2008, litorale jonico calabrese; dopo le sanguinose guerre di ‘ndrangheta degli anni ’80, nei territori di Casalotto e Bovese emerge un nuovo “Capu Locu”. È Giovanni Romeo, gestore di un distributore di benzina sulla statale, che si avvicina al clan Macrì e estende negli anni successivi il suo controllo sulla zona: per auto rubate, litigi tra amici o spartizioni di lavoro, la gente del posto si rivolge a lui invece che alle forze dell’ordine. Ovviamente, le nuove attività richiedono la sua “protezione”, in cambio di appalti ad aziende amiche o assunzioni “su richiesta”; Capu Locu e i suoi uomini non lasciano quindi indisturbato un solo cantiere, che sia di un centro commerciale o persino di una chiesa, senza esitare a ricorrere a intimidazioni e perfino a sporcarsi le mani di sangue. Il nome di Giovanni Romeo, e dietro di lui quello dei Macrì, diventano sempre più importanti a Casalotto, e la festa patronale del 2010 diventa una consacrazione a tutti gli effetti per il “Capu Locu”.
Non a tutti, però, questa situazione va a genio: sicuramente non a Jessica Castaldo, Maresciallo fresca di nomina ma carismatica e determinata, in cerca di giustizia per suo padre, brigadiere rimasto ucciso pochi anni prima in circostanze poco chiare. Insieme ai suoi appuntati, il maresciallo si metterà sulle tracce degli uomini di Romeo e dei Macrì e dei loro crimini, con l’obiettivo di smantellare la rete di ‘ndrangheta locale. E non va a genio nemmeno a Domenico Tripodi, nipote di Giovanni Ferraro, boss della zona negli anni ’80 e in carcere dal decenni. Domenico, nonostante la sua giovane età, è scaltro e sa muoversi bene: aiutato dai suoi cari amici e da un colpo di fortuna in cui trova l’eredità del nonno, preferisce muoversi nell’ombra invece di stare sotto i riflettori come Capu Locu.
Ma gli equilibri sono destinati a cambiare. Il maresciallo, infatti, arresta alcuni degli uomini di Romeo per crimini minori e, nonostante la loro omertà, riesce a ricostruire l’intero giro di intimidazioni e aggressioni della cosca di ‘ndrangheta, portando all’incarcerazione di Romeo e dei Macrì nel 2012.
Il vuoto di potere che ne consegue sarà presto colmato da nuovi eventi: l’uscita dal carcere prima del padre di Domenico, Filippo, e del pluripregiudicato Giacomo Mancuso 'u Geometra. Terra Nostra si conclude chiudendo l’arco narrativo dei personaggi principali, ma prospettando una nuova “minaccia” che incombe…
Avrei tanto da dire su questo libro, perché ho sempre apprezzato le storie collocate in terre in cui non conosciamo nemmeno l’esistenza. Soprattutto quando queste vicende riescono a condurre il lettore dentro un nostos ricco di vita “reale” come gli anni cosiddetti di “piombo” dove in un paese calabro le esistenze si intrecciano, in un modo o nell’altro, all’interno di famiglie malavitose, di gente anche “per bene”. La narrazione di Campolo ammalia e trascina all’interno delle pagine come un fiume in piena. I luoghi di cui si parla, i personaggi, le abitudini e usanze della gente del luogo, ti rimangono dentro fin dalle prime righe.
L’autore narra sì, e lo fa in modo schietto, senza filtri e con un lessico di buona costumanza lessicale, anche se in alcuni passaggi, “la realtà delle vicende lo richiede” vi è una gamma di termini molto crudi.
Lo stile colloquiale, poi, rende tutto molto più scorrevole alla lettura, più trascinante e interessante, anche se in alcuni passaggi ci sono termini ripetuti. Ciò nonostante, si coglie all’interno della narrazione quel vissuto che vuole essere un messaggio ben preciso: gli errori si pagano.
“Terra Nostra” di Amato Salvatore Campolo fonde in modo mirabile due generi narrativi, che a prima vista possono sembrare equidistanti tra loro: il thriller e il noir e allo stesso tempo una realtà dei fatti dettagliatamente riportati, che ci conduce con la mente ai luoghi calabri descritti dall’autore.
Ai famosi anni ’80, quando la ‘ndrangheta uccideva i comunisti tra cui Peppe Valarioti e Giannino Losardo, i quali lottavano contro le infiltrazioni criminali nella società e nelle istituzioni. In quell’estate di quarant’anni fa ci fu il passaggio alla cosiddetta “mafia imprenditrice”. Con tutte le conseguenze che ci portiamo dietro tuttora. La Calabria, terra travagliata e bistrattata, meravigliosa e schietta come i suoi abitanti. Generosa fino all’inverosimile. Una terra le cui coste che protendono verso il mare Jonio ha affrontato e affronta da anni l’esistenza di cosche mafiose che si fanno la guerra, consumando i loro destini tra violenza, morti che ne generano altri solo per ottenere più potere a quello che si ha già. Gente dove l’omertà è d’obbligo se non vuoi finire appeso a una pietra e gettato chissà dove, o sparire così, dall’oggi al domani. Ma il legame che unisce le cosche mafiose è più forte della morte, più forte di tutto il resto, persino più forte dell’amore. Famiglie dove non puoi scegliere da che parte stare. La realtà è una sola: o stai dentro o fuori, ma se stai fuori, probabilmente non vivrai un giorno di più.
I dialoghi non annoiano, sono asciutti come alcuni personaggi della vicenda. Protagonisti le cui vite si intessono attraverso omicidi e crimini efferati.
In “Terra Nostra”, il lettore viene catapultato nell’anno 2008 sul litorale jonico calabrese, dove impazzano le sanguinose guerre di ‘ndrangheta degli anni ‘80, dove nei territori di Casalotto e Bovese compare un nuovo “Capu Locu”. Giovanni Romeo, detto “Maluferru” che letteralmente significa “pistola cattiva” che di professione faceva il narcotrafficante per la ‘ndragheta di San Luca.
Le descrizioni sono violente, si spara e si ammazza per il vile denaro, ma anche perché l’onore di una famiglia mafiosa è più importante di ogni altra cosa, e quindi è d’obbligo farsi giustizia.
Il libro è un pot-pourri di colpi di scena, di traversie, di ragionevoli dubbi, di ingiustizie e giustizie, di colpevoli e innocenti e in mezzo, a manovrare tutto c’è la famiglia dei Macrì odiata da quasi tutto il paese e che hanno il comando di tutta la costa del mar Ionio di Casalotto e di Bovese senza avere rivali. Sono loro i padroni del mondo, in un intermezzo di vita reale che comunque non stupisce più, il sangue versato non genera più di tanto orrore, perché questa è la realtà di un periodo storico, in cui la ‘ndrangheta faceva il bello e il cattivo tempo.
Nella vicenda, le vite come i fatti narrati dei personaggi mafiosi che avevano terrorizzato gran parte delle zone calabre, si chiude, ma qualcosa di nuovo si apre all’orizzonte... Le cose cambieranno? Probabilmente, ma non in meglio.
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