suo
cervello insensibile al dolore, all’oscurità, all’incombente
senso di oppressione.
Alle
sue spalle, le inquietanti guglie della città-prigione di Iskawan
perforavano il cielo come neri aculei. La nebbia avvolgeva il resto
di quella terra palustre, come fosse una grigia coperta logora. Non
si udiva nemmeno il canto di un uccello dalla fitta foresta in
lontananza, immersa nella stessa oscurità che inghiottiva ogni cosa
e conferiva a quel luogo il nome de Il
Nulla.
Lo
strano e scoordinato incedere di altri due Vakum
seguiva Shin. A guidare il gruppo c’era un uomo calvo e nerboruto,
impugnava una torcia all’altezza della spalla sinistra. Era il
Carnefice,
l’uomo che gestiva la malavita ad Iskawan.
La
debole luce della sua torcia proiettava un flebile cerchio attorno a
lui, non si estendeva molto oltre. Le ombre mutevoli danzavano,
rivelando una mano chiusa tatuata sul suo collo taurino; un simbolo
di castigo.
Dalla
mano destra del Carnefice pendevano tre corde, ciascuna legata ad un
Vakum.
“Muovetevi,
cani!” disse l'uomo divertito mentre li strattonava.
I
Vakum arrancavano in silenzio, i loro occhi spenti e le labbra
serrate.
Nonostante
la dilagante oscurità e l'inquietante nebbia che turbinava ai suoi
piedi, l'uomo sembrava conoscere la strada. Spostò il capo di lato,
poi tornò a guardare il terreno. Mentre respirava, borbottava
costantemente qualcosa. “Palude a destra. Palude a sinistra,”
canticchiava. La sua voce risuonava in quel luogo ameno. “Segui il
richiamo della strolaga verso il tuo tragico destino. Ah Ah!” La
sua eccentrica risata rese quella notte ancora più angosciante.
Passo
dopo passo, i Vakum procedevano a fatica lungo quell’unico sentiero
dissestato che si inoltrava nella palude. L’acqua si insinuava fino
alle caviglie. Le funi tiravano, ancora e ancora, comprimendo loro il
collo e facendoli sobbalzare finché, all’improvviso, si fermarono.
Il
Carnefice era immobile, la testa inclinata all’indietro. In
lontananza si intravedeva l’ampio ingresso di una caverna,
abbastanza grande da consentire a due uomini affiancati di entrarvi.
“Finalmente
eccoci qui, grazie al mio coraggio ,” disse il Carnefice battendosi
il palmo della mano sul petto. Il rumore ruppe quel silenzio
assordante. “Voi state buoni qui, cani che non siete altro, feccia
Vakum! Ho degli affari da sbrigare, a vostre spese si intende. Ah Ah
Ah!”
Legò
le tre corde ad un albero dal tronco massiccio. I due prigionieri in
fondo caddero in ginocchio, con gli occhi chiusi per la
rassegnazione. Shin rimase in piedi, fissando la nebbia.
Il
Carnefice si spostò nuovamente verso l’entrata, le gambe
divaricate, mentre scrutava nel buio. Dall’oscurità provenne una
voce, debole e allo stesso tempo autoritaria.
“Ti
attendevamo. Entra pure.”
Il
Carnefice rimase dove era. Appoggiò i pugni sui fianchi, dando
l’impressione che le sue spalle fossero ancora più larghe.
“No.
Venite fuori Voi
a vedere ciò per cui ho messo a rischio la mia stessa vita.”
Seguì
uno stridìo. Quattro figure uscirono dalla nebbia che circondava la
grotta, gli occhi scintillanti, i volti contratti. Tuniche nere e
logore ammantavano i loro corpi lasciando intravedere gli occhi. Una
delle quattro figure sedeva su una fatiscente sedia a rotelle. Si
trattava di un uomo anziano, dalla pelle rugosa e raggrinzita. Lunghe
unghie giallastre si estendevano dalla punta delle sue dita.
“Arrogante
come sempre.”
La
voce metallica dell’anziano risuonò nella palude. Il suo tono era
cavernoso, stanco.
Non
si udiva alcun altro suono. La luce intermittente di un fuoco fatuo
illuminava lo sfondo.
