Respiro Readers
vi segnalo l'uscita del nuovo romanzo
dell'autore italiano Nicholas Maurizio Mercurio.
TITOLO: Il figlio del mare
AUTORE: Nicholas Maurizio Mercurio
CASA EDITRICE: Self Publishing
GENERE: Fantasy
SERIE: La Trilogia dell'ombra #1
DATA USCITA: 15 Giugno 2018
PAGINE: 640
"In una terra in cui
uno spietato male sta consumando e uccidendo chiunque ne venga
colpito, un ragazzo lascia che il mare accompagni suo fratello negli
abissi per liberarlo dalla sofferenza del suo popolo. Nel frattempo,
in un luogo in cui elfi e nani si contendono dei continenti
sconfinati e sconosciuti, un potere nascosto minaccia i loro reami e
la pace conquistata solo tre secoli prima dopo una lunga guerra."
Un libro che parla di due
popoli, della loro alleanza, delle origini del mondo de la Saga
dell'Ultimo e le Rose di Elgand Saga, e degli uomini.
«Le
decisioni passate del re sono chiare a tutti: intendeva arricchire
Gilvobir dall'interno grazie ai mercanti stranieri provenienti da
ogni luogo. Ecco perché permette ai nani di vendere e acquistare
senza ritorsioni da parte delle tue guardie, padre. Vuole prestare il
fianco ai reami dei nani e al tempo stesso essere alleato di re
Ilanen, che, nonostante abbia più volte proposto di essere disposto
a un dialogo, è sempre stato rifiutato dalla Lucente Guida. La
questione del fiume potrebbe essere un vantaggio per re Mirel, ora
che bande di Orkrim e Goblin compiono scorribande sulle sue rive e
mettono in difficoltà le truppe dello Spezzato. Se il re decidesse
di ristabilire la vecchia alleanza con re Ilanen, questi non la
rifiuterebbe mai.»
Eralden, udendo quelle parole, sorrise appena.
«E chi dovrebbe confidargli questa idea, figlio mio?»
«Nessuno,
padre», replicò Eraden con decisione. Gli occhi di Ravel lo
osservavano incuriositi. Sua madre, che era al suo fianco, n'era
orgogliosa e ammaliata.
«Perché?», chiese.
«Una storia
aiuta essere consapevoli dei propri limiti, ma non a prevederli», fu
la risposta. «Così suona meglio.»
Prologo: il figlio dimenticato.
Brendon
si strinse nel mantello per resistere al freddo di quella mattina dal
cielo plumbeo, camminando adagio lungo un sentiero battuto che si
apriva nella foresta. Gli alberi venivano spinti dal vento del nord
da una parte all'altra, alzando le foglie secche che erano al suolo.
Gli pungeva sulle narici e le dita nude, attraversava le carni e lo
sferzava come a breve la pioggia avrebbe sferzato il terreno
ricoperto di sterpaglia, su cui camminava da quando aveva lasciato
Rejalk, il suo villaggio natio.
Ogni
volta che se ne allontanava era sollevato. Suo padre, che rispondeva
al nome di Erak, non lo amava come amava i fratelli maggiori, e lo
trattava come il frutto di un errore, un presagio nefasto e indegno.
La
legge dei Nercest non prevedeva che un terzo figlio potesse
sopravvivere in una terra spoglia come la loro, e tanto meno un
quarto, quello che stringeva in un fagotto, nudo e affamato. Era nato
soltanto tre giorni prima, e suo padre aveva già deciso il suo fato.
"Non vivrà con noi. È il frutto di un errore, come te.
Sbarazzatene, o non tornare", gli aveva ordinato prima che
picchiasse sua madre, che gli aveva tenuto nascosto quella gravidanza
per tenerlo al sicuro. Ma aveva fallito, e ora quel bambino avrebbe
subìto le conseguenze della sua nascita, della sua vita indegna di
essere vissuta in una terra ormai in rovina, consumata a causa della
fame, della miseria e della paura. "Non c'è cibo per tutti",
aveva detto il Saggio Emmar, a capo del villaggio, urlando a gran
voce storie che non aveva mai udito nei suoi quindici anni di vita.
I
Nercest ne tramandavano molte e spesso ne inventavano altre, per
spaventare i bambini più vivaci e capricciosi. Ma con lui non
avevano mai sortito l'effetto sperato. Tuttavia, credeva soltanto in
una storia, quella che suo padre gli aveva insegnato fin da piccolo,
e che si leggeva dalle cicatrici che aveva sulla schiena. L'ultima
gliela aveva fatta sul petto, con un coltello arroventato per
fermarlo prima che picchiasse sua madre mentre i suoi fratelli
assistevano divertiti. Quel prezzo lo aveva pagato caramente, e
nessuno al villaggio osava guardarlo negli occhi.
