Respiro Readers
vi segnaliamo il primo romanzo
dell'autrice italiana emergente Francesca Matragna.
TITOLO: I giorni dell'amore offeso
AUTRICE: Francesca Matranga
CASA EDITRICE: Self Publishing
GENERE: Narrativa
PAGINE: 272
Una spirale vorticosa nella Palermo bene, con i suoi tabù e le sue
contraddizioni, porterà una giovane donna ad affrontare un viaggio
che la vedrà coinvolta, suo malgrado, in una fitta vicenda tra
interessi familiari, losche società massoniche, deliri di
onnipotenza, corruzione e omertà.
La protagonista, nel giro di qualche anno, conoscerà l'amore e anche
il dolore, l'umiliazione e la vergogna, la vendetta e la delusione,
perdendo la sua vera identità.
Nella ricerca della verità oltre l'apparenza, riuscirà a scoprire
se, oltre i giorni dell'amore offeso, tutto è veramente perduto?
Viviana è una giovane donna. Una come tante altre a Palermo. Il suo
nome viene, prima dalla madre e poi da tutti gli altri, vezzeggiato
in Vivi.
Vivi è più di un nome, è un monito costante a ‘vivere appieno
sempre’!
Lei conosce il mare, il sole e i colori della sua città ma sa anche
che viverci alla fine degli anni novanta è una vera impresa. La
prima lotta che impara una giovane diciottenne, è quella contro la
paura. Una paura che si trasmette di generazione in generazione.
Lo scopo della famiglia a Palermo è proteggere i propri figli ad
ogni costo. Per questo i genitori li avvolgono in una rete,
trasparente e robustissima: da lì i figli possono vedere il mondo,
senza riuscire ad avvicinarlo. Così sembra essere anche per Viviana
che invece, sfidando le convenzioni, lotta contro questo status
sociale e familiare e cerca in tutti i modi la sua strada.
Di un’amabilità disarmante grazie anche alla sua spontaneità,
colpisce dritto il cuore della gente. Studia architettura, è una
fotografa appassionata e adora il buon cibo. Viviana sente forte
l’appartenenza alla famiglia e infatti custodisce, in cuor suo, le
storie e i racconti di chi non c’è più. Perché lei, nella sua
giovane vita, ha già conosciuto la morte. Per questo non ha paura!
Sa con certezza che vuole vivere, non sopravvivere. Si sente artefice
del suo destino. Ma presto scoprirà che non tutto dipende da lei.
Soprattutto quando il fato le mette sulla strada il giovane e
avvenente Carlo. Lui è totalmente diverso da lei: appartenente ad
una famiglia della Palermo alto borghese, ricca, potente, ambiziosa.
Carlo è un giovane rampollo che sa che può avere tutte le donne ai
suoi piedi e per il quale la parola responsabilità non ha
significato. E a causa di questa sua superficialità si troverà
coinvolto in un losco affare di riciclaggio di denaro sporco per
conto di una loggia massonica coperta, asservita alla criminalità
mafiosa. Queste sue scelte avventate porteranno Viviana a subire
ancora umiliazioni, ben oltre il tradimento.
Ma Viviana non è sola. Dentro di sé cova un pensiero che l’assilla.
Lei lo chiama il pensiero malvagio. Lui l’accompagnerà con i suoi
dubbi per tutto il viaggio della sua esistenza. I ‘se’ e i ‘se
fosse’ la tormentano inesorabilmente: “E se questa scelta fosse
sbagliata? Se Carlo fosse l'inferno? O magari il contrario, se invece
fosse ‘il vero amore’? Ma perché accettare gli eventi senza
opporsi? E se la rassegnazione rappresentasse l'unica possibilità
per andare avanti? Che importa di quello che pensano i parenti, i
vicini, il portiere e il postino? E se invece la gente dicesse la
verità? Chi è il vero autore della propria vita?”
Forse Viviana scoprirà che a Palermo c’è speranza per chi non
vuole adeguarsi alle regole imposte da altri, e magari, un giorno,
vedrà l'apparenza fare i conti con la verità!
Forse la vita concederà a Viviana la possibilità di andare oltre,
di riemergere dal mare tempestoso della vita e di perdonarsi.
