domenica 22 luglio 2018

Segnalazione Romanzo - LE MERAVIGLIOSE AVVENTURE DI UN'INSEGNANTE PRECARIA di Anna Maria Arvia









Respiro Readers

vi segnalo il primo romanzo 

di un'autrice italiana emergente.










TITOLO: Le meravigliose avventure di un'insegnante precaria

AUTRICE: Anna Maria Arvia

GENERE: Autobiografico/Umoristico/Scuola

CASA EDITRICE: Self Publishing

PAGINE: 155

DATA USCITA : 18 Luglio 2018





In questo libro, l'autrice racconta la sua personale esperienza da precaria della scuola, che comincia dallo smarrimento che ha seguito la laurea, prosegue con la surreale esperienza della scuola di specializzazione per diventare insegnante e si concentra sulle supplenze vere e proprie che la porteranno, dopo un lungo percorso e svariate esperienze, fino all'approdo al sospirato ruolo.
Durante questo itinerario, ha vagato di scuola in scuola, aggirandosi per remoti e talvolta sconosciuti paesi, incontrando personaggi originali e colleghi che contribuiranno alla sua crescita, si misurerà con alunni problematici e imparerà a mettere in atto strategie che permetteranno di modellare in modo migliorativo situazioni problematiche.
Largo spazio è dato anche ai rapporti umani che si sono creati con i diversi ragazzi, in particolare quelli disabili, con i quali è fondamentale l’aggancio affettivo per intervenire in modo efficace.
Tutta la narrazione è piuttosto fedele ai fatti come si sono verificati, anche se spesso sono messi in rilievo gli aspetti comici di certi avvenimenti. Anche i nomi e le località che compaiono nel testo sono di fantasia, spesso mantenendo un'affinità sonora o lessicale, pur trasfigurata, con quelli reali.
 






