Respiro Readers
vi segnalo la raccolta di racconti dell'autrice italiana
Lory Cocconcelli.
TITOLO: OBSCURA: 15 RACCONTI DALL'AFRICA NERA
AUTRICE: Lory Cocconcelli
GENERE: Narrativa
CASA EDITRICE: Self Publishing
DATA USCITA: Novembre 2017
OBSCURA è una raccolta
di 15 racconti ambientati nell’Africa nera.
Un’Africa remota,
quella dei villaggi isolati, in cui streghe e stregoni operano
sortilegi e malefici attraverso leggi fisiche e regole sconosciute
all’uomo comune. Una terra compenetrata di magia, nella quale
risuona l’eco del mistero, della morte e dell’aleatorietà, in
cui lo spazio e il tempo sono confini
dimensionali relativi.
In
questi racconti, che traggono ispirazione dalle antiche leggende
africane, fanno capolino personaggi inquietanti ed entità
ultraterrene, come féticheur, marabout, streghe
e stregoni e djinn. L’atmosfera è cupa, densa, surreale,
caratterizzata da scenari grotteschi.
L’ambientazione -
fedele alle testimonianze che ho raccolto, vivendo di fatto vari mesi
l’anno nel continente nero - tocca vari paesi dell’area
occidentale, per lo più Burkina Faso, Costa d’Avorio e Benin. I
nomi dei personaggi sono frutto della mia fantasia, come pure i
momenti storici in cui si contestualizzano gli eventi per i quali ho
cercato di elaborare scenari coerenti e verosimili.
In ogni racconto si trova
la testimonianza di un universo impregnato di mistero, di un ordine
delle cose sovvertito o ristabilito, del senso dell’ineluttabilità
della vita e, infine, di una morale che si traduce in sostanza
nell’antica saggezza africana.
La scelta di pubblicarne
15 non è stata casuale. Benché ne avessi a disposizione molti di
più, ho optato per un numero che avesse una valenza simbolica. Il 15
nella carta dei Tarocchi è il simbolo dell’astuzia, della frode e
della strega, mentre per le civiltà matriarcali antiche
rappresentava la luna (simbolo della notte) e la donna (personaggio
che nel contesto magico-stregonico fa la parte del leone).
1 – Il taxi magico.
Costa d’Avorio. Blaise, un tassista rastafariano con una moglie
procace e una tribù di donne cui provvedere al suo seguito,
trascorre le sue giornate inscatolato in un taxi sgangherato. Gli
affari sono magri, i clienti scarseggiano. Un giorno, un vecchio
malconcio gli chiede un passaggio. Anche se probabilmente non potrà
pagare il prezzo della corsa, Blaise lo fa salire a bordo. Il vecchio
suscita un gran pena. Stranamente, il percorso fino al luogo di
destinazione si allunga anziché accorciarsi, il paesaggio si ripete
un’infinità di volte, tant’è che il tassista inizia a dubitare
di sé. Quando finalmente giunge a fine corsa, il vecchio scompare,
si volatilizza. Da quel momento, per una serie di vicissitudini e per
un improvviso affluire di clienti, il rastaman non riesce mai a
raggiungere una pompa di benzina per fare rifornimento. E quando,
stupito, si domanda perché il suo taxi cammini anche senza
carburante, comprende che la chiave del mistero è quel vecchio
malandato al quale aveva dato un passaggio in cambio di pochi spicci.
In realtà, uno spirito giunto sulla terra dal mondo invisibile per
premiare un uomo di buona volontà.
2 – La strega di
Ganvié. Benin. Ganvié è un villaggio palafitticolo che si erge
sull’omonima laguna, dove la vita si svolge a bordo delle piroghe e
le giornate volgono al termine al calar della bruma. Touli e Lamine
sono due giovani innamorati, lui un pescatore, lei la figlia del
maestro del villaggio e dell’avvenente Nana, una strega di cui
nessuno - tranne il marito e le altre mangiatrici anime - sospetta la
natura. Quando Nana si innamora del fidanzato della figlia, si
riscopre debole e vulnerabile, e il suo equilibrio inizia a
vacillare. A complicare la situazione, le streghe della congrega alla
quale appartiene mettono a morte Lamine perché la sua continua
presenza nella casa della consorella espone al pericolo l’intero
gruppo: l’anonimato è essenziale perché le creature della notte
possano agire indisturbate. Per salvargli la vita, Nana architetta un
piano: prima si incarica di portare a termine il lavoro in modo da
guadagnare tempo, poi rivela al marito che la congrega vuole morta la
figlia, anziché il fidanzato. Trovando nell’uomo un alleato, i due
forzano il matrimonio tra i ragazzi per allontanarli al più presto
dalla loro casa. Evento che farà decadere il presupposto della morte
di Lamine – o, come crede il maestro di Ganvié, della figlia.
