E se l’unico uomo che potesse farle battere il cuore fosse quello che la sta ingannando?
Jessica ha chiuso il cuore all’amore. Dopo una delusione bruciante, è convinta che gli uomini la vogliano solo per il suo aspetto e il potere di suo padre, Adam Miller, un influente produttore di Hollywood. Così, quando il carismatico e irresistibile Rafael Canoa le chiede di uscire, lo respinge senza esitazione.
Rafael non perderebbe mai tempo con una ragazza come lei: altezzosa, distante, inavvicinabile. Ma quando Adam gli offre **l’occasione della vita—una carriera stellare in cambio della conquista di sua figlia—**accetta la sfida.
Peccato che Jessica non sia affatto come immaginava. E più la conosce, più il confine tra finzione e realtà si assottiglia. Ora Rafael deve scegliere: inseguire il successo o rischiare tutto per la donna che gli ha rubato il cuore.
Ma qualcuno è pronto a svelare il segreto sull’accordo. Se Jessica scoprirà la verità, tutto andrà in frantumi. Oppure… sarà proprio quella verità a legarli per sempre?
Una commedia romantica frizzante e irresistibile, tra battibecchi, tensione e un amore destinato a sconvolgere ogni certezza.
«Rafael, posso chiamarla per nome?».
«Assolutamente».
L’uomo sorrise, rilassato. «Per quanto lei sia famoso nel suo paese e in buona parte del Sud America, a Hollywood è uno sconosciuto e gli erotici sono un prodotto come un altro per iniziare».
«È vero, ma ho lasciato il Messico in cerca di qualcosa di professionalmente più stimolante e spogliarmi per mostrare la solita parte di me non mi interessa».
«Poco male», lo sorprese, sorridendo alla sua espressione stupita, per spiegargli: «Non l'ho invitato a cena per convincerlo ad accettare un ruolo di attore nella Sensual Prodaction».
«Ah, no?».
«No», gli garantì. «Vorrei però che lavorasse per me».
Rafael strinse gli occhi, incerto. Il cuore però accelerò i battiti e una strana euforia s’impadronì di lui. Era una grande occasione. «Ne sarei onorato».
«Me ne compiaccio». Miller si addossò alla sedia, scrutandolo per qualche istante in silenzio. «Ma deve sapere che la mia proposta è subalterna a un'altra».
Aggrottò la fronte, incerto. «Sarebbe?».
«Voglio che seduca mia figlia».
Non l’aveva detto davvero! Doveva aver capito male. Non c'erano altre spiegazioni. Ripose il tovagliolo sul tavolo, aspettando che il suo ospite aggiungesse qualcosa, ma il produttore gli confermò:
«Hai capito bene. Voglio che tu vada a letto con mia figlia».
Era passato a dargli del tu, rafforzando la serietà della sua richiesta. «Te la devi scopare», insisté con maggiore enfasi.
Era in imbarazzo. Nel suo mondo gli era capitato di tutto, ma non questo.
«Si spogli».
♥♥♥
«Prego?».
Doveva aver sentito male, si disse Rafael, mentre i suoi occhi seguivano, all'interno di quello spazioso ufficio, la figura snella e tornita nei punti giusti, che gli dava le spalle. Era alta. Più di un metro e settanta. Con i tacchi superava il metro e ottanta, tanto da sfiorare la sua testa. Quanto all'abito, indossava un tailleur nero che ne valorizzava la figura esile e graziosa. Più che una regista, sembrava una modella o forse un'attrice. Che la figlia di Miller lavorasse davanti alla telecamera? Aggrottò la fronte, scuotendo il capo. No, la sconosciuta di poco prima l'aveva definita la Barbie di ferro. Un sorriso gli piegò le labbra. In effetti, i capelli erano folti e biondi. Gli occhi non li aveva scorti, celati dietro una pesante montatura nera di occhiali da vista. Trattenne il fiato. Quanto al resto, poteva definirlo, senza ombra di dubbio, notevole: gambe snelle, fasciate in un pantalone a sigaretta, fianchi tondi che si stringevano in vita accompagnando la forma della giacca e busto lungo e sottile.