Nonostante
quegli individui si fossero avvicinati, il Carnefice non arretrò di
un passo. La sua mano si contrasse sul fianco. Si mordicchiò il
labbro inferiore.
“Essere
sicuri di sé non significa essere arroganti,” disse in tono
deciso. “Ho portato ciò che mi avete chiesto.”
Gli
occhi dell’uomo anziano saettarono verso i prigionieri,
soffermandosi prima su Shin.
“Sì,
hai portato tre Vakum come richiesto, ma questi sono mezzi morti. Ci
daranno ben poco potere, la loro linfa vitale è quasi esaurita.”
“Sono
vivi.”Ribattè infastidito l'uomo calvo
“Non
per molto.” Sentenziò l'anziano scrutando i tre Vakum
Il
Carnefice deglutì. “Ho rispettato gli accordi.”
“A
malapena.”
“Portarne
tre è stato un grosso rischio! Non potrò sempre farlo. La scomparsa
di tre Vakum può attirare l’attenzione e crearmi dei problemi.”
Il
vecchio agitò una mano in modo sprezzante.
“Saprai
cavartela.”
Le
narici del Carnefice si dilatarono, ma rimase in silenzio.
“Dategli
tre fiale.”Ordinò il vecchio sulla sedia a rotelle.
“Tre?”
ripetè eccitato l'uomo.
L’anziano
annuì. Una delle figure incappucciate accanto a lui avanzò,
mostrando tre fiale di liquido ambrato nel palmo della mano. Il
Carnefice le arraffò all’istante, per poi infilarle rapidamente in
una bisaccia legata ai suoi pantaloni.“Apprezzo la vostra
generosità.” I suoi occhi brillavano con bramosia.
“Conosco
la tua passione per il Loto Ambrato, Carnefice.” Il vecchio sollevò
un dito scheletrico. “Continuerò a ricompensarti come si deve per
i tuoi sforzi. Una fiala per ogni Vakum. Immagino che un uomo nella
tua posizione possa fare sicuramente qualcosa in più.”
“Compiacimi,
e vedrai che ne varrà la pena.”
“In
che modo?” chiese il Carnefice.
“Riceverai
tanto Loto Ambrato quanto ne meriterai. Evadere da Iskawan sarà la
tua ricompensa finale, naturalmente.”
Il
Carnefice strabuzzò gli occhi. Esitò per un attimo, dopodiché
ruppe quell’atmosfera tesa.
“Al
nostro prossimo incontro tornerò con altri tre Vakum.”
Le
labbra sottili del vecchio delinearono un sorriso. Strinse le dita
tra loro, fissandolo.
“E
così sia.”
Shin
passò dalla nebbia ad un’oscurità ancora più intensa.
Entrando
nella grotta, il buio si affievolì leggermente grazie al baluginìo
generato dalle torce appese lungo le pareti. Dal soffitto di
quell’antro umido, delle stalattiti sgocciolavano sul suolo
sabbioso. L’oscurità era onnipresente, interrotta di tanto in
tanto dalla luce delle fiaccole. I tre Vakum barcollarono in avanti,
tirati dalle mani di un nuovo padrone.
Uno
dei tre individui incappucciati li trascinò ancora più in
profondità, impugnando le corde nella sua mano. La sua tunica cadeva
pesantemente su quelle che sembravano spalle ossute, lievemente
curvate. Il vecchio rugoso, alla guida del gruppo, teneva il mento
sollevato mentre si spingeva ulteriormente nell’oscurità seduto
sulla sua cigolante sedia a rotelle.
Poco
dopo, la luce squarciò il buio. Shin si ritrasse, i suoi occhi
spenti riuscirono a malapena a percepire il cambiamento. Nei recessi
della sua mente, si palesò un pensiero remoto e fugace, per poi
sparire in un attimo. Dietro di lui, gli altri due Vakum non
mostravano alcuna reazione alla luce.
La
corda si strinse sul collo di Shin, facendolo goffamente incespicare
sui suoi stessi piedi.
Il
gruppo avanzò, oltrepassando un'arcata. Il soffitto sparì per fare
spazio ad un ambiente enorme. Nonostante ci fossero numerose torce ad
illuminare quel luogo, la loro portata era esigua e la luce
raggiungeva a malapena le zone d’ombra.
Shin
lanciò un’occhiata ad una torcia vicina sbattendo le palpebre.