Introduzione


Ho scritto questo resoconto degli anni di precariato nella scuola con l'intento di condividere la mia esperienza e cercare di far comprendere meglio una realtà che è difficile immaginare se non la si vive direttamente.
L'idea di scuola che forse molti ancora hanno e si concretizza nel docente issato sulla cattedra che elargisce le sue conoscenze è ormai superata. L'immobilismo di questa immagine ha lasciato il posto ad una concezione molto più dinamica dell'insegnamento che non è più, per fortuna, una mera trasmissione di nozioni.
L'insegnante al giorno d'oggi non può limitarsi a conoscere la propria materia, condizione comunque indispensabile, ma deve essere insieme educatore, psicologo, mediatore linguistico, assistente sociale, mediatore di conflitti, formato nelle più disparate strategie didattiche, costruttore di piani personalizzati, cane da guardia e, negli ultimi anni, anche esperto di arti marziali, visti i ripetuti attacchi anche fisici che stanno aumentando in maniera esponenziale nei loro confronti.
Tra i motivi di questa perdita del prestigio sociale dei docenti, sicuramente bisogna annoverare i continui attacchi che hanno subito in un passato relativamente recente, anche da ministri dell'istruzione, che definivano la scuola come “ammortizzatore sociale” e consigliavano agli insegnanti di impiegare meglio il loro tempo, magari andando a fare le guide turistiche. In questo modo avrebbero davvero giovato al loro Paese, invece di cercare di tentare di fare uscire dalle nebbie dell'ignoranza il maggior numero possibile di ragazzi.
Un altro motivo è il dilagare della convinzione, veicolata soprattutto attraverso i social media, che ognuno possa dire la sua praticamente su qualunque cosa e che la sua opinione possa avere lo stesso peso di quella di un esperto di un determinato settore. Così praticamente chiunque può giudicare l'operato, non solo di un allenatore di calcio, ma anche di un magistrato, di un medico, di un economista, di un insegnante o di qualsiasi altra categoria di professionisti che perdono l'autorevolezza nei relativi campi in nome di una democrazia delle idee portata alle sue estreme conseguenze.
Al giorno d'oggi ognuno si può curare andando a cercare notizie su Internet, oppure può contrapporre il suo autorevole parere alla sentenza di un giudice che sicuramente avrà competenze ed elementi maggiori per poter prendere una decisione; oppure ancora snocciolare la sua personale ricetta di politica monetaria per uscire dalla crisi economica.
Nessuno dovrebbe impedire ad un genitore, quindi, di andare a contestare un voto negativo preso a scuola dal suo bambino; e, se l'insegnante si ostinasse a rimanere della sua ottusa opinione, avrebbe il sacrosanto diritto di alzare la voce e, all'occorrenza, le mani.
Conclusa questa doverosa premessa, vado a presentare il libro che comincia con il senso di smarrimento seguito al conseguimento della laurea, continua con la descrizione del biennio trascorso a frequentare il surreale corso di specializzazione per la preparazione all'insegnamento e arriva alla narrazione delle prime supplenze.
A questo punto cominciano le prime vere esperienze di lavoro nella scuola, prima con supplenze brevi e anche brevissime, poi, a mano a mano che riesco ad accumulare punteggio, sempre più lunghe fino ad arrivare, dopo aver fatto una miriade di esperienze, al sospirato posto di ruolo.
Nel raccontare questo percorso di formazione, sia umano che professionale, ho cercato di rimanere sempre fedele ai fatti così come sono accaduti, mettendo soprattutto in rilievo quelli più surreali e comici che a tratti si susseguono in maniera incalzante. Per far capire come funzionano certi meccanismi della scuola, ho anche inserito delle brevi spiegazioni che rendere più chiare alcune questioni che dall'esterno non apparirebbero tali.
Ovviamente questo testo non pretende di avere velleità letterarie ma vuole essere il racconto, appunto, della mia personale formazione di insegnante per offrire un punto di vista dall'interno di una professione che è sempre meno apprezzata ma che riesce ad offrire anche, in certi momenti, alcune soddisfazioni; soprattutto quando ci rendiamo conto che i nostri sforzi hanno davvero contribuito alla crescita dei ragazzi che hanno condiviso con noi una buona fetta del loro tempo in un certo periodo della loro vita.
Alla fine del resoconto degli anni di precariato ho inserito anche una piccola appendice in cui ho trattato brevemente alcune tematiche che non ero riuscita ad inserire nei capitoli del testo.
Senza pretendere di esaurire la materia, si va dai bidelli alle innovazioni tecnologiche, dai genitori alle trasfigurazioni che subiscono alcune conoscenze dopo essere transitate attraverso gli alunni, dagli adempimenti burocratici al racconto dei caotici ricevimenti dei genitori.
Anche in quest'ultima parte, come nel resto del libro, ho cercato di evidenziare gli elementi comici dei vari avvenimenti, ma allo stesso tempo di restituire un resoconto quanto più possibile vicino alla realtà, anche se mediato sempre dalla mia personale esperienza.