Brendon
seguì un torrente, che dovette in seguito superare facendo
attenzione in modo da non fare scivolare il bambino dalle sue
braccia. Il fagotto che lo copriva non lo riscaldava abbastanza.
Quando cominciò a piovere, dovette condividere il suo mantello con
lui.
Da
quando era partito non aveva né pianto né dormito. Era silente, e
per un momento aveva pensato fosse morto. Ma percepiva sul petto il
suo cuoricino che batteva, e quella paura – sebbene non gli dovesse
appartenere – lo annientava molto più delle frustate di suo padre.
Sebbene la sua missione fosse chiara, non era certo che sarebbe
riuscita a portarla fino in fondo.
Brendon
continuava a camminare lungo un sentiero che lo condusse fuori dalla
foresta, su una brughiera verde che ammirò per qualche istante. Si
fermò per un momento, concentrando lo sguardo davanti a sé. Vedeva
dei carretti, qualche casupola in fango e sterco costruita per
ospitare i membri di una famiglia numerosa.
La
pioggia iniziò a cadere adagio. Avanzava piano per non scivolare a
terra, a causa dell'erba alta che gli impediva di vedere dove
mettesse i piedi. Imprecò per qualche istante, udendo il bambino
lamentarsi. "Avrà fame", pensò. Ma non aveva niente con
sé.
«Tu,
ragazzo.... Questa valle è del clan Aukurt», gli disse qualcuno
alle spalle, in tono per niente amichevole. Brendon si volse,
deglutendo. Aveva paura di trovarsi di fronte qualcuno che poteva
ucciderlo.
Quando
vide chi aveva di fronte, abbassò lo sguardo. L'individuo indossava
un'armatura in pelle decorata con rifiniture in bronzo, e stringeva
un arco sulla mano destra e delle lepri nell'altra. Notò che lo
squadrava con disgusto, come se avesse di fronte a sé uno dei
Nomadi, che venivano uccisi dal clan Aukurt perché figli degli
spiriti del male.
«Lo
so», replicò Brendon cercando di non tradire le sue emozioni. Suo
padre gli aveva insegnato solo una cosa nella vita: a non farsi
intimorire dagli altri se non da lui. «Sono solo di passaggio.»
L'uomo
si avvicinò, sputando al suolo. Aveva i capelli raccolti in trecce,
e una lunga barba folta che gli nascondeva le labbra. Puzzava di
sterco e piscio, ma avrebbe fatto di tutto per resistere a quel
fetore. «Di passaggio, eh? I ragazzini come te non sono benvoluti,
da queste parti. È meglio che continui per la tua strada, ma a
distanza di sicurezza dalla mia casa. Chiunque tu stia portando al
mare è un'onta per me»
Brendon
non replicò, quindi indietreggiò e si avviò il più lontano
possibile dal villaggio che avrebbe attraversato se non fosse stato
trovato con un bambino tra le sue braccia. L'individuo, che non
distolse lo sguardo da lui finché non fosse lontano, urlò a
qualcuno di entrare nelle casupole. Come Nercest comprendeva le loro
paure. I quarti figli erano pazzi, mutilati alla nascita e sarebbero
cresciuti nell'oscurità, lontani dalla ragione dei capi villaggio e
dei clan. Meritavano la morte, e chi eseguiva quella sentenza era
soltanto un figlio non desiderato, non amato, non voluto ma temuto.
Oltrepassò
la brughiera con lo sguardo abbassato, mentre raggiungeva una strada
ora battuta e più facile da seguire. Di sicuro non si sarebbe
perduto quando fosse tornato a casa, dopo essersi sbarazzato del
bambino. Brendon si alzò il cappuccio sul capo, stringendo il
bambino sempre più vicino al mantello. La pioggia batteva al suolo
con furia, segno che gli spiriti erano inquieti e spaventati da quel
quarto figlio, che meritava la morte nelle terre dei Nercest. Decise
dunque di fermarsi sotto a una quercia, attendendo che smettesse. In
cuor suo, sapeva che ci avrebbe messo molto più di quanto
immaginava. Batteva i denti per il freddo, udendo il bambino piangere
e dimenarsi. Cercava di tenerlo fermo, ma gli era impossibile.
Sebbene
fosse solo un neonato, era molto forte. Lo strinse con più forza al
petto, mentre il cielo celava il sole sopra di loro. Immaginava si
trattasse solo di una tempesta momentanea, che sarebbe passata da lì
a poco. Tuttavia, non attendeva altro che spostarsi subito da lì.
Ben presto il fango gli avrebbe sporcato gli stivali, i pantaloni e
il mantello.