Alla fine riuscirà Viviana a scoprire se, oltre i giorni dell'amore
offeso, tutto è veramente perduto?
LA
PRIMA VOLTA
Lo stesso giorno
Viviana non aveva mai frequentato uomini di questo tipo, che in
un’altra circostanza avrebbe definito appartenenti alla categoria
del ‘bel tenebroso’. Questo le procurava un certo imbarazzo; lei
era quella che solitamente parlava per non sentire i silenzi durante
le conversazioni e si sforzava sempre di trovare argomenti per
mettere gli altri, e di conseguenza se stessa, a proprio agio.
Dopo il mutismo che cominciò davanti al quadro della Vucciria e si
prolungò fino all’uscita da Palazzo Steri, Carlo, alla fine, disse
qualcosa.
<<Questa volta ti faccio io una sorpresa! Ti porto a mangiare
in un posto meraviglioso>> e così dicendo lasciò di stucco
Viviana. Forse allora, c’era ancora qualche speranza di cavare
qualcosa da quell’incontro.
Aveva deciso di portarla nel più famoso dei ristorantini sul golfo
di Mondello, borgo di pescatori nei pressi della città, famosa per
la lunga spiaggia sabbiosa che cominciava a riempirsi di bagnanti
allo spuntare dei primi tiepidi raggi di sole primaverili.
Presero l’auto sportiva di Carlo e lasciarono la città imboccando
il Parco della Favorita che li avrebbe condotti verso il lungomare.
Già arrivati a metà dell’alberato Viale Margherita si intravedeva
il mare: era molto mosso, con grandi onde, colorate di schiuma
bianca. Questa agitazione era simile a quella che Viviana avvertiva
da quando si era seduta su quella macchina così eccessiva. Pensò
che forse il suo disagio era come quello che aveva provato Carlo tra
i vicoli luridi e disordinati della Vucciria. Proprio in quel
frangente, si era fatto vivo il pensiero malvagio che le disse:
“Viviana …svegliati! Renditi conto che questo non è uomo per te!
Guarda che auto che ha! Non lo vedi che è completamente diverso da
te? Ma che pensi? Di risultare interessante agli occhi di uno così?”
Quella volta era stato proprio il desiderio di contrapporsi a quel
pensiero e vincerlo, che la portò a cambiare atteggiamento, a
sovvertire il suo modo di essere, forse un po’ troppo sempliciotto
e banale. Si impose di godere, da quel preciso momento in poi, tutto
quello che Carlo e la giornata avrebbero avuto da offrirle.
E quindi cominciò a respirare il profumo del mare d’autunno. Il
ristorante scelto da Carlo era il famoso
Charleston, talmente rinomato che dava il nome allo stabilimento
balneare che lo ospitava e nel quale i ricchi signori palermitani
solevano trascorrere le loro giornate di ozio sin dai primi anni del
novecento.
Il pranzo, raffinato ma anche abbondante, fu accompagnato da svariati
vini, ognuno di essi abbinati alla pietanza scelta, dessert incluso,
e fu così che, non si sa né come né perché, Viviana si ritrovò
davanti all’ingresso dell’appartamento di Carlo.
Lui abitava in una piccola villetta Liberty nei pressi del borgo
marinaro, proprio sul viale principale, ma perfettamente nascosta
alla vista dei curiosi grazie alle resistenti palme che delimitavano
la cancellata di ferro battuto.
“Una casa d’altri tempi” pensò Viviana guardando da lontano il
tetto rosso a quattro spioventi svettare oltre le piante. La facciata
manteneva intatto lo stile liberty di una volta anche se ‘in
formato ridotto’, viste le sue dimensioni: presentava delle
modanature con piccoli decori floreali intorno alle finestre che si
aprivano sui fronti laterali. Vi si accedeva da un piccolo portoncino
ricavato all’interno di un ampio portone in legno, certamente
carrabile. Forse era stato creato, con l’intenzione di ricoverare
barche e altre attrezzature per il mare, da qualche ricco signore,
con bastone e bombetta, dell’epoca dei Florio.
