venerdì 31 agosto 2018

Segnalazione Romanzo - OBSCURA: 15 RACCONTI DALL'AFRICA NERA di Lory Cocconcelli













Respiro Readers

vi segnalo la raccolta di racconti dell'autrice italiana

Lory Cocconcelli.












TITOLO: OBSCURA: 15 RACCONTI DALL'AFRICA NERA


AUTRICE: Lory Cocconcelli


GENERE: Narrativa


CASA EDITRICE: Self Publishing


DATA USCITA: Novembre 2017


















OBSCURA è una raccolta di 15 racconti ambientati nell’Africa nera.
Un’Africa remota, quella dei villaggi isolati, in cui streghe e stregoni operano sortilegi e malefici attraverso leggi fisiche e regole sconosciute all’uomo comune. Una terra compenetrata di magia, nella quale risuona l’eco del mistero, della morte e dell’aleatorietà, in cui lo spazio e il tempo sono confini dimensionali relativi.
In questi racconti, che traggono ispirazione dalle antiche leggende africane, fanno capolino personaggi inquietanti ed entità ultraterrene, come féticheur, marabout, streghe e stregoni e djinn. L’atmosfera è cupa, densa, surreale, caratterizzata da scenari grotteschi.
L’ambientazione - fedele alle testimonianze che ho raccolto, vivendo di fatto vari mesi l’anno nel continente nero - tocca vari paesi dell’area occidentale, per lo più Burkina Faso, Costa d’Avorio e Benin. I nomi dei personaggi sono frutto della mia fantasia, come pure i momenti storici in cui si contestualizzano gli eventi per i quali ho cercato di elaborare scenari coerenti e verosimili.
In ogni racconto si trova la testimonianza di un universo impregnato di mistero, di un ordine delle cose sovvertito o ristabilito, del senso dell’ineluttabilità della vita e, infine, di una morale che si traduce in sostanza nell’antica saggezza africana.
La scelta di pubblicarne 15 non è stata casuale. Benché ne avessi a disposizione molti di più, ho optato per un numero che avesse una valenza simbolica. Il 15 nella carta dei Tarocchi è il simbolo dell’astuzia, della frode e della strega, mentre per le civiltà matriarcali antiche rappresentava la luna (simbolo della notte) e la donna (personaggio che nel contesto magico-stregonico fa la parte del leone).

1 – Il taxi magico. Costa d’Avorio. Blaise, un tassista rastafariano con una moglie procace e una tribù di donne cui provvedere al suo seguito, trascorre le sue giornate inscatolato in un taxi sgangherato. Gli affari sono magri, i clienti scarseggiano. Un giorno, un vecchio malconcio gli chiede un passaggio. Anche se probabilmente non potrà pagare il prezzo della corsa, Blaise lo fa salire a bordo. Il vecchio suscita un gran pena. Stranamente, il percorso fino al luogo di destinazione si allunga anziché accorciarsi, il paesaggio si ripete un’infinità di volte, tant’è che il tassista inizia a dubitare di sé. Quando finalmente giunge a fine corsa, il vecchio scompare, si volatilizza. Da quel momento, per una serie di vicissitudini e per un improvviso affluire di clienti, il rastaman non riesce mai a raggiungere una pompa di benzina per fare rifornimento. E quando, stupito, si domanda perché il suo taxi cammini anche senza carburante, comprende che la chiave del mistero è quel vecchio malandato al quale aveva dato un passaggio in cambio di pochi spicci. In realtà, uno spirito giunto sulla terra dal mondo invisibile per premiare un uomo di buona volontà.