«Allora? Si sbriga?», lo esortò, girando sui tacchi, come se il silenzio precedente fosse stato studiato per dargli il tempo di fare qualcosa di specifico.
«Mi devo togliere la giacca?».
La lady di ferro si sfilò gli occhiali dal naso, per lasciarli sulla scrivania al suo fianco, puntandogli addosso due grandi e penetranti occhi azzurri.
«Direi che è un po' poco per una valutazione complessiva, non crede?», guardò l'orologio sul polso, distrattamente.
«Aspetti un attimo», la prevenne, mentre la vedeva avvicinarsi minacciosa, decisa a provvedere da sola. «Che sta facendo?», sobbalzò, scorgendo quelle dita affusolate armeggiare con la sua camicia.
«Mi pare ovvio, no?», lo scrutò da sotto le ciglia. «L'aiuto a svestirsi».
Si irrigidì. Non che avesse problemi a farsi toccare da una donna, ma il modo in cui tutto stava accadendo gli sembrava frettoloso.
«Si fermi», le afferrò la mano, puntando in quelle iridi fredde. «So di non essere indifferente al sesso femminile, ma il suo approccio mi sembra un tantino aggressivo».
«Mi sta prendendo in giro?». Miller allontanò una mano, incrociando le braccia sul petto, ma, infine, annuì, come se qualcosa di divertente le fosse passato per la mente. «Se lo dice per i suoi gusti sessuali, non si preoccupi. Sullo schermo non si vedono». Detto questo, scivolò dietro la scrivania, sbuffando.
Si passò una mano sul volto, incredulo. E lui si lamentava della poca professionalità di alcuni addetti ai lavori a Città del Messico? Provassero a mettere piede a Hollywood!
Si piegò sulla scrivania. «Di cosa sta parlando?».
Attese che lo guardasse. Aveva recuperato gli occhiali, nascondendo parte di quel viso grazioso.
«Di cosa vuole che stia parlando? È qui per il contratto, no?», abbassò il capo sulle scartoffie che aveva davanti a lei.
«Rafael Canoa», lesse. «Attore. Alto un metro e novanta, per ottanta chili di peso. Occhi verdi, capelli neri, esperienza ventennale in prodotti televisivi», snocciolò.
«So perfettamente chi sono», poggiò le mani sulla scrivania, ancora indeciso se mandarla a quel paese o stare al gioco.
«E allora, perché fa tanto il difficile?».
La schiena esile di quella creatura insopportabile aderì allo schienale della sedia, mentre sollevava il mento, come a modo di sfida.
«Non...». Rafael scosse il capo, stanco anche di se stesso. «Mi parli del ruolo».
«Quale ruolo?».
Sembrava sinceramente sorpresa.
«Quello per cui dovrei fare il provino», strinse gli occhi in due fessure. «Ha una bozza della sceneggiatura?».
L'espressione confusa sul volto di lei gli strappò un sorriso, nonostante l'assurdità di quella situazione. Sollevò lo sguardo sulla stanza. Ampia e con una vista sui grattaceli della Downtown, che vestita a sera scintillava di luci. Si riscosse per osservare l'interno dell'ufficio dove si trovava. A parte la scrivania sulla sua destra, c'erano dei divani, a pochi passi dalla finestra, e un tavolo da riunioni sulla sinistra. Tornò al suo appuntamento. Se ne stava seduta dietro la scrivania e lo scrutava indecisa se sbatterlo fuori o fornirgli qualche ulteriore dettaglio.
«Ha del whisky?», chiese a un tratto, passando in rassegna il mobiletto dei liquori, collocato tra i due divani.
«Che sta facendo?».
La voce alle sue spalle suonava stridula. Per fortuna una delle sue maggiori qualità era la pazienza. Afferrò una bottiglia, scrutandone il contenuto, ma l'isterica gliela strappò dalle mani.