Celebrata la cerimonia in fretta e furia, gli sposi si preparano a
trasferirsi nella casa dei genitori di lui. Il ragazzo avrà salva la
vita, ma Nana, per aver mancato alla parola data, viene uccisa dalla
strega a capo della congrega, sua madre.
3 – Il sacrificio.
Mali. Lomé sposa Marie solo perché aspetta un bambino e non vuole
disonorare il buon nome di famiglia - una famiglia importante, caduta
di recente in un rovinoso dissesto economico. Non potendo darsi pace
per la rovina che lo ha colpito, suo padre si rivolge ad uno
stregone. Nel corso del rito magico, gli viene prelevata una porzione
carnea dal corpo. La pratica però non funziona, non solo il denaro
non rimpingua le sue tasche, ma la ferita dalla quale è stato
prelevato il tessuto si aggrava sempre più. Nel frattempo Marie dà
alla luce un bambino che Lomé allontana, sostenendo di non essere in
grado di provvedere a lui. La ragazza acconsente a che il figlio
venga portato da una zia del marito, ma con il tempo è presa dai
sensi di colpa e lo rivuole con sé. Non potendo restituirle il
bambino - sacrificato da padre e figlio ad un secondo stregone nel
tentativo di ribaltare la rovina economica -, Lomé le dice che è
morto di malaria. Quando il denaro ricomincia improvvisamente a
fluire nelle casse di famiglia, la ragazza mette in relazione gli
eventi e intuisce la verità. Urla in faccia al marito i suoi
sospetti, il quale la caccia di casa. Marie ripara dal fratello per
esalare il suo ultimo respiro. Non vuole più saperne di vivere. Sua
nonna, che l’ha cresciuta dopo che è rimasta orfana, non sa darsi
pace per quella scomparsa prematura e prima che la ragazza venga
sepolta, la risveglia attraverso una magia: vuole sapere perché è
morta. Dopo che Marie le rivela la verità, si riaddormenta per
sempre. In capo a poco, la nonna la vendicherà rendendo sterile Lomé
con l’aiuto di un féticheur.
4 – Malefica. Costa
d’Avorio. Modibo ha perso tutti i suoi figli, uno dopo l’altro.
Per rassegnarsi al dolore delle sue perdite, ha bisogno di capire il
perché. Nessuno può aiutarlo, se non un uomo di magia che riesca a
scrutare la verità attraverso la dimensione oscura. Nel corso di una
consultazione con un féticheur, scopre che i suoi ragazzi non
sono morti di una malattia sconosciuta come aveva creduto, ma sono
stati uccisi dalla madre, una strega di cui non ha mai sospettato la
natura, che li ha mangiati per impossessarsi della loro anima e
accrescere il potere della propria. L’uomo vuole vendetta e dà
inizio a una guerra nei confronti della mangiatrice di anime, la
quale, comprendendo che la verità gli è stata svelata, non perde
tempo a contrattaccarlo. Malgrado sia indebolito da un sortilegio
lanciatogli dalla moglie, una notte Modibo trova la forza di
appiccare il fuoco al corpo di lei. Nella pira svanirà l’ultimo
brandello di un amore che aveva creduto felice, ma l’uomo ritroverà
finalmente la pace.
5 – Noel e le streghe
della corte. Burkina Faso. Noel e Diko sono due giovani che, per
desiderio di indipendenza, decidono di lasciare le rispettive
famiglie e affittare un paio di stanze presso una corte del
villaggio. La casa è sporca, le stanze decrepite e ammuffite, le
proprietarie due vecchiette dall’aspetto poco rassicurante, ma il
prezzo della locazione è estremamente conveniente. Mentre Noel è
entusiasta della nuova sistemazione, Diko manifesta qualche
perplessità: ogni volta che si trova nella sua stanza, un profondo
senso di inquietudine lo assale impedendogli perfino di dormire.
