Respiro Readers
vi segnalo l'uscita edita Darcy Edizioni
dell'autrice italiana Antonella Maggio.
TITOLO: Traveling Love
AUTRICE: Antonella Maggio
GENERE: Commedia Romantica
CASA EDITRICE: Darcy Edizioni
DATA USCITA: 1 Agosto 2018
PAGINE: 250
PREZZO: 2,99€
ebook - 14 € cartaceo - in offerta lancio per il pre-order e il 1
agosto a 1,99 €
Adele Castelli ha quasi
trent’anni e una costellazione di fallimenti alle spalle.
Divorziata, disoccupata e con una famiglia che si accanisce contro i
suoi errori, l’unica salvezza di Adele è quella di fare la valigia
e accettare il lavoro che le hanno offerto in Australia, sperando che
dall’altra parte del mondo possa finalmente far fortuna e trovare
l’amore con qualche straniero che le faccia dimenticare quanto
siano sbagliati gli uomini italiani.
Luca Accardi lavora per una
multinazionale ed è felicemente single. Cambia residenza e donna
senza problemi ogni volta che ha un ingaggio nuovo. La carriera viene
sempre prima di tutto, anche prima di se stesso, prima della felicità
che non riesce mai a toccare con mano.
Luca e Adele, a quanto
pare, sono gli unici italiani che lavorano per conto della K-Byte
Entreprise di Sydney.
Il mondo appare davvero troppo piccolo se a
16.216 km dall’Italia Adele finirà per incontrare proprio quello
da cui scappava…
CAPITOLO
1
Adele
Palermo - Un anno
prima.
Rientro a casa con
lo sguardo affranto, sono stanca, svuotata anche dell’ultimo goccio
di speranza e positività che mi restava prima di uscire; poi guardo
il mio riflesso sulla porta di vetro del palazzo dove abito e il mio
viso si incupisce.
Ma sono io? Mi sono
ridotta davvero in questo stato? Con una mano sposto una ciocca di
capelli fragili e opachi dietro l’orecchio, fingendo di non notare
le prime rughe che mi increspano la fronte tesa.
Quando
nell’abitazione dei miei genitori è pervenuta quella lettera
indirizzata a me, il cui mittente era il Centro per l’Impiego di
Palermo, per poco non sono svenuta, anzi, ho corso sul serio il
rischio di restare strozzata con un pezzo di mela, che avevo
addentato per sopperire alla fame nervosa ed evitare di rimpinzarmi
di patatine. In quel momento non c’era nessuno in casa, neppure mia
madre che, con prontezza, avrebbe improvvisato la manovra di
Heimlich.
Sarei morta senza nemmeno passare alla storia come la Biancaneve del
nuovo millennio. No, perché per essere una principessa bisogna
rispettare alcuni requisiti e la prima condizione in assoluto è
quella di avere un principe che funge da angelo custode, pronto a
intervenire per salvare la propria amata da un pezzo di mela andato
di traverso o dalle grinfie di un drago sputafuoco messo a protezione
di un castello.
Si dà il caso che
io sia un po’ atea, ho una fede tutta mia, credo un po’ in base
ai periodi, ma con certezza non credo nell’esistenza del principe
azzurro, di Cupido, del colpo di fulmine… Insomma, non credo negli
uomini. Però davanti a quella missiva con il timbro del Comune in
bella vista, ho creduto davvero che qualcuno si fosse ricordato di me
o che magari Santa Rosalia mi avesse fatto la grazia trovandomi,
dall’oggi al domani, un posto di lavoro. Dopotutto è quello che ho
chiesto alla Santa l’ultima volta che mi sono recata in chiesa per
il trigesimo della prozia di mio padre. Sì, mentre il prete
decantava le gesta di una donna d’altri tempi di cui non ricordo
nemmeno il volto, ho fatto esplicitamente richiesta di un lavoro, di
una casa tutta mia, di ostacolare l’insorgere della pelle a buccia
d’arancia sulle cosce, di mantenere a distanza di almeno un
chilometro tutte le specie viventi di sesso maschile. Se questi
desideri fossero difficili da realizzare, mi accontenterei di un po’
di serenità, solo di quella, perché ho ventinove anni, sono
disoccupata in un periodo storico che, senza dubbio, lascerà il
segno nella storia e tra qualche decennio, gli studenti tra i banchi
di scuola saranno costretti a studiare di noi poveri laureati del
ventunesimo secolo e di come ciondoliamo dentro casa di mamma e papà
dalla mattina alla sera, usufruendo a sbafo della connessione
internet del vicino che ha dimenticato di impostare la password.