Era
stata sua madre a donarglieli all'oscuro di suo padre, che preferiva
vestire i suoi fratelli che lui. "Non merita niente",
ripetevano quest'ultimi, i quali non lasciavano mai loro padre da
solo nei campi e nelle feste del clan. Da piccolo era stato
oltraggiato, picchiato e quasi ucciso dal padre perché gli aveva
rivolto la parola. Se non eseguiva i suoi ordini veniva punito, e
molto spesso finiva a dormire coi maiali, o quello che ne restava di
loro. La terra dei Nercest era in rovina da due secoli, ed era a
causa loro. Gli spiriti, a detta di suo padre, avevano smesso di
donare loro cibo, e il ritorno nei draghi aveva spezzato ogni legame
con la terra.
Nonostante
fosse un pazzo, ciò non toglieva che lavorava la terra. Aveva dato
tutta la sua vita a coltivare cibo e a venderlo, e ora i suoi sforzi
venivano meno ogni volta che piantava quello che poteva per
provvedere alla sua famiglia, che era composta soltanto da lui e dai
suoi due fratelli.
Mentre
ripensava a quello, la pioggia aveva smesso di sferzare il terreno.
Il bambino aveva ripreso a dormire, e ammetteva di esserne sollevato.
Riprese il viaggio senza esitare, seguendo il sentiero che lo
condusse in seguito a una strada secondaria.
Ai
lati c'erano arbusti, qualche albero e delle casupole abbandonate.
Poco più in là aveva scrutato del fumo alzarsi sopra al cielo, e
ora sopportava il fetore del fango che gli pizzicava le narici.
Aumentò il passo, sperando che l'imbrunire non giungesse troppo
presto. Quando riconobbe il fiume Agrl, che sfociava nel mare,
comprese di essere vicino. Lo seguiva senza badare a strade più
sicure, rapido e silenzioso come una lepre.
"Ho
fame", pensò dopo alcuni istanti. Le acque del fiume erano
torbide a causa della pioggia, e del terriccio che era stato portato
via dalla corrente. Ci avrebbe messo poco a catturare un pesce, ma
non poteva fermarsi lì. Avrebbe mangiato solo al suo ritorno,
chiedendo ospitalità in una casupola per una notte sebbene temesse
di non essere ben accetto.
Nessun
giovane raggiungeva il mare da solo. Chi lo faceva era un terzo
figlio, un Nomade o un Nercest solitario, che aveva abbandonato il
proprio clan per vivere da solo, ma ormai ne restavano ben pochi. A
nord c'erano clan più forti, in grado di vivere insieme e prodigarsi
gli uni per gli altri anche in tempo di guerra con quelli del sud.
Tuttavia,
la pace dominava ormai da due anni. Suo padre aveva combattuto e
vinto contro i Teskr, che si erano battuti per del grano e cento
pecore. Ogni contadino aveva ricevuto due sacchi di grano e una
pecora, che suo padre aveva diviso soltanto coi suoi due figli
prediletti. Ma Brendon non se n'era mai lamentato.
Mentre
camminava lungo la strada, ripensava alla zuppa di sua madre,
preparata con amore e attenzione. Non era convinto che, una volta
tornato a casa, ne fosse avanzata. Non gli restava che immaginare il
colore verde e giallo, mentre le carote e il sedano si univano in
un'armonia di colori. Il suo palato poteva gustarla anche in quel
momento, sebbene non ne avesse una ciotola di fronte. Ma a Brendon
bastava poco per essere felice.
Strinse
il bambino a sé, abbassandosi il cappuccio. Più si avvicinava al
mare e più percepiva l'odore della salsedine. Scrutava in lontananza
gli scogli neri della Barriera di Argolt'hol, l'antico troll che
governò la terra dei Nercest – ora chiamata Erguson – prima dei
canti per venerare i draghi e delle storie dei Saggi di ogni clan.
Si
narrava che le loro rocce appuntite potessero uccidere un drago, e
che al loro interno vivesse una viverna in grado di scomparire nel
mare per poi giungere in altri lidi.
Quando
Brendon raggiunse la spiaggia, si guardò attorno. Il sole illuminava
la sabbia dorata scontrandosi con le pareti argentate degli scogli,
che si riflettevano sulle onde del mare. Il ragazzo ammirava quel
luogo con un sorriso, spostando poi lo sguardo.
Sperava
di trovare qualcosa nell'orizzonte, ma non c'era niente. Neanche la
viverna delle leggende, la quale avrebbe accettato il bambino che
aveva tra le sue braccia più della sua stessa famiglia. Sarebbe
stato ingoiato da un'antica bestia, e non annegato dal suo stesso
fratello. Ma non sarebbe cambiato niente, perché avrebbe avuto
comunque la sua morte nel cuore. Brendon si avvicinò verso le onde
più alte, ormai deciso a compiere ciò che suo padre gli aveva
ordinato di fare.