CAPITOLO PRIMO
Ssis: il biennio surreale


La laurea era alle spalle e, dopo i festeggiamenti e la fugace soddisfazione che l'aveva accompagnata, scrutavo l'orizzonte del mio avvenire scorgendo nuvole di incertezza. Non sapevo cosa mi riservasse il futuro, ora che anche l'ultimo atto del mio corso di studi si era consumato.
Provai a fare qualche lavoretto precario ma era ovvio che non potevo affidare la mia sussistenza a cercare di vendere, con tecniche di persuasione al limite della correttezza, libri o altri oggetti a persone che non li volevano. Forse qualcuno poteva trovarlo stimolante ed esserci portato, ma sicuramente non faceva per me.
Trascorsi qualche mese in questo limbo di incertezza, fino a quando il mio orizzonte caliginoso non fu squarciato da un lampo che mi indicò con estrema chiarezza la strada che dovevo seguire: quella della SSIS.
La SSIS stava per Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento nella Scuola Secondaria ed era lo sbocco naturale di quei laureati, specialmente nelle materie umanistiche, che non avevano molte altre chances per approdare al mondo del lavoro. In pratica, chi non vedeva altre vie d'uscita si dava all'insegnamento.
Prima di allora non avrei mai pensato di fare l'insegnante. Pensare di trascorrere la mia vita davanti ad una platea eterogenea di ragazzini svogliati e spesso maleducati, cercando di trasmettergli qualche nozione di grammatica o storia, mi faceva accapponare la pelle. Ma, come dicevo prima, ero entrata a far parte della schiera di chi non sapeva quale strada prendere e di qualcosa dovevo pur vivere.
Sostenni quindi l'esame di ammissione insieme ad una folla di circa trecento candidati giunti da tutta Italia e mi ritrovai iscritta alla SSIS, ovviamente dopo aver versato fior di quattrini perché c'era da foraggiare una schiera di professori universitari, tutor e assistenti vari che erano ben felici di formare le nostre menti e renderle pronte a trasmettere il sapere alle giovani generazioni.
Versato il mio corposo contributo alla causa, un giorno di gennaio mi ritrovai in un'aula affollata e vociante dove si sarebbe svolta la prima lezione del nuovo entusiasmante corso di studi che ci avrebbe introdotto alle tecniche della didattica dell'insegnamento, infarcendo il tutto di nozioni di pedagogia e psicologia e via dicendo, oltre a spedirci nelle varie scuole della città per fare esperienza sul campo.
All'improvviso il vociare si spense e, preceduto da un portaborse, fece il suo ingresso il Megadirettore della SSIS della regione, nonché prestigioso docente di Letteratura italiana dall'università della città, il professor Urtis.
Questi, con voce tonante, cominciò ad illustrare l'organizzazione del corso biennale di specializzazione, facendo riferimento a questioni pratiche, come il massimo delle assenze consentite, e a questioni formative minacciandoci di bocciarci all'esame se non avessimo conosciuto a puntino tutta la storia della letteratura italiana dalle origini ai giorni nostri, con particolare attenzione ad alcuni autori che riteneva fondamentali, come Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso, Leopardi, Foscolo, Pascoli, Gadda e Carducci. Sì, Carducci era annoverato tra gli autori fondamentali della nostra letteratura e, a chi interveniva dicendo che i ragazzi di oggi non sentivano come vicino il pensiero di Carducci, rispondeva che allora essi dovevano cambiare modo di pensare.
Ad un certo punto, mentre rispondeva alle varie domande che gli studenti gli sottoponevano, Urtis si fermò e gridò con voce autoritaria: “Lei, venga qua!” Tutta l'aula si voltò indietro per guardare dove si erano rivolti gli occhi fiammeggiante di Urtis e videro un ragazzo magro che con aria incerta aveva varcato in quel momento la soglia della SSIS. “Lei è arrivato in ritardo “continuò il Megadirettore “Venga a firmare qui e indichi esattamente l'ora del suo arrivo”. Il neosissino si avvicinò umilmente al pulpito dell'orante, chiedendo venia per il colpevole ritardo ma Urtis aveva già ripreso le sue argomentazioni e rispondeva alla domanda successiva.
