giovedì 25 ottobre 2018

Segnalazione Romanzo - I VOLTI DELL'INGANNO: SINFONIE DEL SOLE E DELLA LUNA Vol. 1 di Alessio Manneschi e Daniele Cella









Respiro Readers

vi segnaliamo l'uscita del romanzo fantasy

degli autori italiani Alessio Manneschi e Daniele Cella.










TITOLO: I volti dell'inganno. Sinfonie del sole e della Luna

AUTORI: Alessio Manneschi e Danidele Cella

CASA EDITRICE: Self Publishing

GENERE: Dark Fantasy

SAGA: Sinfonie del Sole e della Luna #1

PAGINE: 399






In un mondo pieno di inganni, ognuno recita una parte. 

In vista della celebrazione di un matrimonio fra reali, i clan dell'Impero si ritrovano nel palazzo imperiale, dove il Principe Isao sposerá la mite Ren, secondogenita del clan Nari. Per la prima volta da tanti anni, i clan sono riuniti in pace...finché non accade l`
imprevedibile. 

Sotto l`influsso di una luna scarlatta, tradimenti celati tra le ombre vengono alla luce. Macchinazioni ingannevoli prendono forma. Creature misteriose, anime sventurate, eroi impavidi, sicari astuti, e figure dal passato oscuro danno vita ad una trama di eventi cui nemmeno la Sacra Triade puo` porre un freno. 
Potrá l`Impero essere sottratto alle mani di cospiratori disposti a uccidere pur di averlo? O cadrá in loro potere per sempre?






Shin, il prigioniero, barcollò in seguito al brusco strattone della corda legata al suo collo. Cadde su un ginocchio, grugnì e si rimise in piedi mentre il Carnefice sibilava verso di lui. Shin avanzò, il suo cervello insensibile al dolore, all’oscurità, all’incombente senso di oppressione.
Alle sue spalle, le inquietanti guglie della città-prigione di Iskawan perforavano il cielo come neri aculei. La nebbia avvolgeva il resto di quella terra palustre, come fosse una grigia coperta logora. Non si udiva nemmeno il canto di un uccello dalla fitta foresta in lontananza, immersa nella stessa oscurità che inghiottiva ogni cosa e conferiva a quel luogo il nome de Il Nulla.
Lo strano e scoordinato incedere di altri due Vakum seguiva Shin. A guidare il gruppo c’era un uomo calvo e nerboruto, impugnava una torcia all’altezza della spalla sinistra. Era il Carnefice, l’uomo che gestiva la malavita ad Iskawan.
La debole luce della sua torcia proiettava un flebile cerchio attorno a lui, non si estendeva molto oltre. Le ombre mutevoli danzavano, rivelando una mano chiusa tatuata sul suo collo taurino; un simbolo di castigo.
Dalla mano destra del Carnefice pendevano tre corde, ciascuna legata ad un Vakum.
“Muovetevi, cani!” disse l'uomo divertito mentre li strattonava.
I Vakum arrancavano in silenzio, i loro occhi spenti e le labbra serrate.
Nonostante la dilagante oscurità e l'inquietante nebbia che turbinava ai suoi piedi, l'uomo sembrava conoscere la strada. Spostò il capo di lato, poi tornò a guardare il terreno. Mentre respirava, borbottava costantemente qualcosa. “Palude a destra. Palude a sinistra,” canticchiava. La sua voce risuonava in quel luogo ameno. “Segui il richiamo della strolaga verso il tuo tragico destino. Ah Ah!” La sua eccentrica risata rese quella notte ancora più angosciante.
Passo dopo passo, i Vakum procedevano a fatica lungo quell’unico sentiero dissestato che si inoltrava nella palude. L’acqua si insinuava fino alle caviglie. Le funi tiravano, ancora e ancora, comprimendo loro il collo e facendoli sobbalzare finché, all’improvviso, si fermarono.
Il Carnefice era immobile, la testa inclinata all’indietro. In lontananza si intravedeva l’ampio ingresso di una caverna, abbastanza grande da consentire a due uomini affiancati di entrarvi.
“Finalmente eccoci qui, grazie al mio coraggio ,” disse il Carnefice battendosi il palmo della mano sul petto. Il rumore ruppe quel silenzio assordante. “Voi state buoni qui, cani che non siete altro, feccia Vakum! Ho degli affari da sbrigare, a vostre spese si intende. Ah Ah Ah!”
Legò le tre corde ad un albero dal tronco massiccio. I due prigionieri in fondo caddero in ginocchio, con gli occhi chiusi per la rassegnazione. Shin rimase in piedi, fissando la nebbia.