La vista di questo piccolo gioiello architettonico, insieme al vino
che aveva in corpo, le dava un senso di abbandono al destino. Pensava
che il tempo scorresse inesorabile, lasciando in eredità a quelli
che sarebbero giunti, il godimento di certe meraviglie.
Entrarono nella villetta che dall’esterno sembrava molto più
grande di quella che era in realtà; l’arredamento era
assolutamente moderno, un po’ dissonante con l’atmosfera che si
respirava guardando l’edificio.
Dappertutto colori chiari, materiali grezzi e opachi, linee così
squadrate da sembrare quasi esasperate, che rendevano la casa troppo
fredda per i gusti di Vivi, quasi asettica. Aprendo il portoncino si
accedeva immediatamente ad un vano unico in cui, da una parte, era
sistemata la cucina, tutta bianca, perfettamente pulita e ordinata e,
dalla parte opposta, un grande divano in tessuto verde militare.
Regina indiscussa del mobilio era la meravigliosa lampada da terra
‘Arco’ disegnata da Castiglioni nel lontano ’62, oggetto
del desiderio di ogni allievo architetto, come lei.
L’ambiente, che doveva essere stato inizialmente tutto unico, era
stato suddiviso in due parti ed infatti, attraverso una porta, si
accedeva alla stanza da letto, dove campeggiava un letto moderno, con
una bassa testata capitonné in pelle, anch’essa verde, ma stavolta
di una tonalità vivace, come di bosco.
Un grande tappeto persiano era disposto sotto il sommier, e donava
alla stanza quel minimo di calore che il resto della casa sembrava
avesse perduto per sempre.
Non c’erano quadri alle pareti, o foto; solo in cucina una chiazza
di colore, ma non era né un quadro, né una fotografia. Viviana si
avvicinò spinta dalla curiosità che, da quando fotografava, era
diventata quasi esasperante e si accorse che era un calendario
scarabocchiato.
Si sentì come prima in auto. Uno strano disagio le permeava il corpo
e non le faceva sentire più la lieve sensazione regalatole dal vino.
Mentre era intenta a studiare l’ambiente che la circondava, come un
animale quando viene spostato in un luogo nuovo, si sentì cingere
dalle spalle, intorno alla vita.
Carlo aveva posato le sue mani grandi proprio sul girovita, e le
dita, premendo lievemente su entrambi i fianchi, si allargavano quasi
a toccare la parte più prossima dei suoi glutei. Lei si lasciò
andare, senza opporre resistenza. Poggiò le spalle al suo petto e
adagiò il capo un po’ più sopra fino a sfiorare, con i ricci
capelli il suo mento. Erano così vicini da sentire l’uno il
respiro dell’altra. Reclinò ancora un po’ il collo, lasciando
l’incavo con la spalla libero e pronto per le sue labbra. Sentì
avvicinare Carlo: percepì prima la ruvidezza della barba di qualche
giorno, poi la dolce carezza del suo naso che indugiava in quel punto
gustando il profumo della sua pelle, e infine i suoi piccoli baci.
Viviana, come risvegliata dal torpore dell’abbandono contro quel
corpo virile, si voltò e lo guardò, in trepidante attesa. Si
baciarono avidamente. Lei cercò di sbottonargli la camicia, ma non
riusciva a liberare quei maledetti bottoni dalle asole.
“Li strapperei…” pensò. Ma non poteva risultare così
aggressiva; doveva cercare di mantenere una certa forma e
rispettabilità, come le aveva inculcato sua madre con anni di
prediche assurde sul valore della verginità e del mantenersi
illibate fino al matrimonio. Scacciò questo pensiero perbenista, e
si rilassò nel sentire il desiderio che cresceva spontaneamente
dentro di sé.
Carlo si tolse la camicia e cominciò a spogliare anche lei. Non fece
caso al reggiseno di un colore diverso dagli slip, né al fatto che
erano privi di qualsiasi forma di pizzo o merletto che conferissero
loro una parvenza di biancheria femminile. Lei si sentì per un
attimo in imbarazzo, quando vide il viso di lui soffermarsi sui suoi
seni grandi e sul ventre morbido che tante volte, nella sua vita,
aveva detestato.