Quando uscii dall'aula ero un po' frastornata dalla confusione e perplessa per la presentazione del corso. Ovviamente sapevo che sarebbe stato impegnativo ma non capivo come mai dovevamo di nuovo sostenere esami di Letteratura, di Storia e di Geografia quando già lì avevamo affrontati all'università. Ma presto mi sarei resa conto che questa richiesta non era certo più gravosa rispetto a quelle che si sarebbero presentate tra breve.
Cominciai dunque a frequentare le lezioni della SSIS e, oltre alle lezioni frontali delle varie discipline di studio come, appunto, Storia, Letteratura e Geografia, c'erano anche quelle della cosiddetta Area Comune (psicologia, pedagogia, didattica, ecc.) in cui vari docenti universitari, che talvolta si lamentavano del fatto che dovevano venire al nostro cospetto per una paga da fame (poche centinaia di euro per un pomeriggio), spesso si limitavano a leggere delle diapositive proiettate sui muri delle aule che forse neanche avevano messo insieme loro. Mentre leggevano facevano considerazioni banali e scontate aspettando che arrivasse l'ora di tornarsene a casa. Ovviamente e per fortuna c'erano anche delle eccezioni e alcuni insegnanti erano davvero bravi, arrivando a fornirci anche indicazioni più concrete e non solo nozioni teoriche.
Ma la parte più inquietante era rappresentata da quelli che chiamavano “laboratori” tenuti da docenti delle scuole secondarie che si prestavano a questa nobile causa di educare noi, futuri colleghi, facendoci dono della loro decennale esperienza di lavoro. Sicuramente erano armati delle migliori intenzioni ma, complice il caos organizzativo di cui erano a loro volta vittime, il parto di tali laboratori era davvero travagliato e gli esiti talvolta bizzarri.
I pomeriggi del laboratorio erano suddivisi in genere in due parti. Nella prima il tutor illustrava l'argomento che dovevamo trattare, ad esempio la Rivoluzione Industriale, e il modo in cui strutturare una serie di lezioni a scuola, mettendo il rilievo gli obiettivi, le finalità, i tempi di attuazione, le competenze che gli alunni dovevano possedere per affrontare tale argomento e il tipo di verifica richiesto alla fine dell'argomento trattato. Dopo aver ricevuto le indicazioni, ci invitavano a formare dei gruppi di lavoro all'interno dell'aula per promuovere la collaborazione e la condivisione delle competenze. Mentre eravamo alle prese con la costruzione della lezione, poteva accadere che il tutor si assentasse per un breve periodo di tempo.
Terminato il lavoro, sottoponevamo all'insegnante i risultati della simulazione e, almeno all'inizio, quasi mai andava bene quello che avevamo fatto. Anche se apparentemente il gruppo aveva seguito tutte le indicazioni, la lezione costruita in laboratorio aveva sempre qualche problema, legato alle finalità che erano troppo vaghe, agli obiettivi poco definiti, alla scansione dei tempi poco realistici, alle verifiche non adatte, ecc. Sicuramente erano errori dettati dall'inesperienza ma spesso l'impressione che avevamo era che il tutor nel frattempo si fosse consultato con i colleghi e avesse modificato i criteri che ci aveva dato inizialmente con il risultato che i nostri lavori fossero da rifare.
Dopo l'attività nei piccoli gruppi, tutti dovevano confluire in un’aula più grande per la cosiddetta plenaria nella quale un rappresentante di ogni gruppo avrebbe illustrato ai colleghi i risultati conseguiti. L'aspetto paradossale è che i lavori che avevano più successo presso i vari tutor erano quelli più teorici e, ai miei occhi, meno adatti alle concrete realtà scolastiche, almeno che non fossero licei. Alcune di tali lezioni simulate erano anche molto belle ma, mi pareva, difficilmente realizzabili in scuole medie con variegati livelli di apprendimento e ancora meno in istituti professionali che in genere presentavano moltissime problematicità.
Tra i vari tutor ce ne erano alcuni piuttosto peculiari. Se capitavi nel gruppo con Rombo di Tuono, un ometto di mezza età che invece di parlare gridava, rischiavi di uscirne con l'udito compromesso, oltre che un po' stordito.