Quel pensiero remoto nella sua mente tentò di riaffacciarsi, per poi
sparire di nuovo come tracce di fumo.
Il
vecchio battè il palmo della mano sulla sedia a rotelle. “Venite!”
Uno
dei sottoposti incappucciati fece un passo in avanti, per poi
inchinarsi. Muovendo un dito deformato, il vecchio gli fece segno di
avvicinarsi. Parole confuse entravano e uscivano dalla mente di Shin,
vaghe come le traiettorie di una mosca in volo.
“Rituale…
pugnale… inizio.”
Qualcosa
sfrecciò nella testa di Shin; un pensiero istantaneo e chiaro,
impresso negli angoli remoti della sua mente. I suoi occhi si
alzarono di scatto, catturati dalle bizzarre incisioni raffigurate
lungo la parete: grottesche figure con lunghe dita simili a
tentacoli.
C’erano
anche degli spazi vuoti in quella composizione, intervallati secondo
uno schema coerente.
Senza
dubbio, dovevano avere un significato… Quei colori. Quelle linee
unite fra loro…
I
pensieri svanirono, riportando Shin ad un inerte stato di coscienza.
La
figura incappucciata lasciò cadere le tre corde e si allontanò,
senza emettere alcun suono.
Nessuno
dei Vakum tentò il minimo accenno di fuga. Il più esile dei tre
oscillò sui suoi piedi ed infine crollò a terra. Il vecchio lo
osservò sbuffando, per poi voltarsi.
Una
grande roccia rettangolare occupava il centro di quella camera. Era
ricoperta dalle stesse raffigurazioni mistiche presenti sulla parete,
caratterizzate da motivi simili a vortici dipinti di nero e verde.
Shin
inspirò profondamente, avvertendo una sensazione all’interno del
petto. Quella sensazione si stava espandendo, originandosi dai
polmoni e diffondendosi lungo le braccia fino alla punta delle dita,
dove causava un formicolio. Il Vakum provò ad opporvisi, e le sue
dita si mossero.
Sbattè
le palpebre.
Muoviti.
Per
mezzo secondo, Shin focalizzò un altro pensiero. Qui.
Sono qui.
Non
fece nemmeno in tempo a concentrarsi su di esso, che il pensiero
venne inghiottito dal buio della sua mente.
Uno
degli incappucciati si fece avanti, la sua tunica scura rischiarata
dalla flebile luce delle torce. Afferrò una corda e diede uno
strattone secco. Il Vakum legato ad essa cadde ai suoi piedi. Lo
sventurato non frenò la caduta con le mani, andando ad impattare una
roccia con il volto. Del sangue schizzò sul suolo. Il Vakum non
emise nemmeno un lamento, e non fece alcunché per sollevare il volto
dal terreno.
“Sull’altare!”
gridò il vecchio.
“Mettetelo
sull’altare! ”
L’incappucciato
afferrò il Vakum per un braccio, lo fece rialzare, e con l’aiuto
di uno dei suoi compagni lo spinse sull’altare. Il sangue scorse
lungo il volto del Vakum, gocciolando sulla roccia. Uno stridìo di
ruote in movimento accompagnò l’incedere del vecchio verso
l’altare, i suoi occhi penetranti rilucevano di un sinistro
bagliore.
“Iniziamo!
Prendiamoci queste vite!”
Un
altro pensiero si insinuò nella mente di Shin nel momento in cui udì
le prime urla.
I Vakum non possono urlare, gli
ricordò il pensiero. Il
dolore deve essere tremendo se riesce a urlare.
Sbattè
le palpebre, muovendo gli occhi verso sinistra. Il terzo Vakum era in
piedi, ad osservare il terreno, mentre il suo corpo oscillava avanti
e indietro. Non c’era vita in quegli occhi. Shin distolse lo
sguardo.
Perse
la concentrazione, ritrovandosi a fissare il terreno con espressione
assente.
Passarono
alcuni minuti.
Bagliori
metallici. Gorgoglii. L’incessante gocciolìo del sangue che andava
a depositarsi in uno dei tanti secchi disposti attorno alla roccia.
Il
vecchio si protese verso il flusso di sangue, lasciando che quel
fluido scarlatto scorresse fra le sue dita. Sorrise compiaciuto.
“E’
nostra! Nuova forza vitale. Un’altra possibilità!”