Viviana gemeva e sentiva salire un impulso interiore e dirompente che
partiva da un punto in basso e giungeva alla bocca dello stomaco,
pronto a sfociare in un urlo che, già sapeva, avrebbe soffocato in
gola per la vergogna di essersi lasciata andare con tanta passione.
Doveva riuscire ad aspettare il momento giusto. Con tutte le sue
forze tratteneva gli istinti primordiali che rendono gli uomini e le
donne parte del regno animale. Non c’era più altro tempo: lei
gridò e liberò tutta l’energia che teneva racchiusa dentro di
lei.
Subito dopo si addormentarono e sarà stato per il pranzo abbondante
o il vino copioso, oppure per quell’intenso pomeriggio di sesso,
che lei si svegliò che era già pomeriggio inoltrato.
Per non interrompere il sonno di Carlo, si era alzata in assoluto
silenzio con l’intento di andare in cucina per prendere un
bicchiere d’acqua e soprattutto per preparare del caffè.
Cercò la caffettiera ed il contenitore della miscela. Si guardò
intorno e cominciò a rovistare: nel frigo c’erano solo bottiglie
di vino e di Prosecco e anche qualche edizione limitata di champagne,
nella dispensa snack di tutti i tipi, nel pensile sopra i lavelli
qualche piatto e tanti bicchieri.
Non trovando traccia né di moka né di miscela, rimase un po’
interdetta sul da farsi e si ritrovò inconsapevolmente a guardare
quello strano calendario. Si accorse con un po’ di attenzione che
non erano veri e propri scarabocchi quelli segnati a penna, ma
piccoli simboli e lettere o numeri di diverso colore che riempivano
molte delle caselle corrispondenti ai giorni già trascorsi.
Continuò a guardarsi intorno fin quando l’occhio le cadde su una
piccola rubrica nera posta sul ripiano, chiusa da un elastico nel
senso della lunghezza.
Una sorta di sesto senso la spinse a prendere quel libriccino tra le
mani, e lo guardò prima di decidersi a schiuderlo. Sentì un
movimento di coperte provenire dall’altra stanza, e si bloccò,
pronta a lasciare cadere sul tavolo l’oggetto che aveva preso senza
permesso. Di nuovo sentì il silenzio del sonno profondo e cominciò
ad aprire con cautela, leggendo il primo foglio. Era una rubrica
telefonica. Si sedette sul piccolo sgabello, collocato davanti al
banco per la colazione, e cominciò a scorrere le pagine: erano nomi,
tutti di donne, e accanto ad ognuno di essi era indicato un simbolo o
un numero o una lettera.
Non riusciva a credere a quello che la sua mente stava mettendo
insieme. Un pensiero dopo l’altro si avvicendavano nella testa e la
inducevano con prepotenza a cercare un nome e un simbolo. Li trovò
entrambi. Prima alla lettera F, lesse il nome della donna stretta nel
cappotto nero con cui Carlo si era presentato alla sua mostra e,
accanto a questo, il disegnino di una stella. Poi controllò il
calendario e si accorse che molte caselle riportavano quel simbolo;
ne cercò una in particolare e la scoprì: era la stessa data del suo
vernissage.
Si fece vivo il pensiero malvagio che quel pomeriggio di sesso aveva
messo a sopire:
“Hai capito il ragazzo? Brava Viviana! Ti sei concessa ad un ‘uomo
vero’, quello da tacca sul bordo del letto! Hai visto che harem si
ritrova? Complimenti scelta azzeccatissima! Non potevo aspettarmi di
meglio da te! Povera ingenua ragazzina!”
Aveva ragione il suo tarlo malefico: “quelle sono tutte le sue
donne” e a questo pensiero si sentì gelare da dentro. Forse aveva
appena fatto l’errore più grande della sua vita.
Francesca Matranga (Palermo 1972). Ingegnere e mamma, per scelta vive
da sempre nella sua città natale. La scrittura è arrivata come una
sorpresa creativa nella routine lavorativa fatta di concretezza e
razionalità. Appassionata del modo di vivere palermitano, semplice e
diretto, attraverso le descrizioni dei luoghi e i suoi personaggi,
regala al lettore un’immagine magica di Palermo.
Oggi all’esordio con il suo primo libro ‘I giorni dell’amore
offeso’.
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