Quando scopre per caso che è finito nel covo di due mangiatrici di
anime, tutto gli appare chiaro, abbandona la corte e cerca di
convincere l’amico a fare altrettanto. Noel però non ne vuol
sapere e si ostina a rimanere in quella casa maledetta anche quando
si scopre debole e ammalato. Le streghe, durante la notte, si
abbeverano del suo sangue privandolo a poco a poco della sua linfa
vitale. In breve cade in uno stato comatoso dal quale lo salverà
l’amico conducendolo tempestivamente da un guaritore.
Consapevole del fatto che
Noel è solo una delle tante vittime delle due megere, il guaritore
manda a chiamare il cugino, un abile féticheur cacciatore di
streghe, la cui permanenza al villaggio segnerà la morte delle due
donne.
6 – Il cimitero di
Banlankeledara. Burkina Faso. Daouda muore a venticinque anni, tre
mesi e sedici giorni. Cade dallo sgabello di un bar, tra clienti
indifferenti e passanti indaffarati. Negli ultimi istanti della sua
vita, i flash back delle ultime settimane scorrono nella sua mente
come un film. Un film che inizia in quello stesso bar, una sera di un
sabato d’estate di qualche tempo prima, quando lei gli inciampa
involontariamente su un piede. Il suo nome è Barakisa, una ragazza
splendida che con la sua bellezza cattura l’attenzione di tutti,
compresa la sua. Inevitabilmente se ne innamora. Si incontrano il
sabato successivo, stesso bar, stesso sgabello. Il tempo di un drink
e se ne vanno a casa di lui, dove trascorrono la notte insieme.
All’alba Daouda la accompagna a casa, le mette premurosamente il
suo giubbotto sulle spalle perché non prenda freddo, si infila in
tasca la fotografia che la ritrae, che lei gli ha appena regalato, e
le strappa un appuntamento per la settimana che verrà.
All’appuntamento Barakisa non si presenta. Non si presenterà più.
Deciso a scoprire cosa si cela dietro la sua sparizione, il ragazzo
si reca là dove l’aveva accompagnata, dove una donna gli dice che
sua figlia Barakisa è morta da tre anni. Il ragazzo le mostra la
fotografia che ha portato con sé, dicendole di aver visto la giovane
che vi è ritratta qualche settimana prima. Quando la donna lo
conduce al cimitero, dove su una lapide scorge la stessa fotografia
che lui stringe tra le mani e il giubbotto che aveva prestato a
Barakisa qualche tempo addietro, Daouda sprofonda in un vortice di
follia che lo condurrà alla morte.
7
– La strega e il miglio. Burkina Faso. La mangiatrice di anime è
pronta a cacciare. In quella carcassa disfatta di quasi un secolo,
smagrita e maleodorante, alberga il vigore di una belva feroce. E’
notte quando, nel mezzo della boscaglia, sferra un attacco a un
giovane contadino che si appresta a rientrare a casa, Moussa. Dopo
una fuga rocambolesca durante la quale vede la strega trasformarsi in
un asino, il ragazzo viene salvato in extremis da un bracciante
ubriaco. Temendo che la “belva” non si dia per vinta e possa
cercarlo anche tra le mura domestiche, invece di rincasare, Moussa si
rifugia nel silos di raccolta del miglio del vicino di casa, un luogo
sacro in cui lo spirito degli antenati - secondo quando sostiene
un’antica leggenda - lo proteggerà. Il mattino dei due giorni che
seguono, mentre è ancora nascosto, la moglie in ansia per la sua
scomparsa manifesta la sua preoccupazione a una vecchia zia. La donna
si offre di mettersi alla ricerca del ragazzo ma muore
all’improvviso, proprio davanti al silos di raccolta del miglio in
cui si è rifugiato.
Una credenza burkinabé
sostiene che una mangiatrice di anime ha un giorno di tempo a
disposizione per scovare l’essere umano al quale dà la caccia,
dopodiché è condannata a morte. La credenza, a quanto pare, è
fondata.
La zia, che Moussa non ha
riconosciuto nell’oscurità, era la strega nella boscaglia che,
esaurito il tempo a sua disposizione, è spirata rivelando così la
sua insospettata natura.
8 – Noaga e l’anello.
Costa d’Avorio. Sylvain vive in un quartiere ghetto di Abidjan. E’
innamorato di Charlotte, una ragazza molto ricca che ricambia i suoi
sentimenti, con la quale purtroppo non potrà costruire alcun futuro
per via di quella disparità.