2 – La strega di Ganvié. Benin. Ganvié è un villaggio palafitticolo che si erge sull’omonima laguna, dove la vita si svolge a bordo delle piroghe e le giornate volgono al termine al calar della bruma. Touli e Lamine sono due giovani innamorati, lui un pescatore, lei la figlia del maestro del villaggio e dell’avvenente Nana, una strega di cui nessuno - tranne il marito e le altre mangiatrici anime - sospetta la natura. Quando Nana si innamora del fidanzato della figlia, si riscopre debole e vulnerabile, e il suo equilibrio inizia a vacillare. A complicare la situazione, le streghe della congrega alla quale appartiene mettono a morte Lamine perché la sua continua presenza nella casa della consorella espone al pericolo l’intero gruppo: l’anonimato è essenziale perché le creature della notte possano agire indisturbate. Per salvargli la vita, Nana architetta un piano: prima si incarica di portare a termine il lavoro in modo da guadagnare tempo, poi rivela al marito che la congrega vuole morta la figlia, anziché il fidanzato. Trovando nell’uomo un alleato, i due forzano il matrimonio tra i ragazzi per allontanarli al più presto dalla loro casa. Evento che farà decadere il presupposto della morte di Lamine – o, come crede il maestro di Ganvié, della figlia. Celebrata la cerimonia in fretta e furia, gli sposi si preparano a trasferirsi nella casa dei genitori di lui. Il ragazzo avrà salva la vita, ma Nana, per aver mancato alla parola data, viene uccisa dalla strega a capo della congrega, sua madre.

3 – Il sacrificio. Mali. Lomé sposa Marie solo perché aspetta un bambino e non vuole disonorare il buon nome di famiglia - una famiglia importante, caduta di recente in un rovinoso dissesto economico. Non potendo darsi pace per la rovina che lo ha colpito, suo padre si rivolge ad uno stregone. Nel corso del rito magico, gli viene prelevata una porzione carnea dal corpo. La pratica però non funziona, non solo il denaro non rimpingua le sue tasche, ma la ferita dalla quale è stato prelevato il tessuto si aggrava sempre più. Nel frattempo Marie dà alla luce un bambino che Lomé allontana, sostenendo di non essere in grado di provvedere a lui. La ragazza acconsente a che il figlio venga portato da una zia del marito, ma con il tempo è presa dai sensi di colpa e lo rivuole con sé. Non potendo restituirle il bambino - sacrificato da padre e figlio ad un secondo stregone nel tentativo di ribaltare la rovina economica -, Lomé le dice che è morto di malaria. Quando il denaro ricomincia improvvisamente a fluire nelle casse di famiglia, la ragazza mette in relazione gli eventi e intuisce la verità. Urla in faccia al marito i suoi sospetti, il quale la caccia di casa. Marie ripara dal fratello per esalare il suo ultimo respiro. Non vuole più saperne di vivere. Sua nonna, che l’ha cresciuta dopo che è rimasta orfana, non sa darsi pace per quella scomparsa prematura e prima che la ragazza venga sepolta, la risveglia attraverso una magia: vuole sapere perché è morta. Dopo che Marie le rivela la verità, si riaddormenta per sempre. In capo a poco, la nonna la vendicherà rendendo sterile Lomé con l’aiuto di un féticheur.

4 – Malefica. Costa d’Avorio. Modibo ha perso tutti i suoi figli, uno dopo l’altro. Per rassegnarsi al dolore delle sue perdite, ha bisogno di capire il perché. Nessuno può aiutarlo, se non un uomo di magia che riesca a scrutare la verità attraverso la dimensione oscura. Nel corso di una consultazione con un féticheur, scopre che i suoi ragazzi non sono morti di una malattia sconosciuta come aveva creduto, ma sono stati uccisi dalla madre, una strega di cui non ha mai sospettato la natura, che li ha mangiati per impossessarsi della loro anima e accrescere il potere della propria. L’uomo vuole vendetta e dà inizio a una guerra nei confronti della mangiatrice di anime, la quale, comprendendo che la verità gli è stata svelata, non perde tempo a contrattaccarlo. Malgrado sia indebolito da un sortilegio lanciatogli dalla moglie, una notte Modibo trova la forza di appiccare il fuoco al corpo di lei. Nella pira svanirà l’ultimo brandello di un amore che aveva creduto felice, ma l’uomo ritroverà finalmente la pace.