Poi c'era Olio di Oliva che quasi sempre aveva il cuoio capelluto unto, forse perseguitato dai capelli grassi anche se il soprannome non si limitava solo all'aspetto fisico, ma anche ad un certo modo di fare sfuggente e poco coerente.
Tra i corridoi potevi veder passare velocemente, quasi saltellante, la tutor Grilletti che aveva il suo gruppetto di studenti SSIS preferito che stimava e seguiva con grande attenzione e altri invece che non riteneva troppo degni dei suoi servigi.
Il soggetto più notevole era però Blu Hair, una signora sulla sessantina con i capelli tinti di blu a cui di solito abbinava un completo dello stesso colore. Tra l'altro veniva percepita come la meno coerente rispetto alle indicazioni che dava all'inizio dei laboratori e più volte le ho sentito fare delle prediche interminabili a gruppi che secondo lei non avevano seguito le sue linee guida mentre c'era il sospetto che nel frattempo le avesse modificate, almeno che non fossimo vittime della sindrome di Don Chisciotte.
Per fortuna c'erano persone anche più normali e ragionevoli come Orso Yoghi, un docente di Storia di scuola superiore che era solo un po' abbondante fisicamente e si muoveva ondeggiando leggermente le braccia dall’alto verso il basso e viceversa, ma per il resto era fornito di una certa ragionevolezza e concretezza.
Anche tra i corsisti la fauna era piuttosto variegata. La maggioranza della popolazione era ovviamente femminile ma si potevano trovare anche alcuni esemplari di sesso maschile. Tra questi c'era Carmine, corpulento ragazzo campano, che amava parlare più delle ricette che preparava in cucina che degli argomenti delle lezioni che probabilmente percepiva come noiosi e a tratti fastidiosi. Un giorno in fondo alla grande aula dove si tenevano le lezioni più affollate comparve una signora piuttosto corpulenta la quale, seduta placidamente davanti una cattedra che vi era posizionata, stava consultando delle riviste di gossip e moda. Era la madre di Carmine che era venuta a trovarlo e, non sapendo cosa fare nel pomeriggio, lo aveva accompagnato a lezione. Ogni tanto alzava gli occhi e provava ad ascoltare quello che veniva detto dai docenti ma subito tornava a più piacevoli occupazioni.
Poi c'era Pina Pineta, che si era laureata in qualche misteriosa università privata del meridione, e ogni volta si stupiva dell'insormontabile difficoltà degli argomenti trattati. Dopo l'esame di Geografia si era molto lamentata delle ostiche domande che le avevano posto su un argomento, a suo dire, difficilissimo, di cui non aveva mai sentito parlare: la Guerra Fredda. Inutile dire che non riuscì a superare il primo anno.
Ovviamente non erano tutti privi di competenze e disinteressati. Era presente una piccola percentuale di giovani donne sempre chine sull'immancabile portatile che si impegnavano al massimo e talvolta intervenivano per condividere il loro punto di vista. Qualcuna di queste le ho viste più di una volta avventarsi sul professor Urtis appena prima di cominciare le sue magniloquenti lezioni o subito dopo averle terminate. Alcune addirittura si precipitavano a sistemargli il microfono prima che iniziasse a parlare.
La maggior parte dei corsisti per fortuna sembrava rendersi conto dell'assurdità della situazione in cui si erano ritrovati e cercavano di dare il giusto peso alle varie situazioni surreali anche se di fatto era impossibile sfuggire alla sua realtà opprimente.
Tra questi c'era sicuramente Tullio, un ragazzo molto preparato, reduce da un dottorato di ricerca a cui, come spesso accade in Italia, non seguono opportunità lavorative. Tullio talvolta faceva interventi molto elaborati con una serie di subordinate che si accavallavano l'una all'altra e tra le quali era quasi impossibile orientarsi. Il malcapitato insegnante a cui era rivolta la domanda inizialmente cercava di capire, poi cominciava a stringere gli occhi nello sforzo di seguire il dispiegarsi dell'argomentazione e infine provava a mettere insieme una risposta che quasi mai era coerente con quello che era stato chiesto.