Quando, per caso, Sylvain
conosce un tizio in un bar che gli racconta di aver accumulato un
enorme ricchezza grazie alla magia di uno stregone, il ragazzo
intravede uno spiraglio di luce: se diverrà ricco, il padre di
Charlotte gli darà il consenso a sposarla. Decide così di
consultare il féticheur, il quale gli dice che può esaudire
il suo desiderio se in cambio sacrificherà ciò che ha di più caro
al mondo. Ma ciò che il ragazzo ha di più di caro al mondo è
proprio Charlotte. E qui si complicano le cose. Combattuto tra il
sentimento d’amore e il desiderio di una vita agiata, Sylvain
finirà per accettare di sacrificare la sua innamorata. Non potrà
vivere insieme a lei, ma almeno condurrà un’esistenza priva di
stenti lontano dal ghetto fatiscente nel quale ha sempre vissuto.
Il giorno designato per
lo svolgimento del rito, qualcosa va storto. Sylvain conduce la
ragazza a casa dello stregone spacciandolo per un vecchio zio, ma una
delle mogli dell’uomo rivela alla giovane che non le è stata detta
la verità. A causa dell’imprevedibile reazione di Charlotte, il
rito magico si ritorce contro Sylvain al quale tocca la triste sorte
che sarebbe spettata invece a lei.
9 – Il pesce
dall’orecchino d’oro. Burkina faso. Millogo non si riconosce più
nella sua cultura, pensa che superstizione e creduloneria tarpino le
ali alla modernità, costringendo i burkinabé all’arretratezza.
Per dimostrare che le antiche leggende sono prive di fondamento,
quasi a volersi scrollare di dosso la sua africanità, commette un
sacrilegio.
Si dice che molti secoli
addietro l’etnia Bobo alla quale appartiene fuggì al massacro di
un’etnia nemica riparando nella grotta sommersa di uno stagno. I
sopravvissuti si trasformarono in pesci, creature sacre dai grandi
poteri - caratterizzate da un orecchino d’oro posto su una branchia
- alle quali i loro discendenti umani si rivolgono ancora oggi per
ottenere favori e guarigioni.
Sfidando le leggi degli
antenati, per dimostrare che la leggenda non è che una baggianata,
Millogo cattura un pesce sacro, lo uccide intenzionato a cucinarlo.
La punizione per il
sacrilegio che ha commesso non tarda ad arrivare. Il ragazzo viene
rinvenuto cadavere il giorno successivo. Il letto sul quale è
disteso è fradicio d’acqua e sulla sua arcata sopraccigliare
riluce un orecchino d’oro. Lo stesso che perfora la branchia dei
suoi antenati.
10 – La vendetta di
Anna. Senegal. Durante una vacanza a Dakar, Anna, una signora
parigina di mezza età, si innamora di un aitante giovane noir.
Quando lui le chiede di sposarla, la donna decide di stabilirsi
definitivamente in Africa. Il Senegal le si presenta in tutto il suo
folklore, religione e superstizione fanno da padrone, e il suo
matrimonio deve sottostare a una serie di strane regole alle quali,
non senza sforzo, a poco a poco si abitua. Quando scopre che Alioune,
il marito, le ha nascosto di essere padre di due bambini, fa buon
viso a cattiva sorte e si rende disponibile all’idea di una
famiglia allargata. Ma Koudja, la ex moglie di Alioune, non è del
suo stesso avviso. Attraverso i suoi figli, che manda in visita
regolarmente ai novelli sposi, dissemina la casa della francese di
oggetti nefasti che non tardano a manifestare il loro effetto.
L’affezionata domestica rivela ad Anna che lo scopo degli amuleti
ritrovati nella sua casa è quello di nuocerle e la prega di
consultare uno stregone per cercare di contrastarne l’effetto. La
francese le dà il consenso per una consultazione in suo nome, così
la donna interpella un féticheur. Lo stregone non soltanto
annulla il rito, ma fa qualcosa di più: lo rimanda al mittente. Poco
tempo dopo, Koudja sarà rinvenuta cadavere da una vicina di casa.
11 – La collana che
piange. Burkina Faso. Il tassista dice alla vecchia Micheline che la
borsa che ha appena rinvenuto sul sedile posteriore del taxi
appartiene alla donna che è scesa da poco, una ricca signora che il
caso vuole abiti proprio vicino alla chiesa dove lei si reca
quotidianamente per la messa. Micheline si offre di prendere in
custodia l’oggetto dimenticato e consegnarlo il giorno seguente
alla proprietaria prima di recarsi alla funzione. Una volta a casa,
cedendo alla curiosità, apre la borsetta per vedere cosa contiene.