Si
inginocchiò, togliendo poi dal fagotto il bambino. Lo adagiò sulla
spiaggia, mentre attendeva le onde che lo raggiungessero. Lo
osservava dritto negli occhi, e sembrava cercasse di dirgli qualcosa.
Il giovane gli accarezzò il volto, sospirando appena.
"Fatti
forza, Brendon", pensò. "Non ha scampo. Deve morire."
Quando il vento portò l'acqua quasi a sommergere il neonato, il
giovane allontanò le mani. Chiuse gli occhi, deglutendo appena. Il
freddo si faceva più penetrante. Le ossa gli dolevano e le gambe
erano stanche. Quella notte avrebbe vegliato lì, come a dire addio a
quel fratello che non avrebbe mai abbracciato né conosciuto bene
come in quel momento.
Quando
sbarrò gli occhi, il bambino era ancora lì. La sua mano destra gli
impediva di farlo trascinare via dalle onde, e se n'era reso conto
perché la sua volontà non intendeva lasciarlo. Ma non poteva
restare comunque lì, in quella terra spoglia, e nella paura. Brendon
si guardò attorno, deglutendo. Sospirò appena, cercando una
risposta a quell'enigma che cominciò ad attanagliarlo, e che non lo
avrebbe abbandonato.
Quando
vide una cesta di vimini accanto a un imponente masso, prese il
bambino e lo infilò nuovamente nel fagotto. Ci mise un po', siccome
ora si muoveva a causa dell'acqua fredda che lo aveva quasi ucciso.
Prese poi la cesta, che era più grossa di quel fratello che avrebbe
lasciato al mare, ma non si sarebbe preso l'onere di ucciderlo.
La
aprì, e non trovò niente. Lo infilò all'interno, facendo
attenzione a non fargli male. Se fosse morto sarebbe stato cullato
dal mare, dal suo tocco dolce, gentile e amorevole; come quello di
una madre.
Se
fosse sopravvissuto avrebbe navigato per sempre, smarrito e senza una
patria, una famiglia e degli affetti. Sarebbe solo scomparso, ed era
quello che doveva fare. La sua sentenza era stata decisa dal suo
stesso padre, che non aveva pietà neanche per la donna che diceva di
amare. Sarebbe stato cresciuto in un clan che lo avrebbe sacrificato
ai draghi, o a qualsiasi spirito di quella terra ormai sempre più
povera.
Brendon
lo coprì al meglio, strappando un pezzo del mantello che era stato
un dono di sua madre. Quello lo avrebbe accompagnato nel suo viaggio,
e lo avrebbe riscaldato e protetto molto più di lui. Gli accarezzò
il volto, sorrise e poi prese il coperchio della cesta. La adagiò,
non disturbando il sonno del piccolo e i suoi sogni.
Quando
si rialzò, la imbracciò con forza. Le onde gli bagnarono i
pantaloni e gli stivali in pelle, ma non gliene importava. Non
avrebbe atteso le onde, anche a costo di tornare a casa inzuppato
d'acqua. Era l'unico gesto d'amore che poteva fare nei confronti di
quel bambino.
L'acqua
ormai gli arrivava alla vita. La cesta, che non avrebbe fatto
penetrare acqua, ora ondeggiava ancora tra le sue mani. Mentre il
ragazzo osservava l'orizzonte, la lasciò andare. Tenne lo sguardo
fisso su di essa finché non venne portata a largo, dal mare e dal
forte vento dell'imbrunire. In cuor suo, sapeva di aver fatto la
scelta più giusta, e l'unica che avrebbe fatto sì di donare a quel
fratello una speranza. Nessuno dei Nercest conosceva altre terre, e
nessuno era in grado di essere sicuro ne esistessero, neppure i Saggi
di tutti i clan. Ma in quel momento Brandon non voleva pensarci.
Osservava
la cesta allontanarsi verso l'ignoto, col cuore nel petto e la sua
anima ancora integra. Era salvo, almeno per il momento.
Nicholas Maurizio
Mercurio nasce ad Aosta il 15 Giugno 1995. Pubblica a diciannove anni
il suo primo romanzo fantasy "L'Alba di un Cavaliere" e
subito dopo "La Saga dell'Ultimo", dov'è protagonista
Argail di Lytel. Recentemente ha pubblicato "Il Figlio del
Mare", primo volume de "La Trilogia dell'Ombra", che
sta avendo un ottimo successo ed è tra più venduti di Amazon. Ora
sta lavorando al secondo volume.
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