Io, però, non sono
una ragazza come tutte le altre e, nonostante la mia giovane età,
posso già vantare più di un fallimento alle spalle. Quello più
significativo? Aver divorziato oppure aver sposato Sante o Santuzzo,
come lo chiamano sempre mia madre e mia nonna.
Ma come mi è venuto
in mente di sposare un uomo con un nome del genere? Per non parlare
poi delle valigie riempite alla bell’e meglio per allontanarmi da
quello svitato e ritornare nella casa dove sono nata e cresciuta.
Non esiste cosa
peggiore nella vita di regredire alle origini. Sbatto la porta
d’ingresso e penso a come mi sono ridotta nell’ultimo periodo.
In fondo non c’è
nulla di male a tornare a casa di mamma e papà, anzi, il calore e
l’affetto della famiglia rappresentano un vero toccasana, ma per
chi ha già provato l’ebbrezza dell’indipendenza economica, di
una casa propria da arredare e curare, diventa poi difficile
condividere un tetto con qualcun altro che non sia un marito egoista
che lascia sempre la tavoletta del water alzata. Molto spesso poi, i
genitori sembrano dimenticare che i propri figli sono diventati ormai
adulti. Non capiscono che la nuova generazione non ammette più i
controlli furtivi di una madre impicciona che annusa i vestiti per
cercare l’odore di estranei o di fumo, legge diari segreti di
nascosto o cerca pasticche di ecstasy nelle borse.
La raccomandata,
poi, non era che un invito a presentarmi ai fini di un colloquio
presso il Centro per l’Impiego che, da un paio di anni a questa
parte, non riesce più a trovare lavoro né ai giovani né agli
adulti rimasti senza occupazione dopo il fallimento dell’ennesima
azienda.
«Delà, siamo nei
guai!»
Per mia sorella
Carmen sono Delà e non Adele. Il mio nome è stato la sua prima
parola ed è rimasto invariato nel tempo, anche se adesso lei ha
diciotto anni ed è bellissima con i suoi tratti tipici di donna
mediterranea, bruna e con un fisico da modella che io posso solo
sognarmi assieme alla carnagione olivastra in netto contrasto con il
mio pallidume.
«Che succede?» le
chiedo, mentre mi accascio sul divano di pelle marrone. Sono stanca,
sia fisicamente che mentalmente, e tutto per colpa di quei quattro
idioti che fingevano di lavorare dietro le vecchie e intarlate
scrivanie di un ufficio pubblico.
«Che succede? Mamma
e papà sono andati a prendere nonna Rosalia.»
All’istante
sollevo il braccio con il quale mi sono coperta il volto e strabuzzo
gli occhi. Nonna Rosalia è forse anche peggio di tutta la mia
famiglia messa insieme, del mio ex marito e di tutti i problemi che
posso avere in questo momento.
La porta d’ingresso
si apre e noi riconosciamo subito il suono fastidioso delle rotelline
montate sotto il girello che nonna Rosalia utilizza per muoversi.
«Siamo tornati!
Ragazze, c’è la nonna, venite a salutarla!»
La voce del babbo
risuona in tutta la casa. Sembra l’unico a essere su di giri per
l’arrivo della sua cara e cinica mammina, nostra madre al contrario
non ha mai provato troppa simpatia per la suocera e puntualmente non
vede l’ora che la vecchia vada via.
Mi sento più
scoraggiata di prima, mi sollevo dal divano e afferro Carmen per un
braccio. Andare a salutare la nonna è un suicidio, ma con mia
sorella accanto sento di potercela fare, di riuscire a resistere
almeno fino a che non andrà via.
«Ciao nonna!»
esclamiamo nello stesso istante stampando sul viso uno dei sorrisi
più finti mai esistiti in tutta la storia dei sorrisi.
La nonna, con i
capelli bianchi raccolti dietro la nuca in un perfetto chignon, si
ferma e pianta per bene il girello sul pavimento; stringe forte le
sue mani rugose sull’attrezzo che l’aiuta a deambulare e la
stretta è tanto forte che le nocche le diventano bianche. Solleva il
viso e da sotto le spesse lenti ci squadra dalla testa fino alla
punta dei piedi. La sua attenzione all’inizio è tutta per Carmen,
sembra farle una scansione e quando appura che mia sorella è
semplicemente perfetta, anzi identica a lei quando era giovane, come
ama sempre dire, passa a scansionare me. Il sorriso, che qualche
attimo prima era apparso sul suo viso rugoso, si spegne all’istante.