Stranamente all’interno c’è solo una collana. Non è una
semplice collana, però, e lo scoprirà molto presto. A causa di un
rito imbastito da uno stregone molti anni addietro - che ha
arricchito varie generazioni della famiglia della facoltosa signora
-, nell’oscurità il gioiello si trasforma in un neonato deforme
che vomita soldi. Svegliata nel cuore della notte dai vagiti del
bambino, alla vista di quell’obbrobrio e della poltiglia che
rimette, Micheline pensa di essere affetta da un’improvvisa
malattia mentale. Quando all’alba il bambino è ritornato ad essere
il gioiello che era in origine, sconvolta, si reca a casa della
proprietaria della borsetta per disfarsene al più presto, la quale,
comprendendo che il suo segreto è stato svelato, le impone di
mantenere il silenzio, pena la sua vita. Solo in punto di morte,
molti anni dopo, Micheline rivelerà di quella notte tremenda alla
figlia e al suo parroco, i quali, pensando a un delirio dovuto al
momento del trapasso, non le crederanno contribuendo loro malgrado a
celare un’orribile verità.
12
– Il piccolo milionario. Camerun. La spregiudicatezza e la
determinazione ad uscire dalla miseria alla quale è condannato
portano Ruben a intraprendere una strada oscura. In cambio di una
grande ricchezza, sacrifica a un feticcio la vita della sorella. A
rimpiazzo dell’affetto che ha strappato alla famiglia - all’oscuro
dell’ignominia della quale si è macchiato -, risarcisce i parenti
con iniezioni di denaro.
Il
miracolo di quel grande e improvviso benessere è stato possibile
grazie all’intermediazione di uno stregone che ha vincolato il
giovane a una promessa: a cadenza annuale, per tutta la sua vita,
Ruben dovrà presentarsi a rendere grazie al feticcio portando con sé
un dono, un bue dal manto nero. Per qualche anno, il ragazzo tiene
fede alla parola data, poi l’arroganza dovuta alla grande ricchezza
che ha accumulato lo fa sentire intoccabile e lo spinge a infrangere
il patto.
Il
feticcio reclama così la sua vendetta. Un giorno, mentre Ruben è
alla guida del suo costoso fuoristrada, il suo cuore cessa di
battere. Stranamente, l’autopsia del cadavere del giovane non
rivelerà alcuna causa fisio-patologia alla quale addossare il
decesso.
13 – L’amico djinn.
Burkina Faso. Non è facile vivere di niente in un villaggio sperduto
dell’Africa nera, né lo è accettare i colpi assestati da un
destino impietoso. Bouba possiede un senso di accettazione degli
eventi che lo fa sembrare più maturo di un ragazzo della sua giovane
età. Accetta ogni cosa, la povertà, la morte della madre, la
partenza del padre e del fratello per la Costa d’Avorio in cerca di
lavoro, e anche di essere deriso quando, scoprendo che il suo nuovo
amico è invisibile a tutti tranne che a lui, la gente lo crede
pazzo. Lui sa che in Africa tutto è possibile: c’è chi parla con
gli spiriti, chi si vota alla stregoneria, chi pratica la magia, chi
vede cose che altri non vedono.
Quando il nonno cerca di
liberarlo della sua presunta follia sottoponendolo a un lavaggio
mistico, il suo amico invisibile se ne va - non riesce a sopportare
l’effetto delle radici impiegate nel medicamento. Ma ritornerà
perché altri non è che uno spirito che lo ha scelto per
consegnargli un dono prezioso: la capacità di vedere, sentire e
percepire ciò che agli uomini comuni non è consentito fare.
14 – I due fratelli.
Benin. Grazie a un rito di protezione, due bambini - Yayi e Folé,
fratelli gemelli - crescono forti e robusti, tanto che da adulti
diventano campioni di lotta del loro villaggio. Com’é sempre stato
nella loro vita, ciò che sente uno sente anche l’altro.
Inevitabilmente entrambi si innamorano della stessa ragazza. E qui le
cose si complicano perché la fanciulla è promessa a Folé.
La frustrazione di Yayi
per quell’amore impossibile, per il quale si strugge e si tormenta,
esplode in una violenza inaudita nei confronti di Folé durante una
competizione di lotta al villaggio.
