Presto avrebbe messo su quell'angelo il marchio del diavolo
Inghilterra, 1833
Simon
era vicino a Eve, non la mollava un attimo. Era preoccupato: aveva
passato una settimana d’Inferno, si era chiusa in se stessa
restando per quasi tutto il tempo nella sua camera. Aveva cercato di
stanarla ma lei lo aveva cacciato gentilmente, chiedendogli di avere
pazienza e di concederle una settimana. Poi, gli aveva detto, sarebbe
uscita da lì e avrebbe ripreso le sue normali attività. A
malincuore aveva dovuto accettare anche se era stato divorato
dall’ansia per tutto il tempo e dal rimorso. Forse aveva sbagliato
a non parlare prima, a non spiegare subito cosa sapesse sul marchese
ma mai si sarebbe immaginato che lei potesse innamorarsene e invece…
Strinse un bicchiere di punch tra le dita, le nocche gli divennero
bianche per la tensione, non appena vide che era arrivata la
baronessa Roslyn insieme alla sua dimessa, povera, sgraziata dama di
compagnia: Celeste. Rieccola, finalmente. Non la vedeva da quella
famosa sera a Vauxhall. La guardò, portava la familiare cuffietta,
gli occhiali e un vestito davvero orribile. Camminava leggermente
claudicante e sembrava informe, sgraziata. Oh, che perfetta impostora
che era, che mentitrice, una bellissima ingannatrice. Era davvero
brava a nascondersi, a celarsi ma lui sapeva quale corpo meraviglioso
fosse nascosto sotto quegli abiti informi, quale splendore lei
nascondesse al mondo intero. Un fiotto di bile gli salì alla gola
pensando che i suoi travestimenti, probabilmente, servivano a
nascondere la sua sordida relazione con un lord, un vecchio
presumibilmente. Non riusciva a non guardarla. Ora che sapeva
com’era, cosa nascondeva, non vedeva più neanche quegli artifici,
quelle finzioni, riusciva a cogliere la vera essenza, la bellezza
nascosta dall’inganno. Decise che voleva darle una bella lezione.
Si era aperto con lei, l’aveva baciata con tutta la passione che
aveva represso nel suo cuore per molti anni e lei come lo aveva
ripagato? Confessandogli spudoratamente della sua tresca,
respingendolo, dicendogli che le sue attenzioni non erano gradite.
Lui, un futuro duca, un uomo che non aveva mai avuto problemi ad
avere una donna, considerato meno di un vecchio satiro. Strinse di
nuovo il bicchiere, sentiva nel corpo una tale rabbia. Celeste non
gli appariva migliore di Brigitte né di quel mascalzone di Richard.
Aveva una voglia pazzesca di sfogare la sua rabbia su di lei, di
vendicare se stesso e tutti gli idioti che nel corso del tempo
potevano essere caduti nella rete di quegli occhi color zaffiro. Posò
il bicchiere sul vassoio vuoto di un cameriere di passaggio poi si
avviò con passo indolente verso quel gruppetto di “invisibili”.
Puntò gli occhi sulla baronessa. Questa, come lo vide arrivare, gli
sorrise invitante. Lui ricambiò con un sorriso appena accennato ma
ignorò Celeste. Sentiva il suo sguardo da sotto la cuffietta, ma si
comportò come se non esistesse. «Milady, permettete? Vorrei
prenotare un ballo con voi». «Con piacere milord» gli rispose la
nobildonna e gli porse il carnet. Mentre scriveva il suo nome di
fianco a un ballo, era vicinissimo a lei. Sentiva i suoi occhi chiari
che lo guardavano, che lo fissavano. Non diede segno di essersene
accorto, anzi le diede la schiena, deliberatamente, come a
escluderla, come a cancellarla dalla sua vista. Non sopportava di
vederla, di guardarla; non sopportava il leggero profumo, tipicamente
suo, che aleggiava nell’aria. Come facevano gli altri a non
“vederla”? A non accorgersi che quel profumo delicato ma nel
contempo sensuale, non poteva appartenere a una donna così goffa e
brutta? A non vedere quelle due gemme preziose che aveva per occhi, a
non intuire la cascata d’oro che le cadeva sulla schiena. Gli
prudevano le mani dalla voglia di toccarla. Che idiota era; anche se
lei era una donna bellissima, ce n’erano altre, sicuramente più
belle di lei. Che cos’era, improvvisamente, quell’ossessione che
gli era presa? Certo, se ripensava a quella sera, era davvero
splendida, più bella anche di Brigitte. Si irrigidì. Nessuna era
mai stata più bella di Brigitte; fino ad allora era vissuto nel
ricordo, nel mito della prima donna che aveva amato. Ma era stato
vero amore? Se lo chiese. O non era stata, piuttosto, l’infatuazione
molto fisica di un ragazzo alle prese con una donna esperta e
sensuale? La voglia di autodeterminazione, di indipendenza dalla
famiglia? Si scosse. La baronessa gli stava dando appuntamento a
dopo. Fece un breve cenno di assenso e si allontanò, soddisfatto di
se stesso. Era andato lì ed era riuscito a non fissarla, a non
guardarla neanche una volta. Le aveva mostrato con chi aveva a che
fare e che lei era niente per lui.