Il Carnefice si spostò nuovamente verso l’entrata, le gambe divaricate, mentre scrutava nel buio. Dall’oscurità provenne una voce, debole e allo stesso tempo autoritaria.
“Ti attendevamo. Entra pure.”
Il Carnefice rimase dove era. Appoggiò i pugni sui fianchi, dando l’impressione che le sue spalle fossero ancora più larghe.
“No. Venite fuori Voi a vedere ciò per cui ho messo a rischio la mia stessa vita.”
Seguì uno stridìo. Quattro figure uscirono dalla nebbia che circondava la grotta, gli occhi scintillanti, i volti contratti. Tuniche nere e logore ammantavano i loro corpi lasciando intravedere gli occhi. Una delle quattro figure sedeva su una fatiscente sedia a rotelle. Si trattava di un uomo anziano, dalla pelle rugosa e raggrinzita. Lunghe unghie giallastre si estendevano dalla punta delle sue dita.
“Arrogante come sempre.”
La voce metallica dell’anziano risuonò nella palude. Il suo tono era cavernoso, stanco.
Non si udiva alcun altro suono. La luce intermittente di un fuoco fatuo illuminava lo sfondo.
Nonostante quegli individui si fossero avvicinati, il Carnefice non arretrò di un passo. La sua mano si contrasse sul fianco. Si mordicchiò il labbro inferiore.
“Essere sicuri di sé non significa essere arroganti,” disse in tono deciso. “Ho portato ciò che mi avete chiesto.”
Gli occhi dell’uomo anziano saettarono verso i prigionieri, soffermandosi prima su Shin.
“Sì, hai portato tre Vakum come richiesto, ma questi sono mezzi morti. Ci daranno ben poco potere, la loro linfa vitale è quasi esaurita.”
“Sono vivi.”Ribattè infastidito l'uomo calvo
“Non per molto.” Sentenziò l'anziano scrutando i tre Vakum
Il Carnefice deglutì. “Ho rispettato gli accordi.”
“A malapena.”
“Portarne tre è stato un grosso rischio! Non potrò sempre farlo. La scomparsa di tre Vakum può attirare l’attenzione e crearmi dei problemi.”
Il vecchio agitò una mano in modo sprezzante.
“Saprai cavartela.”
Le narici del Carnefice si dilatarono, ma rimase in silenzio.
“Dategli tre fiale.”Ordinò il vecchio sulla sedia a rotelle.
“Tre?” ripetè eccitato l'uomo.
L’anziano annuì. Una delle figure incappucciate accanto a lui avanzò, mostrando tre fiale di liquido ambrato nel palmo della mano. Il Carnefice le arraffò all’istante, per poi infilarle rapidamente in una bisaccia legata ai suoi pantaloni.“Apprezzo la vostra generosità.” I suoi occhi brillavano con bramosia.
“Conosco la tua passione per il Loto Ambrato, Carnefice.” Il vecchio sollevò un dito scheletrico. “Continuerò a ricompensarti come si deve per i tuoi sforzi. Una fiala per ogni Vakum. Immagino che un uomo nella tua posizione possa fare sicuramente qualcosa in più.”
“Compiacimi, e vedrai che ne varrà la pena.”
“In che modo?” chiese il Carnefice.
“Riceverai tanto Loto Ambrato quanto ne meriterai. Evadere da Iskawan sarà la tua ricompensa finale, naturalmente.”
Il Carnefice strabuzzò gli occhi. Esitò per un attimo, dopodiché ruppe quell’atmosfera tesa.
“Al nostro prossimo incontro tornerò con altri tre Vakum.”
Le labbra sottili del vecchio delinearono un sorriso. Strinse le dita tra loro, fissandolo.
“E così sia.”