Mentre tutti credono che
i due giovani si affrontino nell’arena per una dimostrazione
sportiva, il padre, quando vede Yayi fare sul serio e avere la meglio
su Folé, si dispera. E’ l’unico, insieme al féticheur, a
essere al corrente del fatto che nel corso del rito di protezione
invocato molti anni addietro, il feticcio aveva gravato i suoi figli
di un tabù: se avessero litigato seriamente e fossero venuti alle
mani, quello che dei due avesse avuto la meglio sull’altro, sarebbe
morto poco dopo. A nulla varrà all’uomo precipitarsi dal
féticheur. L’ordine delle cose non potrà essere
sovvertito.
15 – Il coccodrillo di
Bama. Burkina Faso. Due giovani cacciatori approdano dalla città a
un villaggio sperduto dell’entroterra burkinabé. Sono a caccia di
un trofeo: il bufalo africano. Poiché i bufali della zona sono stati
sterminati, ripiegano su un coccodrillo avvistato in riva a un fiume,
ignorando che da quelle parti è considerato un animale sacro. Il
tempo di ripartire alla volta della città e sul villaggio si abbatte
una pioggia torrenziale devastante malgrado sia la stagione secca. In
più sopraggiunge la morte, apparentemente senza ragione, di quattro
giovani in buona salute. Il capo villaggio, che non sa trovare
spiegazione a ciò che sta accadendo, interpella un féticheur.
Questi rivela che sulla comunità si sta abbattendo l’ira di
uno spirito e che è necessario placarla attraverso dei sacrifici,
altrimenti nessuno sopravviverà. L’intero villaggio si reca in
pellegrinaggio nei luoghi sacri per la deposizione delle offerte
sacrificali. Nessuno sa in cosa consista la colpa commessa e nemmeno
chi sia il colpevole. Quando la gente giunge in riva al fiume,
l’ultimo dei luoghi sacri, lo spirito adirato - con le sembianze di
un gigantesco coccodrillo -, preceduto da un boato e dal ribollire
delle acque, fa la sua comparsa. Qualcuno ha ucciso e mangiato suo
figlio e ora vuole vendetta. Il capo villaggio comprende che i
colpevoli devono essere stati i giovani cacciatori che avevano fatto
base nell’abitato poco tempo prima e prega il féticheur -
l’unico in grado di comunicare con le entità del mondo invisibile
- di volerlo riferire allo spirito. Poiché il coccodrillo può
leggere nelle menti dei mortali, scruta la verità e la sua ira si
placa.
IL TAXI MAGICO
Costa d’Avorio. Fine anni ‘90.
Si stordiva di
coupé-décalé che la radio sputava a intermittenza nel taxi.
Sudava come un dannato in quella scatola di latta. Il sole ivoriano
sapeva essere impietoso, l'umidità insopportabile. L'impianto
dell'aria condizionata era un lusso per ricchi e lui doveva pensare a
sfamare la sua piccola tribù.
Mantenere al fresco i
suoi ottanta chili di muscoli era l'ultimo dei suoi problemi.
Trent'anni, bei tratti,
pelle nerissima, lunghi dreadlock che gli scendevano sulla
schiena e un corpo forte e atletico dalla vita sottile. Un
bell'ivoriano di un metro e ottanta, prestante quanto bastava per
rendere gelosa una moglie innamorata. E la sua, a dispetto di un viso
dolce e forme morbide e burrose, era una tigre sempre in guardia con
gli artigli ben affilati. Da Assethou aveva avuto quattro figlie,
acquisito una suocera e una cognata cui provvedere, e una marea di
capricci al femminile da soddisfare.
Il suo nome era Blaise.
Blaise Ouedrago, di professione tassista.
Da oltre un decennio
batteva le strade della piccola città ivoriana nella quale era nato.
Ne conosceva ogni angolo, ogni crocevia, ogni dosso. Amava la sua
terra, i palmeti rigogliosi, le distese verdi, le piantagioni di
banani e caffè, i tramonti sul mare che arrossavano l’orizzonte.
Per lui la Costa d’Avorio era sinonimo dell'aloko caldo, del
vino di palma, della bellezza procace delle donne, del brulichio agli
angoli delle strade dove la gente si ammucchiava a chiacchierare o a
vendere pietanze. E anche di quel clima terribilmente umido, ideale
per le coltivazioni di cacao, ma assai tedioso per chi era costretto
a bollire inscatolato in un taxi.