Si voltò determinato a porre fine a quell'assurda storia, ma quando i suoi occhi incontrarono quelli della sua ospite, si sciolse in una risata. «È questa la prova?». Si passò le dita tra i capelli, scrutando gli angoli di quella stanza. «C'è una telecamera nascosta da qualche parte?».
«No», sembrava indignata. Lei? Figurarsi lui! Sbuffò, riprendendosi l'oggetto conteso, per servirsi da bere. «Ne vuole anche lei?», indugiò.
La buona educazione era dura a morire.
«Due dita», mormorò.
Gliele porse, scivolando a sedere su una poltrona e scrutando quella rigida figura che avrebbe potuto rubare la scena a una qualsiasi delle dive con cui aveva lavorato. Aveva una pelle di magnolia, un collo lungo e aggraziato e una bocca che attirava baci. Le labbra sembravano disegnate da un esperto, precise, a forma di cuore, soffici e invitanti.
Abbassò il capo. «Allora dov'è il regista?».
«Nessun regista», brontolò lei.
Rafael inarcò un sopracciglio. «Niente regista?», ripeté per essere sicuro.
«No. Niente regista», gli chiarì.
«E con chi dovrei lavorare?». Si portò quel liquido alle labbra.
«Con me... Cioè con noi!».
«Noi, chi?».
La vide scivolare sulla poltrona di fronte alla sua, accavallando le gambe.
I suoi occhi indugiarono su quella parte nascosta dai pantaloni, per sgranarsi increduli, appena sentì:
«Sensual Production».
Serrò le labbra.
Quel bastardo di Beto si era ben guardato dal fornirgli quell'informazione.
«Questo non depone a suo favore», stava starnazzando la sua interlocutrice, mentre lui si portava una mano al nodo della cravatta, allentandolo.
«E di cosa vi occupate?», ignorò l'espressione gongolante della tizia, che sembrava godere delle sue mancanze, per ascoltare quello che più gli premeva in quell'istante.
«Siamo nati da poco e lavoriamo...», notò che si mordeva le labbra, come se fosse in difficoltà al suo pari. Be' almeno non era il solo a pensare che la sua presenza lì fosse decisamente fuori posto!
«Di pellicole ad alto tasso di erotismo», strinse le labbra e lui balzò in piedi.
«Porno?».
***
Rafael Canoa senza giacca e con le maniche arrotolate fino ai gomiti era uno spettacolo da togliere il fiato.
La camicia bianca gli aderiva al torace, sottolineando le spalle larghe e i pettorali ben scolpiti. Se l'altro giorno aveva potuto solo immaginare cosa si nascondesse sotto il tessuto della giacca, ora le appariva più che evidente. Si costrinse a sollevare lo sguardo, per incontrare le iridi verdi di quell'uomo impossibile, che era riuscito a intrufolarsi nella sua vita professionale, dopo essere stato scacciato in malo modo, rientrando dalla finestra.
«Spero non ti spiaccia», si passò una mano tra i riccioli scuri, sorridendo.
Dio! Aveva dei denti bianchissimi e perfettamente allineati e una bocca carnosa, che faceva invidia a quella di una donna, ma il piglio, no, quello era tutto maschile.
«Visto che ci passerò molto tempo, ho chiesto a tuo padre se potevo arredarlo a mio gusto e lui mi ha detto di fare tutti i cambiamenti del caso».
Era avanzato al centro, con le mani sui fianchi stretti, voltandole la schiena, per passare in rassegna i lavori già fatti. Si accorse che i suoi occhi erano fissi su quel sedere muscoloso e sodo e deglutì a fatica.
«Cosa te ne sembra?».
Sobbalzò, incrociando lo sguardo di lui, che la invitava a esprimere il suo parere. Avrebbe voluto rispondergli per le rime, facendogli notare che non era stata interpellata, prima di prendere qualsiasi decisione, ma era troppo sconvolta dalla sua incapacità di staccargli gli occhi di dosso, per cui si limitò ad annuire, senza nessuna corrispondenza con quanto le aveva chiesto, precipitandosi fuori dalla stanza.