5 – Noel e le streghe della corte. Burkina Faso. Noel e Diko sono due giovani che, per desiderio di indipendenza, decidono di lasciare le rispettive famiglie e affittare un paio di stanze presso una corte del villaggio. La casa è sporca, le stanze decrepite e ammuffite, le proprietarie due vecchiette dall’aspetto poco rassicurante, ma il prezzo della locazione è estremamente conveniente. Mentre Noel è entusiasta della nuova sistemazione, Diko manifesta qualche perplessità: ogni volta che si trova nella sua stanza, un profondo senso di inquietudine lo assale impedendogli perfino di dormire. Quando scopre per caso che è finito nel covo di due mangiatrici di anime, tutto gli appare chiaro, abbandona la corte e cerca di convincere l’amico a fare altrettanto. Noel però non ne vuol sapere e si ostina a rimanere in quella casa maledetta anche quando si scopre debole e ammalato. Le streghe, durante la notte, si abbeverano del suo sangue privandolo a poco a poco della sua linfa vitale. In breve cade in uno stato comatoso dal quale lo salverà l’amico conducendolo tempestivamente da un guaritore.
Consapevole del fatto che Noel è solo una delle tante vittime delle due megere, il guaritore manda a chiamare il cugino, un abile féticheur cacciatore di streghe, la cui permanenza al villaggio segnerà la morte delle due donne.

6 – Il cimitero di Banlankeledara. Burkina Faso. Daouda muore a venticinque anni, tre mesi e sedici giorni. Cade dallo sgabello di un bar, tra clienti indifferenti e passanti indaffarati. Negli ultimi istanti della sua vita, i flash back delle ultime settimane scorrono nella sua mente come un film. Un film che inizia in quello stesso bar, una sera di un sabato d’estate di qualche tempo prima, quando lei gli inciampa involontariamente su un piede. Il suo nome è Barakisa, una ragazza splendida che con la sua bellezza cattura l’attenzione di tutti, compresa la sua. Inevitabilmente se ne innamora. Si incontrano il sabato successivo, stesso bar, stesso sgabello. Il tempo di un drink e se ne vanno a casa di lui, dove trascorrono la notte insieme. All’alba Daouda la accompagna a casa, le mette premurosamente il suo giubbotto sulle spalle perché non prenda freddo, si infila in tasca la fotografia che la ritrae, che lei gli ha appena regalato, e le strappa un appuntamento per la settimana che verrà. All’appuntamento Barakisa non si presenta. Non si presenterà più. Deciso a scoprire cosa si cela dietro la sua sparizione, il ragazzo si reca là dove l’aveva accompagnata, dove una donna gli dice che sua figlia Barakisa è morta da tre anni. Il ragazzo le mostra la fotografia che ha portato con sé, dicendole di aver visto la giovane che vi è ritratta qualche settimana prima. Quando la donna lo conduce al cimitero, dove su una lapide scorge la stessa fotografia che lui stringe tra le mani e il giubbotto che aveva prestato a Barakisa qualche tempo addietro, Daouda sprofonda in un vortice di follia che lo condurrà alla morte.

7 – La strega e il miglio. Burkina Faso. La mangiatrice di anime è pronta a cacciare. In quella carcassa disfatta di quasi un secolo, smagrita e maleodorante, alberga il vigore di una belva feroce. E’ notte quando, nel mezzo della boscaglia, sferra un attacco a un giovane contadino che si appresta a rientrare a casa, Moussa. Dopo una fuga rocambolesca durante la quale vede la strega trasformarsi in un asino, il ragazzo viene salvato in extremis da un bracciante ubriaco. Temendo che la “belva” non si dia per vinta e possa cercarlo anche tra le mura domestiche, invece di rincasare, Moussa si rifugia nel silos di raccolta del miglio del vicino di casa, un luogo sacro in cui lo spirito degli antenati - secondo quando sostiene un’antica leggenda - lo proteggerà. Il mattino dei due giorni che seguono, mentre è ancora nascosto, la moglie in ansia per la sua scomparsa manifesta la sua preoccupazione a una vecchia zia. La donna si offre di mettersi alla ricerca del ragazzo ma muore all’improvviso, proprio davanti al silos di raccolta del miglio in cui si è rifugiato.
Una credenza burkinabé sostiene che una mangiatrice di anime ha un giorno di tempo a disposizione per scovare l’essere umano al quale dà la caccia, dopodiché è condannata a morte. La credenza, a quanto pare, è fondata.
La zia, che Moussa non ha riconosciuto nell’oscurità, era la strega nella boscaglia che, esaurito il tempo a sua disposizione, è spirata rivelando così la sua insospettata natura.