Era un giorno come un
altro, o forse peggiore degli altri, quello che stava volgendo al
termine. A parte il cliente del mattino, al quale aveva offerto la
corsa a un prezzo più che stracciato pur di non farselo sfuggire,
non ne erano seguiti altri. Non che la concorrenza fosse pressante,
al contrario, il fatto era che la gente preferiva prendere i bus
collettivi perché, anche se non arrivavano ovunque, erano più
economici. Su quelle carrette, colme di panchetti e seggiolini, i
passeggeri viaggiavano stipati come sardine, ma le corse avevano il
vantaggio di costare pochi centesimi.
A parte ciò, alcuni
giorni, come quello, erano più sfortunati di altri e contro la
sfortuna nessuno poteva nulla.
Il sole del tramonto
iniziava ad accarezzare le cime degli alberi e Blaise si apprestava
ormai a rientrare, pregustando il sapore del vino di palma che gli
avrebbe servito la moglie prima di cena. Certamente Assethou gli
avrebbe somministrato anche una ramanzina per non aver battuto chiodo
tutto il giorno, oltre al solito elenco di cose di cui aveva
necessità. Cose che al momento non poteva comprarle perché nelle
sue tasche non c’erano che pochi spicci.
Il mattino seguente
avrebbe dovuto saldare il conto presso il negozio di generi
alimentari che la sua famelica tribù saccheggiava quotidianamente e
tutto ciò che poteva fare era pregare il proprietario di attendere
tempi migliori. La sua vita era così, una corsa perenne appresso ai
clienti per racimolare un gruzzolo destinato ai debitori.
Ciononostante Blaise era un uomo felice che vedeva positivo e godeva
del poco che aveva.
Quando aveva già
imboccato la via del ritorno, scorse un vecchio sul ciglio della
strada fargli cenno di fermarsi. Era scalzo e malconcio, e doveva
essere esausto a giudicare dall’espressione provata dipinta sul suo
volto. L'uomo si accostò al taxi e con un filo di voce gli domandò
un passaggio. Blaise gli fece cenno con la testa di salire. Sarebbe
stato un cliente da poco, ma poco era pur sempre meglio di niente.
Di solito il prezzo della
corsa lo decideva in base a quanto immaginasse capaci le tasche del
passeggero. E quelle del vecchio, ci avrebbe scommesso, erano più
vuote che piene.
Lo guardò dallo
specchietto retrovisore mentre si assestava sul sedile. Era malmesso,
il corpo ricurvo, avvizzito, le guance prosciugate, persino le labbra
erano scarne, cosa insolita per un nero. Di contro i suoi piccoli
occhi scuri erano vispi e guizzanti come quelli di un uomo ben più
giovane dell'età che pareva dimostrare.
Il tizio, avvolto in un
lurido boubou con un vistoso strappo sul fianco, aveva la
pelle sudicia, a tratti lucida di sudore, a tratti incipriata di
polvere. In breve un effluvio maleodorante si diffuse nell'abitacolo
malgrado i finestrini fossero aperti.
Era evidente che quel
poveraccio non dovesse passarsela troppo bene. Che le sue tasche
fossero più vuote che piene non era più una scommessa, bensì una
certezza.
«Figlio mio, ho passato
quasi tre ore nell’attesa di un’anima buona. Nessuno ha voluto
darmi un passaggio. Devo rientrare a casa, mia moglie mi aspetta.
Abito al di là della boscaglia, non ho molti soldi ma li faremo
bastare… non è così?»
Blaise inquadrò la zona.
Era un po’ fuori mano, ma ormai il vecchio era a bordo e non poteva
più tirarsi indietro. Così fece un cenno affermativo con la testa.
Spense la radio, ingranò
la marcia e inforcò la strada nella direzione opposta guadagnando
l'uscita dell'abitato.
La carreggiata, che
serpeggiava tra gli alberi di cocco, si restrinse via via
immettendosi in una zona selvaggia, dove spazzatura, bottiglie rotte
e pneumatici spaccati languivano abbandonati in ogni angolo. In quel
punto, la gettata d'asfalto finiva lasciando il passo a un sentiero
battuto che attraversava la boscaglia. L'aria era più fresca
all'ombra degli alberi, il percorso sarebbe stato anche piacevole se
il terreno non fosse stato così accidentato.