Aggirandosi per i corridoi o tra i vari gruppi di lavoro si poteva sentire risuonare la voce di Placida, esagitata capopopolo toscana, che era solita prendere in mano l’organizzazione delle varie unità didattiche assegnate in quanto molto carismatica e preparata. Di solito raggruppava sotto il suo comando le persone che le andavano più a genio e, ad alta voce, diceva: “Noi siamo il gruppo meglio” oppure “Non siamo mica come loro che ci hanno messo otto anni per laurearsi”. Ovviamente la superiorità del gruppo era determinata dal fatto che fosse presente lei.
Il secondo anno ci fu l’inserimento di qualche altro corsista. Tra questi c'era una ragazza che subito fu ribattezzata Robocop in quanto stava completamente immobile per la maggior parte del tempo, muovendo solo la mano destra in modo quasi impercepibile per prendere appunti salvo ogni tanto alzare la testa con piccoli scatti o girarla sempre in modo robotico a destra o a sinistra. Ancora oggi non sono sicura che si trattasse di un essere umano.
Quando, camminando per l'edificio, giravi l'angolo, dovevi fare attenzione a non imbatterti in Timor Est, una ragazza perennemente impaurita che faceva un passo in avanti e due indietro quando doveva interloquire con altri esseri umani. Una volta che, non so per quale motivo, mi aveva chiamato a casa, mio fratello, che aveva risposto al telefono, mi passò l'apparecchio dicendo:” C'è una bambina di otto anni. Spaventata”.
Aveva una cultura molto vasta e non aveva avuto problemi a superare gli esami, ma faccio fatica ad immaginarla davanti ad una platea di ragazzi con i quali sarebbe più indicato l'uso della frusta che la neutra trasmissione delle proprie conoscenze.
Ma l'elemento più peculiare del corso era sicuramente Carlo Cannellino, un ragazzo sulla trentina con un viso pallidissimo che si muoveva con passo lento e si esprimeva con un tono di voce molto basso. Un amico, con cui normalmente facevo i lavori di gruppo, che aveva un animo caritatevole, vedendo che veniva evitato da tutti, lo introdusse nel nostro entourage. Non che contribuisse troppo alla realizzazione del lavoro, anzi spesso mettevamo la sua firma al momento della consegna anche se non aveva fatto quasi niente. Abbiamo cercato anche di scrollarcelo di dosso qualche volta, ma ormai ci si era francobollato ed era difficile togliercelo di torno senza essere abbastanza duri e alla fine ci dispiaceva perché non sembrava avere grandi alternative.
Talvolta si assentava a ridosso della pausa delle cinque e tornava dopo oltre un'ora. Dopo aver più volte chiesto lumi sul suo comportamento, alla fine ci confessò che talvolta andava dall'estetista, a volte dal parrucchiere, altre volte a sbrigare generiche commissioni. Un giorno prese la mano di un ragazzo e se lo portò sulla fronte chiedendogli di toccare i capelli che aveva davanti. “Stavo diventando calvo “spiegò con un filo di voce “ho dovuto farli trapiantare”. In effetti i capelli avevano una consistenza poco naturale, come fossero di plastica.
Si narra che, siccome fosse molto bravo a suonare l'organo, una compagna di corso che si sposava proprio quell’estate lo avesse ingaggiato per il suo matrimonio. Una volta finito il proprio lavoro Carlo Cannellino aveva deciso che era il momento di andar via e si intrufolò tra gli invitati che si congratulavano con gli sposi fino a che non li raggiunse e chiese loro di pagarlo perché si era fatto tardi e voleva tornare a casa.
All'esame finale di Letteratura Italiana, stavo aspettando con un gruppo di persone il mio turno per farmi interrogare. Il caso aveva voluto che anche a Cannellino toccasse lo stesso pomeriggio. Ad un certo punto, sempre intorno alle cinque, lo vediamo allontanarsi dicendo che sarebbe tornato dopo poco. Rimaniamo perplessi perché tra breve sarebbe stato il suo turno e infatti poco dopo il professore lo chiama per farlo entrare. Rispondiamo che si è allontanato un attimo e Urtis, senza fare una piega, passa al candidato successivo. Quando torna, anche se sta per entrare un'altra ragazza, viene chiamato per fargli sostenere l'esame. Passano una ventina di minuti e dall'interno si percepisce appena la voce sottile di Cannellino intervallata dalle risate fragorose di Urtis.