8 – Noaga e l’anello. Costa d’Avorio. Sylvain vive in un quartiere ghetto di Abidjan. E’ innamorato di Charlotte, una ragazza molto ricca che ricambia i suoi sentimenti, con la quale purtroppo non potrà costruire alcun futuro per via di quella disparità.
Quando, per caso, Sylvain conosce un tizio in un bar che gli racconta di aver accumulato un enorme ricchezza grazie alla magia di uno stregone, il ragazzo intravede uno spiraglio di luce: se diverrà ricco, il padre di Charlotte gli darà il consenso a sposarla. Decide così di consultare il féticheur, il quale gli dice che può esaudire il suo desiderio se in cambio sacrificherà ciò che ha di più caro al mondo. Ma ciò che il ragazzo ha di più di caro al mondo è proprio Charlotte. E qui si complicano le cose. Combattuto tra il sentimento d’amore e il desiderio di una vita agiata, Sylvain finirà per accettare di sacrificare la sua innamorata. Non potrà vivere insieme a lei, ma almeno condurrà un’esistenza priva di stenti lontano dal ghetto fatiscente nel quale ha sempre vissuto.
Il giorno designato per lo svolgimento del rito, qualcosa va storto. Sylvain conduce la ragazza a casa dello stregone spacciandolo per un vecchio zio, ma una delle mogli dell’uomo rivela alla giovane che non le è stata detta la verità. A causa dell’imprevedibile reazione di Charlotte, il rito magico si ritorce contro Sylvain al quale tocca la triste sorte che sarebbe spettata invece a lei.

9 – Il pesce dall’orecchino d’oro. Burkina faso. Millogo non si riconosce più nella sua cultura, pensa che superstizione e creduloneria tarpino le ali alla modernità, costringendo i burkinabé all’arretratezza. Per dimostrare che le antiche leggende sono prive di fondamento, quasi a volersi scrollare di dosso la sua africanità, commette un sacrilegio.
Si dice che molti secoli addietro l’etnia Bobo alla quale appartiene fuggì al massacro di un’etnia nemica riparando nella grotta sommersa di uno stagno. I sopravvissuti si trasformarono in pesci, creature sacre dai grandi poteri - caratterizzate da un orecchino d’oro posto su una branchia - alle quali i loro discendenti umani si rivolgono ancora oggi per ottenere favori e guarigioni.
Sfidando le leggi degli antenati, per dimostrare che la leggenda non è che una baggianata, Millogo cattura un pesce sacro, lo uccide intenzionato a cucinarlo.
La punizione per il sacrilegio che ha commesso non tarda ad arrivare. Il ragazzo viene rinvenuto cadavere il giorno successivo. Il letto sul quale è disteso è fradicio d’acqua e sulla sua arcata sopraccigliare riluce un orecchino d’oro. Lo stesso che perfora la branchia dei suoi antenati.

10 – La vendetta di Anna. Senegal. Durante una vacanza a Dakar, Anna, una signora parigina di mezza età, si innamora di un aitante giovane noir. Quando lui le chiede di sposarla, la donna decide di stabilirsi definitivamente in Africa. Il Senegal le si presenta in tutto il suo folklore, religione e superstizione fanno da padrone, e il suo matrimonio deve sottostare a una serie di strane regole alle quali, non senza sforzo, a poco a poco si abitua. Quando scopre che Alioune, il marito, le ha nascosto di essere padre di due bambini, fa buon viso a cattiva sorte e si rende disponibile all’idea di una famiglia allargata. Ma Koudja, la ex moglie di Alioune, non è del suo stesso avviso. Attraverso i suoi figli, che manda in visita regolarmente ai novelli sposi, dissemina la casa della francese di oggetti nefasti che non tardano a manifestare il loro effetto. L’affezionata domestica rivela ad Anna che lo scopo degli amuleti ritrovati nella sua casa è quello di nuocerle e la prega di consultare uno stregone per cercare di contrastarne l’effetto. La francese le dà il consenso per una consultazione in suo nome, così la donna interpella un féticheur. Lo stregone non soltanto annulla il rito, ma fa qualcosa di più: lo rimanda al mittente. Poco tempo dopo, Koudja sarà rinvenuta cadavere da una vicina di casa.