Celeste lo vide allontanarsi.
Dio, com’era bello! Il suo cuore, il suo stupido cuore, palpitava
per lui. Si permise di osservarlo, senza essere vista: le spalle
ampie, la postura elegante, lo sguardo di ghiaccio che nascondeva
però un temperamento di fuoco. Arrossì al ricordo del bacio
appassionato che si erano scambiati, il suo primo vero bacio ma lui
non lo sapeva e non lo avrebbe mai saputo. Pensava il peggio di lei
ma non le importava. L’importante era che nessuno scoprisse mai la
verità.
«Mi
ero sbagliato clamorosamente. Non hai il coraggio di compiere le tue
scelte da sola; hai paura Eve, di me, di quello che ti facevo provare
e hai preferito scappare e rifugiarti dietro tuo fratello, la
protezione della tua famiglia. Dimmi, come si sta su quel
piedistallo? Cosa si prova a essere un’algida principessa, incapace
di abbandonarsi all’amore e alla passione? Sei bellissima, saresti
il sogno di qualsiasi uomo ma poi chi ti conosce bene scopre la tua
freddezza, viene gelato dal tuo temperamento. Davanti a
quell’alterigia non c’è bellezza che tenga. Preferisco le donne
come la contessa: calde, disponibili, generose, che le statue
marmoree, perfette ma insoddisfacenti». Lei aveva assorbito ogni
parola come se fosse una ferita ma non sarebbe stata ferma a
lasciarsi insultare. Era forte e glielo avrebbe dimostrato. Non
sarebbe stata mai più la sua vittima. «Aveva ragione Simon, sai?
Sei un bastardo, non di nascita, perché a me quello non è mai
interessato. Sei tu il vero codardo; sei tu che hai preferito restare
immobile, preso nelle vecchie abitudini, invece di mostrare di poter
cambiare davvero, forse perché non ci riesci, forse perché non sei
così forte come credi».
Poi, scioccata da quello che gli aveva
detto, dalla tempesta di sentimenti che aveva dentro,
incommensurabilmente ferita dalle sue parole, si girò pronta a
uscire. Si avvicinò alla maniglia della porta. Stava per abbassarla
quando lui le disse: «Dodici». Si girò e lo guardò perplessa, non
capendo cosa volesse dire. «Dodici sono i balli che hai fatto: due
con il caro George: due con l’erede di Clarence, due con il duca di
Montaigne, uno con lord Percy, Wilmore, Fredericson e Montagu; infine
uno a testa con i tuoi fratelli». Lo guardava a bocca aperta,
attonita, poi gli occhi le si inumidirono. Come erano arrivati a
quello? Lui continuò. «Come vedi continuo a contare i balli che
regali agli altri, quelli che sottrai a me. Avrei dovuto esserci io
al tuo fianco. Tu avevi scelto me e non uno di quei maledetti
damerini. Questo bastardo» e si toccò il petto, con la mano aperta,
sul cuore. «Questo reietto ti aveva conquistato, era riuscito a
sciogliere il tuo ghiaccio e a tirare fuori la tua vera natura:
calda, dolce, appassionata. Tu mi rendevi felice. Ora non sono altro
che l’ombra di me stesso. Forse hai ragione e forse ce l’ho
anch’io. Siamo entrambi dei codardi perché non stiamo combattendo
per quello che di bello c’è stato tra noi ma lo stiamo uccidendo,
perché non ammettiamo di avere bisogno l’uno dell’altra; perché
preferiamo vivere nella consuetudine piuttosto che accettare il
rischio che un’unione tra noi comporta».
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