Il
corpo sull’altare scomparve con un tonfo. Due degli incappucciati
si muovevano freneticamente, trasportando i secchi avanti e indietro
allo scopo di rimpiazzare quelli già pieni. Nel mentre, il terzo
incappucciato recitava una cantilena in sottofondo, dei versi
profondi e dissonanti che Shin sentiva risuonare fino alle ossa.
Non
sei perduto, gli
rivelò un altro pensiero. Shin tornò a concentrarsi. Non
sei ancora perduto!
Shin
sbattè le palpebre. La sua mano si contrasse. Desiderava
ardentemente alzarsi, afferrare la corda e liberarsi.
Questo
impulso venne soffocato di lì a poco, svanendo come sempre nei
recessi della sua mente. Il suo corpo non rispondeva, e la sua mente
si era spenta ancora. Ma quel pensiero rimaneva costante.
Non
sei ancora perduto, Shin.
Mentre
l’inquietante cantilena continuava, uno degli incappucciati afferrò
anche il secondo Vakum trascinandolo con la corda. Il Vakum, che
giaceva al suolo, non fece alcuno sforzo per alzarsi. Borbottando,
l’incappucciato strattonò il suo corpo verso l’altare già
macchiato di sangue.
Un
odore metallico simile a rame impregnava l’aria mentre il Vakum
veniva posizionato sulla roccia. Non sarebbe stato necessario legarlo
con le corde durante la tortura.
Qualche
istante dopo, nuove urla risuonarono nella caverna. Il sangue fluiva
copiosamente. Il vecchio tirò la testa all’indietro iniziando a
ridacchiare. Lunghe ciocche di capelli bianchi svolazzarono alle sue
spalle mosse da una gelida brezza.
Fuggi!
Il
pensiero attraversò tutti gli strati della sua mente, scuotendolo
dall’eterno torpore a cui non avrebbe mai immaginato di sfuggire.
Si aggrappò a quelle parole.
Fuggi!
Shin!
La
cantilena non si fermava, intensa, quasi gioiosa, e con una sfumatura
di selvaggia isteria che fece rizzare i peli sul collo di Shin.
Il
suo pollice si muoveva in maniera frenetica picchiettando un dito. Il
Vakum avvertì… qualcosa.
La
sua mente agitata riuscì a percepire il silenzio circostante. Le
urla erano cessate.
“Il
terzo!” gridò il vecchio. Il sangue gli scorreva lungo il viso e
le mani come fosse pioggia.
“Portate
il terzo! Dobbiamo finire. Non cambiate i secchi. Ce ne sono a
sufficienza. Portatelo qui!”
Fuggi!
Shin! Fuggi!
L’impetuoso
pensiero esplose nella sua mente, vibrando in tutto il suo corpo come
una scarica elettrica.
Cercò
di aprire bocca, ma i suoi muscoli non risposero. Un grido era sul
punto di venir rilasciato, ma gli morì in gola.
Mentre
l’incappucciato continuava a cantilenare, stavolta con impeto
convulso, gli altri due presero Shin per le braccia e lo trascinarono
all’altare, spingendo fuori il corpo dell’altro Vakum sacrificato
in precedenza.
Gli
occhi del Vakum erano bianchi e senza vita. La sua bocca spalancata,
come se fosse morto nell’atto di urlare.
Morirai!
Il
pensiero si ripresentò con terrificante chiarezza. Gli incappucciati
scaraventarono Shin sullo scivoloso altare insanguinato, facendogli
sbattere la nuca sulla solida roccia. Stando disteso lì sopra vide
che anche il soffitto era pieno degli stessi simboli mistici presenti
sull’altare, a malapena visibili per effetto delle torce.
Grida
di panico si fermarono nella sua bocca silenziosa. Sentiva il cuore
rimbombare. Nel disperato tentativo di fuggire, Shin si sforzò di
urlare. Si sforzò di lottare. Di assestare un pugno a quegli
individui lasciandoli a marcire in quel sangue così bramato, ma non
accadde nulla.
“Finitelo!”
gridò il vecchio.
“Finitelo!”
Il
bagliore di un pugnale apparve sopra Shin. Il Vakum chiuse gli occhi,
sentì il tepore di una lacrima scendergli lungo la guancia e si
preparò a morire.
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