11 – La collana che piange. Burkina Faso. Il tassista dice alla vecchia Micheline che la borsa che ha appena rinvenuto sul sedile posteriore del taxi appartiene alla donna che è scesa da poco, una ricca signora che il caso vuole abiti proprio vicino alla chiesa dove lei si reca quotidianamente per la messa. Micheline si offre di prendere in custodia l’oggetto dimenticato e consegnarlo il giorno seguente alla proprietaria prima di recarsi alla funzione. Una volta a casa, cedendo alla curiosità, apre la borsetta per vedere cosa contiene. Stranamente all’interno c’è solo una collana. Non è una semplice collana, però, e lo scoprirà molto presto. A causa di un rito imbastito da uno stregone molti anni addietro - che ha arricchito varie generazioni della famiglia della facoltosa signora -, nell’oscurità il gioiello si trasforma in un neonato deforme che vomita soldi. Svegliata nel cuore della notte dai vagiti del bambino, alla vista di quell’obbrobrio e della poltiglia che rimette, Micheline pensa di essere affetta da un’improvvisa malattia mentale. Quando all’alba il bambino è ritornato ad essere il gioiello che era in origine, sconvolta, si reca a casa della proprietaria della borsetta per disfarsene al più presto, la quale, comprendendo che il suo segreto è stato svelato, le impone di mantenere il silenzio, pena la sua vita. Solo in punto di morte, molti anni dopo, Micheline rivelerà di quella notte tremenda alla figlia e al suo parroco, i quali, pensando a un delirio dovuto al momento del trapasso, non le crederanno contribuendo loro malgrado a celare un’orribile verità.

12 – Il piccolo milionario. Camerun. La spregiudicatezza e la determinazione ad uscire dalla miseria alla quale è condannato portano Ruben a intraprendere una strada oscura. In cambio di una grande ricchezza, sacrifica a un feticcio la vita della sorella. A rimpiazzo dell’affetto che ha strappato alla famiglia - all’oscuro dell’ignominia della quale si è macchiato -, risarcisce i parenti con iniezioni di denaro.
Il miracolo di quel grande e improvviso benessere è stato possibile grazie all’intermediazione di uno stregone che ha vincolato il giovane a una promessa: a cadenza annuale, per tutta la sua vita, Ruben dovrà presentarsi a rendere grazie al feticcio portando con sé un dono, un bue dal manto nero. Per qualche anno, il ragazzo tiene fede alla parola data, poi l’arroganza dovuta alla grande ricchezza che ha accumulato lo fa sentire intoccabile e lo spinge a infrangere il patto.
Il feticcio reclama così la sua vendetta. Un giorno, mentre Ruben è alla guida del suo costoso fuoristrada, il suo cuore cessa di battere. Stranamente, l’autopsia del cadavere del giovane non rivelerà alcuna causa fisio-patologia alla quale addossare il decesso.

13 – L’amico djinn. Burkina Faso. Non è facile vivere di niente in un villaggio sperduto dell’Africa nera, né lo è accettare i colpi assestati da un destino impietoso. Bouba possiede un senso di accettazione degli eventi che lo fa sembrare più maturo di un ragazzo della sua giovane età. Accetta ogni cosa, la povertà, la morte della madre, la partenza del padre e del fratello per la Costa d’Avorio in cerca di lavoro, e anche di essere deriso quando, scoprendo che il suo nuovo amico è invisibile a tutti tranne che a lui, la gente lo crede pazzo. Lui sa che in Africa tutto è possibile: c’è chi parla con gli spiriti, chi si vota alla stregoneria, chi pratica la magia, chi vede cose che altri non vedono.
Quando il nonno cerca di liberarlo della sua presunta follia sottoponendolo a un lavaggio mistico, il suo amico invisibile se ne va - non riesce a sopportare l’effetto delle radici impiegate nel medicamento. Ma ritornerà perché altri non è che uno spirito che lo ha scelto per consegnargli un dono prezioso: la capacità di vedere, sentire e percepire ciò che agli uomini comuni non è consentito fare.