Shin passò dalla nebbia ad un’oscurità ancora più intensa.
Entrando nella grotta, il buio si affievolì leggermente grazie al baluginìo generato dalle torce appese lungo le pareti. Dal soffitto di quell’antro umido, delle stalattiti sgocciolavano sul suolo sabbioso. L’oscurità era onnipresente, interrotta di tanto in tanto dalla luce delle fiaccole. I tre Vakum barcollarono in avanti, tirati dalle mani di un nuovo padrone.
Uno dei tre individui incappucciati li trascinò ancora più in profondità, impugnando le corde nella sua mano. La sua tunica cadeva pesantemente su quelle che sembravano spalle ossute, lievemente curvate. Il vecchio rugoso, alla guida del gruppo, teneva il mento sollevato mentre si spingeva ulteriormente nell’oscurità seduto sulla sua cigolante sedia a rotelle.
Poco dopo, la luce squarciò il buio. Shin si ritrasse, i suoi occhi spenti riuscirono a malapena a percepire il cambiamento. Nei recessi della sua mente, si palesò un pensiero remoto e fugace, per poi sparire in un attimo. Dietro di lui, gli altri due Vakum non mostravano alcuna reazione alla luce.
La corda si strinse sul collo di Shin, facendolo goffamente incespicare sui suoi stessi piedi.
Il gruppo avanzò, oltrepassando un'arcata. Il soffitto sparì per fare spazio ad un ambiente enorme. Nonostante ci fossero numerose torce ad illuminare quel luogo, la loro portata era esigua e la luce raggiungeva a malapena le zone d’ombra.
Shin lanciò un’occhiata ad una torcia vicina sbattendo le palpebre. Quel pensiero remoto nella sua mente tentò di riaffacciarsi, per poi sparire di nuovo come tracce di fumo.
Il vecchio battè il palmo della mano sulla sedia a rotelle. “Venite!”
Uno dei sottoposti incappucciati fece un passo in avanti, per poi inchinarsi. Muovendo un dito deformato, il vecchio gli fece segno di avvicinarsi. Parole confuse entravano e uscivano dalla mente di Shin, vaghe come le traiettorie di una mosca in volo.
“Rituale… pugnale… inizio.”
Qualcosa sfrecciò nella testa di Shin; un pensiero istantaneo e chiaro, impresso negli angoli remoti della sua mente. I suoi occhi si alzarono di scatto, catturati dalle bizzarre incisioni raffigurate lungo la parete: grottesche figure con lunghe dita simili a tentacoli.
C’erano anche degli spazi vuoti in quella composizione, intervallati secondo uno schema coerente.
Senza dubbio, dovevano avere un significato… Quei colori. Quelle linee unite fra loro…
I pensieri svanirono, riportando Shin ad un inerte stato di coscienza.
La figura incappucciata lasciò cadere le tre corde e si allontanò, senza emettere alcun suono.
Nessuno dei Vakum tentò il minimo accenno di fuga. Il più esile dei tre oscillò sui suoi piedi ed infine crollò a terra. Il vecchio lo osservò sbuffando, per poi voltarsi.
Una grande roccia rettangolare occupava il centro di quella camera. Era ricoperta dalle stesse raffigurazioni mistiche presenti sulla parete, caratterizzate da motivi simili a vortici dipinti di nero e verde.
Shin inspirò profondamente, avvertendo una sensazione all’interno del petto. Quella sensazione si stava espandendo, originandosi dai polmoni e diffondendosi lungo le braccia fino alla punta delle dita, dove causava un formicolio. Il Vakum provò ad opporvisi, e le sue dita si mossero.
Sbattè le palpebre.
Muoviti.
Per mezzo secondo, Shin focalizzò un altro pensiero. Qui. Sono qui.
Non fece nemmeno in tempo a concentrarsi su di esso, che il pensiero venne inghiottito dal buio della sua mente.
Uno degli incappucciati si fece avanti, la sua tunica scura rischiarata dalla flebile luce delle torce. Afferrò una corda e diede uno strattone secco. Il Vakum legato ad essa cadde ai suoi piedi. Lo sventurato non frenò la caduta con le mani, andando ad impattare una roccia con il volto. Del sangue schizzò sul suolo. Il Vakum non emise nemmeno un lamento, e non fece alcunché per sollevare il volto dal terreno.
“Sull’altare!” gridò il vecchio.
“Mettetelo sull’altare! ”
L’incappucciato afferrò il Vakum per un braccio, lo fece rialzare, e con l’aiuto di uno dei suoi compagni lo spinse sull’altare. Il sangue scorse lungo il volto del Vakum, gocciolando sulla roccia. Uno stridìo di ruote in movimento accompagnò l’incedere del vecchio verso l’altare, i suoi occhi penetranti rilucevano di un sinistro bagliore.
“Iniziamo! Prendiamoci queste vite!”