Quando Carlo esce gli chiediamo come mai il professore stesse ridendo così sguaiatamente. Lui risponde, sempre pacatamente, che era arrivato all’esame senza un libro che era in programma perché, pur avendolo ordinato, ancora non gli era arrivato. Urtis non si era assolutamente arrabbiato per questo anzi era scoppiato a ridere quando Cannellino gli aveva giurato che lo avrebbe studiato appena gli fosse arrivato, anche se era estate. Ovviamente il trattamento riservato a tutti gli altri esaminati era stato ben diverso. Pare che dopo la SSIS Cannellino ebbe anche esperienze di insegnamento e mi giunsero notizie di pellegrinaggi da una scuola all'altra inseguito dalle raccolte firme dei genitori degli alunni che chiedevano ai presidi di turno di rimuoverlo dal suo incarico.
Ora passerò a parlare di una delle novità più significative apportate dalla SSIS rispetto al concorso per reclutare i docenti: l'introduzione del tirocinio nelle scuole, sia medie che superiori. Lo scopo di tale attività era quello di calarsi nelle concrete realtà scolastiche, fare esperienze direttamente sul campo scambiando opinioni e ricevendo suggerimenti da docenti con una certa esperienza. Il tirocinio formativo era strutturato in due momenti distinti: la parte passiva e quella attiva.
Nel corso del primo anno il tirocinio era soprattutto passivo, consisteva quindi nel sedersi accanto dell’insegnante della classe e annotare nel modo più dettagliato possibile come veniva condotta la lezione, le metodologie didattiche, gli argomenti trattati, la tipologia degli studenti presenti e quanti più dettagli significativi si riuscivano a cogliere. Il tutor di classe in genere era un insegnante che veniva assegnato dalla SSIS e che ovviamente svolgeva tale lavoro in modo gratuito. In genere i tutor della SSIS (Rombo di Tuono, Blue Hair, ecc.) si mettevano in contatto con i tutor della scuola dicendo loro, per convincerli, che mandavano un corsista per 20-30 ore all'anno. Inutile dire che le ore che i sissini dovevano svolgere nelle scuole erano di almeno 120 all'anno tra medie e superiori e, quando andavamo nelle scuole, eravamo noi che dovevamo informare chi ci accoglieva che i numeri erano un po' diversi rispetto a quelli che si aspettavano.
I tutor a questo punto potevano reagire in modo diversi:
a) esprimevano il loro forte fastidio nei confronti dell'istituzione SSIS che li aveva raggirati e dichiaravano che non avrebbero fatto nemmeno un’ora in più rispetto alle ore concordate;
b) cercavano di volgere la situazione a loro vantaggio, cercando di sfruttare il tirocinante lasciandogli la classe per lunghi periodi di tempo o facendo svolgere loro varie mansioni di supporto;
c) si rassegnavano alla situazione e cercavano di svolgere al meglio il proprio lavoro di tutor.
Anche quando trovavamo un tutor disponibile e preparato devo dire che l'attività di tirocinio soprattutto il primo anno era piuttosto noiosa. Infatti, dopo aver più o meno annotato ciò che succedeva in classe nel corso delle prime dieci- dodici ore, il resto delle sessanta ore per ordine di scuola era un continuo ripetersi delle stesse situazioni. Quindi poteva capitare, un po' per stanchezza un po' per noia, che quasi mi appisolassi accanto alla tutor che conduceva la lezione, per poi svegliarmi di soprassalto quando lei richiamava la mia attenzione per chiedermi un'opinione su un certo argomento.
La prima volta che la tutor mi ha lasciato in classe per fare non so cosa, i ragazzi si sono immediatamente rilassati da rigidi qual erano in presenza della loro autorevole insegnante. Qualcuno si stirava, qualcun altro si girava verso il compagno dietro di lui; dopo qualche minuto quasi tutti parlavano tra loro e qualcuno si era messo anche a gridare da un capo all'altro della classe. Non sapevo come fare per riportare l'ordine e, pur cercando di alzare la voce per farli stare zitti, i miei interventi erano quasi completamente ignorati. Cominciai a pensare di avere fatto un grosso errore ad iscrivermi alla SSIS.