14 – I due fratelli. Benin. Grazie a un rito di protezione, due bambini - Yayi e Folé, fratelli gemelli - crescono forti e robusti, tanto che da adulti diventano campioni di lotta del loro villaggio. Com’é sempre stato nella loro vita, ciò che sente uno sente anche l’altro. Inevitabilmente entrambi si innamorano della stessa ragazza. E qui le cose si complicano perché la fanciulla è promessa a Folé.
La frustrazione di Yayi per quell’amore impossibile, per il quale si strugge e si tormenta, esplode in una violenza inaudita nei confronti di Folé durante una competizione di lotta al villaggio.
Mentre tutti credono che i due giovani si affrontino nell’arena per una dimostrazione sportiva, il padre, quando vede Yayi fare sul serio e avere la meglio su Folé, si dispera. E’ l’unico, insieme al féticheur, a essere al corrente del fatto che nel corso del rito di protezione invocato molti anni addietro, il feticcio aveva gravato i suoi figli di un tabù: se avessero litigato seriamente e fossero venuti alle mani, quello che dei due avesse avuto la meglio sull’altro, sarebbe morto poco dopo. A nulla varrà all’uomo precipitarsi dal féticheur. L’ordine delle cose non potrà essere sovvertito.

15 – Il coccodrillo di Bama. Burkina Faso. Due giovani cacciatori approdano dalla città a un villaggio sperduto dell’entroterra burkinabé. Sono a caccia di un trofeo: il bufalo africano. Poiché i bufali della zona sono stati sterminati, ripiegano su un coccodrillo avvistato in riva a un fiume, ignorando che da quelle parti è considerato un animale sacro. Il tempo di ripartire alla volta della città e sul villaggio si abbatte una pioggia torrenziale devastante malgrado sia la stagione secca. In più sopraggiunge la morte, apparentemente senza ragione, di quattro giovani in buona salute. Il capo villaggio, che non sa trovare spiegazione a ciò che sta accadendo, interpella un féticheur. Questi rivela che sulla comunità si sta abbattendo l’ira di uno spirito e che è necessario placarla attraverso dei sacrifici, altrimenti nessuno sopravviverà. L’intero villaggio si reca in pellegrinaggio nei luoghi sacri per la deposizione delle offerte sacrificali. Nessuno sa in cosa consista la colpa commessa e nemmeno chi sia il colpevole. Quando la gente giunge in riva al fiume, l’ultimo dei luoghi sacri, lo spirito adirato - con le sembianze di un gigantesco coccodrillo -, preceduto da un boato e dal ribollire delle acque, fa la sua comparsa. Qualcuno ha ucciso e mangiato suo figlio e ora vuole vendetta. Il capo villaggio comprende che i colpevoli devono essere stati i giovani cacciatori che avevano fatto base nell’abitato poco tempo prima e prega il féticheur - l’unico in grado di comunicare con le entità del mondo invisibile - di volerlo riferire allo spirito. Poiché il coccodrillo può leggere nelle menti dei mortali, scruta la verità e la sua ira si placa.

















IL TAXI MAGICO

Costa d’Avorio. Fine anni ‘90.
Si stordiva di coupé-décalé che la radio sputava a intermittenza nel taxi. Sudava come un dannato in quella scatola di latta. Il sole ivoriano sapeva essere impietoso, l'umidità insopportabile. L'impianto dell'aria condizionata era un lusso per ricchi e lui doveva pensare a sfamare la sua piccola tribù.
Mantenere al fresco i suoi ottanta chili di muscoli era l'ultimo dei suoi problemi.
Trent'anni, bei tratti, pelle nerissima, lunghi dreadlock che gli scendevano sulla schiena e un corpo forte e atletico dalla vita sottile. Un bell'ivoriano di un metro e ottanta, prestante quanto bastava per rendere gelosa una moglie innamorata. E la sua, a dispetto di un viso dolce e forme morbide e burrose, era una tigre sempre in guardia con gli artigli ben affilati. Da Assethou aveva avuto quattro figlie, acquisito una suocera e una cognata cui provvedere, e una marea di capricci al femminile da soddisfare.
Il suo nome era Blaise. Blaise Ouedrago, di professione tassista.
Da oltre un decennio batteva le strade della piccola città ivoriana nella quale era nato. Ne conosceva ogni angolo, ogni crocevia, ogni dosso. Amava la sua terra, i palmeti rigogliosi, le distese verdi, le piantagioni di banani e caffè, i tramonti sul mare che arrossavano l’orizzonte. Per lui la Costa d’Avorio era sinonimo dell'aloko caldo, del vino di palma, della bellezza procace delle donne, del brulichio agli angoli delle strade dove la gente si ammucchiava a chiacchierare o a vendere pietanze. E anche di quel clima terribilmente umido, ideale per le coltivazioni di cacao, ma assai tedioso per chi era costretto a bollire inscatolato in un taxi.