Un altro pensiero si insinuò nella mente di Shin nel momento in cui udì le prime urla. I Vakum non possono urlare, gli ricordò il pensiero. Il dolore deve essere tremendo se riesce a urlare.
Sbattè le palpebre, muovendo gli occhi verso sinistra. Il terzo Vakum era in piedi, ad osservare il terreno, mentre il suo corpo oscillava avanti e indietro. Non c’era vita in quegli occhi. Shin distolse lo sguardo.
Perse la concentrazione, ritrovandosi a fissare il terreno con espressione assente.
Passarono alcuni minuti.
Bagliori metallici. Gorgoglii. L’incessante gocciolìo del sangue che andava a depositarsi in uno dei tanti secchi disposti attorno alla roccia.
Il vecchio si protese verso il flusso di sangue, lasciando che quel fluido scarlatto scorresse fra le sue dita. Sorrise compiaciuto.
“E’ nostra! Nuova forza vitale. Un’altra possibilità!”
Il corpo sull’altare scomparve con un tonfo. Due degli incappucciati si muovevano freneticamente, trasportando i secchi avanti e indietro allo scopo di rimpiazzare quelli già pieni. Nel mentre, il terzo incappucciato recitava una cantilena in sottofondo, dei versi profondi e dissonanti che Shin sentiva risuonare fino alle ossa.
Non sei perduto, gli rivelò un altro pensiero. Shin tornò a concentrarsi. Non sei ancora perduto!
Shin sbattè le palpebre. La sua mano si contrasse. Desiderava ardentemente alzarsi, afferrare la corda e liberarsi.
Questo impulso venne soffocato di lì a poco, svanendo come sempre nei recessi della sua mente. Il suo corpo non rispondeva, e la sua mente si era spenta ancora. Ma quel pensiero rimaneva costante.
Non sei ancora perduto, Shin.
Mentre l’inquietante cantilena continuava, uno degli incappucciati afferrò anche il secondo Vakum trascinandolo con la corda. Il Vakum, che giaceva al suolo, non fece alcuno sforzo per alzarsi. Borbottando, l’incappucciato strattonò il suo corpo verso l’altare già macchiato di sangue.
Un odore metallico simile a rame impregnava l’aria mentre il Vakum veniva posizionato sulla roccia. Non sarebbe stato necessario legarlo con le corde durante la tortura.
Qualche istante dopo, nuove urla risuonarono nella caverna. Il sangue fluiva copiosamente. Il vecchio tirò la testa all’indietro iniziando a ridacchiare. Lunghe ciocche di capelli bianchi svolazzarono alle sue spalle mosse da una gelida brezza.
Fuggi!
Il pensiero attraversò tutti gli strati della sua mente, scuotendolo dall’eterno torpore a cui non avrebbe mai immaginato di sfuggire. Si aggrappò a quelle parole.
Fuggi! Shin!
La cantilena non si fermava, intensa, quasi gioiosa, e con una sfumatura di selvaggia isteria che fece rizzare i peli sul collo di Shin.
Il suo pollice si muoveva in maniera frenetica picchiettando un dito. Il Vakum avvertì… qualcosa.
La sua mente agitata riuscì a percepire il silenzio circostante. Le urla erano cessate.
“Il terzo!” gridò il vecchio. Il sangue gli scorreva lungo il viso e le mani come fosse pioggia.
“Portate il terzo! Dobbiamo finire. Non cambiate i secchi. Ce ne sono a sufficienza. Portatelo qui!”
Fuggi! Shin! Fuggi!
L’impetuoso pensiero esplose nella sua mente, vibrando in tutto il suo corpo come una scarica elettrica.
Cercò di aprire bocca, ma i suoi muscoli non risposero. Un grido era sul punto di venir rilasciato, ma gli morì in gola.
Mentre l’incappucciato continuava a cantilenare, stavolta con impeto convulso, gli altri due presero Shin per le braccia e lo trascinarono all’altare, spingendo fuori il corpo dell’altro Vakum sacrificato in precedenza.
Gli occhi del Vakum erano bianchi e senza vita. La sua bocca spalancata, come se fosse morto nell’atto di urlare.
Morirai!
Il pensiero si ripresentò con terrificante chiarezza. Gli incappucciati scaraventarono Shin sullo scivoloso altare insanguinato, facendogli sbattere la nuca sulla solida roccia. Stando disteso lì sopra vide che anche il soffitto era pieno degli stessi simboli mistici presenti sull’altare, a malapena visibili per effetto delle torce.
Grida di panico si fermarono nella sua bocca silenziosa. Sentiva il cuore rimbombare. Nel disperato tentativo di fuggire, Shin si sforzò di urlare. Si sforzò di lottare. Di assestare un pugno a quegli individui lasciandoli a marcire in quel sangue così bramato, ma non accadde nulla.
“Finitelo!” gridò il vecchio.
“Finitelo!”
Il bagliore di un pugnale apparve sopra Shin. Il Vakum chiuse gli occhi, sentì il tepore di una lacrima scendergli lungo la guancia e si preparò a morire.



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