Le ruote sobbalzarono
sullo sterrato per una ventina di minuti, poi il suolo si fece più
regolare.
Dopo che ebbero
attraversato una piccola radura, dove una mandria di mucche li
costrinse a rallentare, Blaise domandò al vecchio quale direzione
avesse dovuto prendere a quel punto. Guardandolo dallo specchietto
retrovisore, notò che l'uomo si era appisolato. Una manciata di
secondi dopo, dovette ricredersi: no, non dormiva, aveva soltanto gli
occhi chiusi.
«Siamo ancora lontani,
figlio mio, prosegui verso Nord, poi ti darò istruzioni», gli
rispose con voce flebile.
Come facesse a sapere
dove si trovavano a occhi chiusi, gli sembrò strano, tuttavia Blaise
proseguì senza obbiettare.
La corsa fu più lunga
del previsto. Molto di più.
Il tassista domandò più
volte al passeggero se non fossero in procinto di arrivare, e
puntualmente si sentì rispondere che erano ancora lontani.
La distanza pareva
allungarsi anziché diminuire. Il villaggio in cui erano diretti era
abbastanza vicino all'uscita della boscaglia, eppure continuavano
inspiegabilmente a macinare chilometri, con il paesaggio che si
ripeteva un'infinità di volte, sempre uguale. Qualcosa non tornava.
Quando Blaise iniziò a
inquietarsi e a temere che la benzina non gli sarebbe bastata per
rientrare, il vecchio, finalmente, con un movimento lento e stanco
alzò la sua mano ossuta.
«Ferma qua, ragazzo.
Sono arrivato. Farò il resto della strada a piedi. La mia casa è
qui vicino.» Così dicendo, non appena il taxi si fermò, si profuse
in una sorta di benedizione compiendo strani gesti. Scese dal mezzo
e, con passo malfermo, si portò all'altezza del finestrino anteriore
mettendo nelle mani del tassista i pochi spicci che aveva,
l’equivalente di un sacchettino di arachidi.
Blaise, incredulo, fissò
le monetine. Non coprivano nemmeno un decimo del costo della benzina,
ma protestare a che sarebbe servito, se non a infliggere a quel
poveraccio un'ulteriore umiliazione?
E va bene. Ho compiuto
una buona azione. Ormai è andata!
Quando alzò gli occhi
per rivolgere al vecchio un ultimo saluto, constatò basito che non
c'era più. Lo cercò con lo sguardo, a destra e a sinistra, davanti
e dietro di sé, ma non lo vide né vicino al taxi né camminare nei
dintorni per allontanarsi. Lo chiamò: «papà, papà!», ma nulla.
L'uomo era scomparso, sparito, volatilizzato. Pufff!
Blaise non stette a porsi
troppe domande, era stanco, il buio stava calando e l'unica cosa che
voleva era tornarsene a casa. Ora restava da vedere se sarebbe
riuscito ad arrivarci, con il serbatoio praticamente vuoto.
Fece il percorso al
contrario, attraversò la radura, passò in mezzo alla boscaglia, a
quell’ora avvolta nella nebbiolina umida della sera, e si immise
sulla carreggiata che conduceva in città.
Tirò un sospiro di
sollievo quando parcheggiò il taxi nella corte famigliare.
La casa era silenziosa,
immersa nel buio. La sua tribù dormiva da un pezzo, le lampade a
olio dovevano essere state spente da un po’ perché l'odore di
benzina che emanavano si percepiva appena.
Per fortuna non avrebbe
dovuto giustificare alla moglie, che sapeva essere sospettosa oltre
ogni limite, perché si ritrovava senza il becco di un franco dopo
aver lavorato fino a tardi. Per non far rumore e non svegliare
Assethou, andò a letto senza mangiare, benché fosse affamato.
Lory Cocconcelli nasce a
Reggio Emilia nel 1968. Dopo la maturità, frequenta la facoltà di
Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bologna, senza
concludere l’iter universitario.
Lavora nella piccola
azienda di famiglia e vive nell’Africa nera quattro mesi all’anno,
da ormai un decennio.
Nell’ottobre 2014,
pubblica il saggio “Africa – magia nera, sortilegi, streghe e
guaritori”, edito da Edizioni Esordienti Ebook di Piera Rossotti.
Autrice di numerosi
articoli in collaborazione con Letture Fantastiche, nel novembre 2017
pubblica un nuovo libro, “Obscura – 15 racconti dll’Africa
nera”
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