Era un giorno come un altro, o forse peggiore degli altri, quello che stava volgendo al termine. A parte il cliente del mattino, al quale aveva offerto la corsa a un prezzo più che stracciato pur di non farselo sfuggire, non ne erano seguiti altri. Non che la concorrenza fosse pressante, al contrario, il fatto era che la gente preferiva prendere i bus collettivi perché, anche se non arrivavano ovunque, erano più economici. Su quelle carrette, colme di panchetti e seggiolini, i passeggeri viaggiavano stipati come sardine, ma le corse avevano il vantaggio di costare pochi centesimi.
A parte ciò, alcuni giorni, come quello, erano più sfortunati di altri e contro la sfortuna nessuno poteva nulla.
Il sole del tramonto iniziava ad accarezzare le cime degli alberi e Blaise si apprestava ormai a rientrare, pregustando il sapore del vino di palma che gli avrebbe servito la moglie prima di cena. Certamente Assethou gli avrebbe somministrato anche una ramanzina per non aver battuto chiodo tutto il giorno, oltre al solito elenco di cose di cui aveva necessità. Cose che al momento non poteva comprarle perché nelle sue tasche non c’erano che pochi spicci.
Il mattino seguente avrebbe dovuto saldare il conto presso il negozio di generi alimentari che la sua famelica tribù saccheggiava quotidianamente e tutto ciò che poteva fare era pregare il proprietario di attendere tempi migliori. La sua vita era così, una corsa perenne appresso ai clienti per racimolare un gruzzolo destinato ai debitori. Ciononostante Blaise era un uomo felice che vedeva positivo e godeva del poco che aveva.
Quando aveva già imboccato la via del ritorno, scorse un vecchio sul ciglio della strada fargli cenno di fermarsi. Era scalzo e malconcio, e doveva essere esausto a giudicare dall’espressione provata dipinta sul suo volto. L'uomo si accostò al taxi e con un filo di voce gli domandò un passaggio. Blaise gli fece cenno con la testa di salire. Sarebbe stato un cliente da poco, ma poco era pur sempre meglio di niente.
Di solito il prezzo della corsa lo decideva in base a quanto immaginasse capaci le tasche del passeggero. E quelle del vecchio, ci avrebbe scommesso, erano più vuote che piene.
Lo guardò dallo specchietto retrovisore mentre si assestava sul sedile. Era malmesso, il corpo ricurvo, avvizzito, le guance prosciugate, persino le labbra erano scarne, cosa insolita per un nero. Di contro i suoi piccoli occhi scuri erano vispi e guizzanti come quelli di un uomo ben più giovane dell'età che pareva dimostrare.
Il tizio, avvolto in un lurido boubou con un vistoso strappo sul fianco, aveva la pelle sudicia, a tratti lucida di sudore, a tratti incipriata di polvere. In breve un effluvio maleodorante si diffuse nell'abitacolo malgrado i finestrini fossero aperti.
Era evidente che quel poveraccio non dovesse passarsela troppo bene. Che le sue tasche fossero più vuote che piene non era più una scommessa, bensì una certezza.
«Figlio mio, ho passato quasi tre ore nell’attesa di un’anima buona. Nessuno ha voluto darmi un passaggio. Devo rientrare a casa, mia moglie mi aspetta. Abito al di là della boscaglia, non ho molti soldi ma li faremo bastare… non è così?»
Blaise inquadrò la zona. Era un po’ fuori mano, ma ormai il vecchio era a bordo e non poteva più tirarsi indietro. Così fece un cenno affermativo con la testa.
Spense la radio, ingranò la marcia e inforcò la strada nella direzione opposta guadagnando l'uscita dell'abitato.
La carreggiata, che serpeggiava tra gli alberi di cocco, si restrinse via via immettendosi in una zona selvaggia, dove spazzatura, bottiglie rotte e pneumatici spaccati languivano abbandonati in ogni angolo. In quel punto, la gettata d'asfalto finiva lasciando il passo a un sentiero battuto che attraversava la boscaglia. L'aria era più fresca all'ombra degli alberi, il percorso sarebbe stato anche piacevole se il terreno non fosse stato così accidentato.