Perché quegli occhi di un verde simile alle olive ancora acerbe dovevano farle quell'effetto? Insomma, era come se per tutta la vita non avesse visto un uomo attraente e lei viveva costantemente circondata dalla bellezza.
***
«Cosa dovrei fare, secondo te?». Era chiaro che non parlava più di televisione.
«Digli di sì. Esci. Goditi la vita e vedi a cosa ti porta», le consigliò l’amica.
Jessica si ritrasse nel suo angolino, portando le ginocchia al petto. «Non posso.»
«Perché?»
«Perché detesto tutto ciò che è fuori controllo. E lui lo è».
***
C'era una tale innocenza nel suo sguardo, che avrebbe voluto fotografarla, per mostrarle come il senso di disagio interiore che avvertiva non aveva nulla a che vedere con il torpore del vizio insito negli animi meschini.
«Perché dovrei lasciarti proprio ora che ti ho trovato?», le chiese, carezzandole il viso.
«Perché le cose belle non durano mai», gli rispose, arrossendo.
«Non questa volta», le garantì, sfiorandole le labbra.
***
Gli piaceva la sua risata e l'avrebbe fatta ridere, per tutte le volte che aveva pianto.
***
Il cuore di Rafael tremò davanti alla sua donna. Era bella e tremendamente vulnerabile. Si stava mettendo nei pasticci, lo sapeva, ma Jessica gli faceva uno strano effetto. Sentiva il bisogno di proteggerla, di allontanarla da tutto quanto l'aveva ferita, anche se sapeva che il primo che avrebbe potuto farle del male era lui, se non correva ai ripari con Adam Miller.
Su quel fronte, però, la faccenda era relativamente semplice: dubitava che il padre gli facesse pressioni affinché lasciasse la figlia. E non era tanto sciocco da tirare in ballo il loro accordo.
***
Quando quella donna perdeva la sua posa rigida, riusciva a smuovere un mondo dentro di lui.
***
«Jessica, lui è l'uomo che ci farà vincere la guerra», le annunciò la moglie di suo padre, voltandosi verso di lei.
«Al suo servizio!». Alvarez fece un inchino cerimonioso.
Sgranò gli occhi. «Io... Io...», balbettò, poi scosse la testa. «Voi siete pazzi!», esclamò, incredula.
Luis non si scompose. Anzi sorrise con aria divertita e prese posto accanto a loro. «Credo ci sia un equivoco», le disse con tono complice. «Per ovvie ragioni, non sarò io il tuo corteggiatore, ma prima dell'arrivo della persona che attendete, sarà utile fare il punto della situazione».
***
«Prima ti fai la figlia di Miller, butti via un ingaggio milionario per diventare professorino in una scuola, e ora mi chiami per risolvere i casini?», si piegò in avanti, cercando di non esplodere. «Se fosse per me, sarei rimasto a Hollywood», aggiunse, scivolando sulla poltrona. I suoi occhi, arrossati dalla fatica e dall'alcol, si scagliarono su Rafael. «Sai che dovrei mandarti a fanculo per il tempo e i soldi che mi hai fatto perdere?».
«Non potevo fare altrimenti».
«Non potevi fare altrimenti?». Beto alzò gli occhi al cielo, mordendosi la lingua per non esplodere in un turbine di insulti. «Hai distrutto un'opportunità d'oro per uno scrupolo morale che nemmeno i santi avrebbero capito, e ora vieni da me per salvarti?», si piegò nelle spalle, fissandolo con incredulità.
«Voglio solo che trovi un modo per mandare Jessica a casa».
***
C'era una tale innocenza nel suo sguardo, che avrebbe voluto fotografarla, per mostrarle come il senso di disagio interiore che avvertiva non aveva nulla a che vedere con il torpore del vizio insito negli animi meschini.
Grazie mille!!!^_^
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