Il silenzio tornava assoluto solo appena la tutor si affacciava di nuovo alla porta dell'aula e la lezione poteva riprendere normalmente. Devo ammettere comunque che, nonostante questi momenti di difficoltà, sono stata piuttosto fortunata ad incontrare la tutor delle medie la quale, oltre ad essere molto preparata e con un grande bagaglio di esperienza, mi ha fornito tantissimi suggerimenti e mi ha anche spronato quando era necessario.
Per quanto riguarda il tirocinio alle superiori, fui assegnata ad un istituto tecnico. Inizialmente la situazione era più caotica in quanto ero seguita dal vicepreside dell’Istituto il quale molto spesso si doveva assentare per risolvere i vari problemi che si presentavano a scuola e quindi non poteva seguirmi in maniera assidua. Probabilmente aveva accettato questo incarico solo perché tutti i colleghi lo avevano rifiutato. Il secondo anno invece fui seguita da una docente molto disponibile e gentile che mi accolse nel modo migliore facendomi fare anche diversi interventi in classe. I ragazzi del Tecnico mi sono subito sembrati più simpatici rispetto a quelli delle medie e, nonostante ci fossero anche casi problematici, mi hanno accolta con curiosità e hanno ascoltato in silenzio le mie lezioni anche se non erano né perfette né, forse, troppo coinvolgenti.
Il resoconto delle ore di tirocinio doveva essere appuntato nel famigerato Diario di Bordo, un quadernino in cui giorno per giorno dovevamo scrivere quello che succedeva in classe anche se, come dicevo prima, dopo qualche tempo non sapevamo più cosa aggiungere visto che le lezioni, salvo poche eccezioni, si ripetevano uguali a sé stesse all'infinito.
Nel corso del secondo anno, essendo il tirocinio attivo, per fortuna potevamo partecipare maggiormente alle attività e, al di là delle lezioni che preparavamo per la classe, c'era anche un lavoro di supporto che consisteva per esempio nel portare un gruppetto di ragazzi con qualche difficoltà fuori dall'aula per far colmare qualche lacuna. Avevamo però un numero maggiore di ore di tirocinio da svolgere e quindi la sensazione di perdere il nostro tempo, invece di studiare per i numerosi esami che dovevamo sostenere, era sempre molto presente.
Infatti, quasi tutte le mattine eravamo impegnati nel tirocinio nelle scuole, quasi tutti i pomeriggi nelle lezioni alla SSIS e a casa dovevamo sistemare e rendere presentabili i laboratori che cominciavamo durante le ore pomeridiani per poi spedirli ai vari tutor per la correzione. Ovviamente quasi sempre non andavano bene e andavano rifatti, con ulteriore dispendio di tempo. Nel tempo rimanente c’era da preparare gli esami di Letteratura Italiana, di Storia, di Geografia, la tesina di Area Comune, la relazione di tirocinio e la tesina finale che doveva raccogliere e sintetizzare tutte le attività svolte nei due anni di corso.
A complicare il tutto, alla fine del secondo anno, gli esami furono anticipati di quasi un mese rispetto alle date previste per permettere agli abilitati SSIS di iscriversi alle graduatorie permanenti (dalle quali le scuole attingevano i supplenti) entro la data di scadenza di quell'anno che era fissata per metà maggio. Gli ultimi due mesi del corso furono veramente al limite del delirio con esami concentrati in pochissimi giorni, relazioni da consegnare e correggere all'ultimo minuto, corsisti stressatissimi che oscillavano tra comportamenti isterici e momenti di depressione, con volti pallidi e smagriti che affollavano i corridoi in attesa di liberarsi dell'esame successivo.
Nonostante queste condizioni da corso di sopravvivenza, riuscimmo quasi tutti a dare gli esami e ad iscriverci alle graduatorie. Probabilmente la SSIS era solo propedeutica alle difficoltà che avremmo incontrato nel mondo della scuola. Ora avevamo qualche mese di tempo per ritemprarci prima di riprendere il mare per una nuova navigazione.









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