Le ruote sobbalzarono sullo sterrato per una ventina di minuti, poi il suolo si fece più regolare.
Dopo che ebbero attraversato una piccola radura, dove una mandria di mucche li costrinse a rallentare, Blaise domandò al vecchio quale direzione avesse dovuto prendere a quel punto. Guardandolo dallo specchietto retrovisore, notò che l'uomo si era appisolato. Una manciata di secondi dopo, dovette ricredersi: no, non dormiva, aveva soltanto gli occhi chiusi.
«Siamo ancora lontani, figlio mio, prosegui verso Nord, poi ti darò istruzioni», gli rispose con voce flebile.
Come facesse a sapere dove si trovavano a occhi chiusi, gli sembrò strano, tuttavia Blaise proseguì senza obbiettare.
La corsa fu più lunga del previsto. Molto di più.
Il tassista domandò più volte al passeggero se non fossero in procinto di arrivare, e puntualmente si sentì rispondere che erano ancora lontani.
La distanza pareva allungarsi anziché diminuire. Il villaggio in cui erano diretti era abbastanza vicino all'uscita della boscaglia, eppure continuavano inspiegabilmente a macinare chilometri, con il paesaggio che si ripeteva un'infinità di volte, sempre uguale. Qualcosa non tornava.
Quando Blaise iniziò a inquietarsi e a temere che la benzina non gli sarebbe bastata per rientrare, il vecchio, finalmente, con un movimento lento e stanco alzò la sua mano ossuta.
«Ferma qua, ragazzo. Sono arrivato. Farò il resto della strada a piedi. La mia casa è qui vicino.» Così dicendo, non appena il taxi si fermò, si profuse in una sorta di benedizione compiendo strani gesti. Scese dal mezzo e, con passo malfermo, si portò all'altezza del finestrino anteriore mettendo nelle mani del tassista i pochi spicci che aveva, l’equivalente di un sacchettino di arachidi.
Blaise, incredulo, fissò le monetine. Non coprivano nemmeno un decimo del costo della benzina, ma protestare a che sarebbe servito, se non a infliggere a quel poveraccio un'ulteriore umiliazione?
E va bene. Ho compiuto una buona azione. Ormai è andata!
Quando alzò gli occhi per rivolgere al vecchio un ultimo saluto, constatò basito che non c'era più. Lo cercò con lo sguardo, a destra e a sinistra, davanti e dietro di sé, ma non lo vide né vicino al taxi né camminare nei dintorni per allontanarsi. Lo chiamò: «papà, papà!», ma nulla. L'uomo era scomparso, sparito, volatilizzato. Pufff!
Blaise non stette a porsi troppe domande, era stanco, il buio stava calando e l'unica cosa che voleva era tornarsene a casa. Ora restava da vedere se sarebbe riuscito ad arrivarci, con il serbatoio praticamente vuoto.
Fece il percorso al contrario, attraversò la radura, passò in mezzo alla boscaglia, a quell’ora avvolta nella nebbiolina umida della sera, e si immise sulla carreggiata che conduceva in città.
Tirò un sospiro di sollievo quando parcheggiò il taxi nella corte famigliare.
La casa era silenziosa, immersa nel buio. La sua tribù dormiva da un pezzo, le lampade a olio dovevano essere state spente da un po’ perché l'odore di benzina che emanavano si percepiva appena.
Per fortuna non avrebbe dovuto giustificare alla moglie, che sapeva essere sospettosa oltre ogni limite, perché si ritrovava senza il becco di un franco dopo aver lavorato fino a tardi. Per non far rumore e non svegliare Assethou, andò a letto senza mangiare, benché fosse affamato.
















Lory Cocconcelli nasce a Reggio Emilia nel 1968. Dopo la maturità, frequenta la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Bologna, senza concludere l’iter universitario.
Lavora nella piccola azienda di famiglia e vive nell’Africa nera quattro mesi all’anno, da ormai un decennio.
Nell’ottobre 2014, pubblica il saggio “Africa – magia nera, sortilegi, streghe e guaritori”, edito da Edizioni Esordienti Ebook di Piera Rossotti.
Autrice di numerosi articoli in collaborazione con Letture Fantastiche, nel novembre 2017 pubblica un nuovo libro, “Obscura – 15 racconti dll’Africa nera”








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