Respiro Readers
vi segnalo l'uscita
del nuovo romanzo
di
Cristiano Pedrini.
TITOLO: L'isola di Corentin
AUTORE: Cristiano Pedrini
CASA EDITRICE: Youcanprint
GENERE: Narrativa
Numero
di pagine : 174
Sito
web: www.cristianopedrini.it
Pagina
Facebook: www.facebook.com/cristianopedrini.it
L’arte
è un potente eccitante capace
di
offuscare tutto quello che crediamo
importante,
a patto di poterci immergere
totalmente
in essa, e da essa trarre la linfa
che
sostiene la nostra ricerca della perfezione
Corentin ha la sua isola, quel luogo sicuro nel quale si protegge dal mondo, dove non lascia entrare nessuno. Scrive romanzi e sogna un grande domani, che tarda ad arrivare, visto il suo straziante passato e il suo faticoso presente . Le sue giornate trascorrono tra il Monet Verde, la libreria galleggiante sulla Senna, lasciata in eredità dal nonno e il suo girovagare per le vie di Parigi.Corentin, seppur abbia la forza di superare e osare, è chiuso nel suo mondo, nella sua isola fino all'incontro con Flavie, un noto pittore che lo aiuterà a uscire allo scoperto e a osare rimettendo in discussione ciò che vuole mostrare di sé agli altri.La vita, l'amore, l'arte, la cornice romantica Parigina, i sogni e le speranze…Tutto sarà trascinato dalla ruota di un destino che porterà i due a riscoprire se stessi, mostrando la bellezza delicata di quei giorni che sembrano scaturire dalle pagine di una fiaba tinta dai colori della speranza.
CAPITOLO
SECONDO
L’antro
del mio peggior nemico
La
voce dell’anziana donna risvegliò Corentin dal lungo flashback
delle sue ultime disavventure.
«Il maestro Cossé può riceverla.»
Sollevò
il capo vedendola immobile accanto alla porta socchiusa.
«Avanti,
si accomodi» aggiunse con un eloquente cenno della mano.
Il
ragazzo si limitò ad annuire rialzandosi e avvicinandosi fino a
sentire il profumo di vaniglia che emanavano i suoi vestiti.
Lo
stesso che aveva anche sua nonna e che quando era piccolo sentiva
quando saliva in braccio per farsi coccolare dopo aver combinato una
marachella, aveva imparato ad amarlo.
Per
la verità spesso combinava qualche guaio di proposito solo per
starsene tra le sue braccia. Se n’era andata molti anni fa
lasciando suo nonno Marcel solo in quella grande città.
«Ha
cambiato idea?» gli domandò la donna.
«No,
affatto» rispose prontamente decidendosi a varcare la soglia della
stanza.
«Il
maestro arriverà tra poco. Lo attenda qui» gli raccomandò
chiudendo con delicatezza la porta alle sue spalle.
«Bene
Corentin, un’altra attesa» mormorò incamminandosi al centro della
grande stanza illuminata da ampie vetrate che si aprivano sulla
parete di fronte.
Il
pavimento, ricoperto da un parquet chiaro in parte consumato, il
soffitto a volta, contribuiva a rendere quell’ambiente un atelier
dove la luce naturale era la regina incontrastata coronando ogni
oggetto di una particolare intensità.
Attorno
a lui c’erano diversi cavalletti dove erano posate delle tele
coperte da lunghi drappi di diverso colore ma c’era un particolare
che le rendeva simili a delle comparse.
Corentin
aveva notato che tutte erano disposte attorno ad un cavalletto molto
più grande e vuoto, posizionato dinanzi ad una pedana, di forma
circolare coperta da una stoffa simile a seta, di colore nero.
Si
avvicinò osservando quello che dall’alto poteva apparire come un
grande opale che risaltava in quell’ambiente così luminoso.
Accanto
al cavalletto c’era un mobile, basso e alquanto malmesso sul cui
ripiano erano riposti, in modo disordinato, ogni sorta di pennelli,
tubetti di tempera e straccetti imbrattati di arcobaleni di colori.
Corentin
si chinò sul mobiletto scrutandolo con attenzione prima di decidersi
a spostare un lembo di stoffa. Lo sollevò notando la tavolozza
nascosta sotto di esso.
La
toccò timidamente con la punta del dito, ritraendolo subito come se
corresse il rischio di essere azzannato, ma i suoi timori scomparvero
non appena la prese tra le mani osservandola con attenzione.
I
suoi occhi scivolarono sulla moltitudine di pennelli fino a che si
decise a prenderne uno, molto sottile, con l’impugnatura di legno
nero.
Si
voltò verso il cavalletto vuoto e iniziò a muovere la mano, come se
stesse dipingendo.
Posò
infinite volte la punta del pennello per poi proseguire in quel gioco
immaginario fino a che una voce, a lui del tutto sconosciuta lo
paralizzò.
«Le
persone curiose spesso sono le più prevedibili.»
Corentin
sbatté contro il tavolinetto facendo cadere a terra tutto quello che
vi era riposto sentendosi mancare ma non ebbe il tempo di maledire la
sua cattiva stella, si inginocchiò rapidamente, sbattendo le
ginocchia contro il pavimento, raccogliendo pennelli e tubetti sotto
lo sguardo impassibile dell’uomo che cinse le braccia al petto
scuotendo il capo.
Il
suo sguardo insofferente racchiuso in quel volto tondo, scavato da
profonde occhiaie che si notavano dietro quelle piccole lenti
rettangolari, mise il ragazzo in apprensione mentre tratteneva con
scarsi risultati una smorfia di sofferenza per le ginocchia
doloranti.
«Di
solito non permetto a nessuno di toccare i miei strumenti di lavoro.»
«Però
dovrebbe preoccuparsi di ripulirli» si lasciò scappare Corentin
osservandosi le mani sporche di pittura.
«Sul
terzo ripiano c’è del diluente. Pulisciti con quello» gli rispose
Flavie avvicinandosi ad una scrivania che occupava un angolo della
stanza.
Corentin
lo vide spostare una pila di buste gettandole in una cassa di cartone
accanto al mobile.
«Come
ti chiami?»
«Corentin»
rispose lui terminando di ripulirsi il palmo delle mani con uno
straccio.
«Età?»
chiese di nuovo senza neppure guardarlo, intento a rimettere in
ordine quello che era disseminato sul piano della scrivania.
«Diciannove»
rispose, cercando di mascherare la smorfia dopo aver annusato le mani
che ora puzzavano come non mai.
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