Lo sguardo si fa truce, arcigno e la mia schiena è percorsa dai
brividi.
«Adele, ti trovo
ingrassata.»
«Ehm… Sì, nonna.
Ho messo su qualche chilo nell’ultimo periodo.» Biascico una
risposta e mi sforzo di mantenere la calma.
Lo so di non essere
in ottima forma, ma al momento il peso è l’ultimo dei miei
pensieri e non ho bisogno che gli altri mi stiano con il fiato sul
collo a ricordarmi di essere un disastro in tutto, persino
nell’aspetto estetico. La verità è che molto spesso mi concedo un
cioccolatino in più per far fronte alla carenza d’affetto e poi, a
dirla tutta, in questo momento, tra tutte le priorità non figura un
uomo a cui piacere.
«Ti sei sempre
trascurata! Forse è per questo che Santuzzo t’ha lasciata.»
Le parole di nonna
Rosalia mi colpiscono in pieno viso come uno schiaffo e fanno male.
Non ho mai capito perché ce l’abbia tanto con me, io ho sempre
cercato di trattarla con indifferenza e di non dare peso alle
cattiverie che escono in maniera gratuita dalla sua bocca, ma è
sempre tutto inutile. Sembra quasi che la mia cara e adorata nonnina
lo faccia apposta, che cerchi in tutti i modi di provocarmi.
«A dire il vero
sono stata io a lasciare Sante» affermo con coraggio, per proteggere
quel poco di dignità che mi resta.
«L’avrebbe fatto
comunque lui» risponde a tono, senza mai pesare le parole.
La vecchina continua
a punzecchiarmi
e
il pranzo è il suo momento preferito, forse perché il suo fine è
quello di uccidermi e farmi andare di traverso le arancine preparate
da mia madre. Fingo di non vederla, impongo al mio cervello di
chiudere le orecchie e non ascoltare ciò che dice e gioco con le
posate, maltrattando gli alimenti nel piatto, proprio come fanno i
bambini durante i lunghi e noiosi pranzi di famiglia.
«A trent’anni hai
già un matrimonio fallito alle spalle e neppure un figlio! Chi vuoi
che ti prenda più?» domanda senza aspettarsi una risposta. «Non
ricevi neppure un assegno di mantenimento dal tuo ex marito e, come
se non bastasse, ti fai ancora mantenere dai tuoi genitori» continua
senza esitazione, senza neppure riprendere fiato e io spero che
qualcuno glielo tolga in maniera definitiva questo dannato respiro.
Sempre con la storia di questo assegno di mantenimento, non ne posso
più! Avevo così tanta fretta di chiudere la storia con Santuzzo che
non ho chiesto neppure un centesimo, l’importante era che me lo
levassero di torno, lui e la sua ingombrante famiglia sempre in mezzo
ai piedi. Non si poteva fare un passo che toccava chiedere consiglio
a mamma e babbo… E come cucina mamma, e come stira mamma, e come
pulisce mamma. Era un disco rotto con sua madre e tutte le sue
infinite qualità. Non mi ero sposata Sante, ma tutta la famiglia!
«Eh no! Adesso
basta! Mi avete rotto seriamente le palle! Io non vi sopporto più!»
urlo e sbatto i pugni sul tavolo. Guardo tutti i commensali e li
mando allegramente a quel paese, poi mi alzo e corro in camera mia,
seguita a ruota da Carmen.
Afferro un trolley,
lo stesso utilizzato un anno fa per riportare la mia roba a casa dei
miei genitori e comincio a riempirlo con i miei vestiti e con la poca
roba in mio possesso.
«Delà, dove credi
di andare?»
«Me ne vado a
Sydney!»
Quando questa
mattina sono arrivata al Centro per l’Impiego, per poco non sono
scoppiata a ridere in faccia al vecchio signore che mi ha comunicato
la possibilità di un lavoro in Australia, anche se quella risata era
per lo più isterica. Un lavoro dall’altra parte del mondo senza
neppure un colloquio?
“In fin dei
conti si tratta di fare la lavapiatti a un fast food, non ci vuole
una laurea!” ha
esordito l’impiegato davanti alla mia faccia perplessa.
Come se possa essere
fattibile trasferirsi così dalla mattina alla sera in Australia, mi
sono detta, ma dopo questo dannato pranzo con la nonna, la
possibilità di fare i bagagli e andare via da casa definitivamente
sembra molto più fattibile di quanto mi sarei mai immaginata.
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