Richard
la conduceva nella danza sicuro, forte, autorevole. Eve si lasciava
condurre, sostenuta dalle forti braccia di lui. Sperava di non
inciampare e di non essere goffa. Aveva la ricorrente tentazione di
guardare i propri piedi, di contare i passi. Non aveva mai ballato
così stretta a un uomo, a pochi centimetri dal suo torace, dal suo
viso, dal suo respiro. Lui si accorse del suo disagio: «Cosa avete?
Rilassatevi, vi guido io. Sembrerebbe quasi che non abbiate mai
ballato un valzer prima…»
Era
ammutolita, ma cosa le stava succedendo? Non era mai rimasta
a corto
di argomenti. In quel momento rimpianse la sua poca esperienza nella
vita “di società” e nell’arte del corteggiamento. Non sapeva
cosa rispondergli. Come avrebbe voluto essere più esperta e
sofisticata, chissà come rideva di lei, dentro di sé! Chissà come
doveva sembrargli sciocca! Si scosse, dopotutto era una Tresham e
parlò per spezzare quel silenzio e l’incantesimo di quegli occhi.
«Non sono a disagio»
mentì. «È che non mi sono mai trovata prima in una situazione così
sconveniente».
«Perché vi sembra una situazione sconveniente?
Cosa c’è di così ambiguo?»
E
la guardò sfidandola a dirgli la verità. Lei alzò il viso e lo
fissò, raccogliendo la sua sfida. «Innanzitutto siamo troppo
vicini, non siete alla dovuta distanza».
«Davvero?»
I suoi occhi brillavano: era divertito, rilassato ma allo stesso
tempo vigile, come un predatore. Lei si umettò le labbra. Quegli
occhi di ghiaccio seguirono quel movimento e rimasero a fissare la
sua bocca. La sua voce si fece più bassa e roca mentre le chiedeva:
«E dove vi hanno insegnato qual è la giusta distanza? Nel collegio
che avete frequentato?»
«Cosa ne sapete voi?»
Era seccata dalla sua
ironia. «Non mi conoscete; non sono stata neanche degna di esservi
presentata, come invece altre nobildonne qui presenti».
Lui rise,
una risata piena, soddisfatta. Eve vide di nuovo quella luce, quel
lampo ed ebbe ancora l’irritante sensazione che lui conoscesse dei
segreti che lei ignorava, che la conoscesse meglio di quanto lei
conoscesse se stessa.
«Dato che ho presentato i miei omaggi solo
alla contessa di Langley ne deduco che vi riferiate a lei. Cos’è,
siete gelosa? Mi lusingate. Se avessi saputo che mi stavate
aspettando sarei venuto molto prima. Non avrei fatto passare tutto
questo tempo…»
Era sempre più confusa. Lui diceva cose
incomprensibili, era impudente, sfacciato e faceva allusioni che non
era sicura di capire. In quel momento provava l’impulso di
schiaffeggiarlo e di togliergli quel sorrisetto soddisfatto dal viso.
«Ma cosa dite? Non siate ridicolo» rispose con la massima alterigia
che riuscì a simulare. «Vi facevo semplicemente notare che non
eravamo stati adeguatamente presentati; se siete un nobile, come
sembra, sapete benissimo che è scandaloso rivolgere la parola a una
dama che non si conosca, figuriamoci chiederle un ballo».
La
fissò con uno sguardo penetrante. «Allora perché avete accettato
il mio invito? Perché non mi avete rifiutato?»
«Come potevo
farlo? Non volevo creare uno scandalo e poi non umilierei mai
nessuno con un rifiuto pubblico».
Richard si irrigidì, premette
un po’ più forte le dita lunghe, forti, scure, sulla spalla
candida di lei. «E’ solo per questo che avete accettato? Perché
vi ho fatto pena? Sono molte le cose che voglio da voi e la pena non
rientra tra queste, non offendetemi».
«Non voglio offendervi,
sto solamente dicendo la verità. Vi sarete accorto che stavo per
ballare con il duca di Welbourne, voi vi siete messo in mezzo, a quel
punto cosa dovevo fare?»
«Mentite». Adesso il tono di lui era
basso, vibrante di collera e delusione a malapena trattenute. Eve
capì di aver ferito il suo orgoglio. In parte le dispiaceva ma
l’aveva spinta lui a dire quelle parole, con il suo fare arrogante
ed autoritario. Cercò comunque di rimediare, almeno in parte «Non
dovete offendervi: in fondo, io non so chi siate e perché abbiate
voluto danzare con me»
«Oh sì che lo sapete» le sussurrò sul
collo. «Ve l’ho già detto: ho voluto ballare con la donna più
bella della sala, con la debuttante più affascinante. Volevo
stringervi tra le braccia». I suoi occhi ora mandavano lampi, le sue
parole erano dure, sembravamo minacce. «Se fosse per me, ora sareste
attaccata al mio torace e respirereste la mia stessa aria».
Eve arrossì, di nuovo; con
quell’uomo era impossibile non farlo, non rispettava le più
elementari regole della decenza. Le diceva cose intime, scandalose,
come se lei fosse la sua donna, come se gli appartenesse.
«Volevo
avervi ad un centimetro e vedere da vicino se il vostro viso era così
sconvolgente, la vostra pelle così perfetta, le vostre labbra così
tentatrici…»
Era scioccata. Nessuno le aveva mai parlato con
tanta violenza e al contempo tanta passione. Tremava per l’intensità
di quello sguardo, per quella luce che aveva scorto nei suoi
occhi…desiderio? Non ne era sicura, eppure…sembrava. Lei, dal
canto suo, aveva i sensi sconvolti: la sua pelle fremeva, le sue
narici erano sature del profumo di lui, un misto di colonia e
virilità. «Non dovreste parlarmi così, non sta bene. Mi state
mancando di rispetto. Noi non siamo né amici né fidanzati, non
siamo nulla l’uno per l’altra. Non so neanche il vostro
nome».
«Oh, vi prometto che presto saremo molto di più che
semplici conoscenti; queste sono solo stupide formalità e sciocche
regole. Comunque, visto che ci tenete tanto…sono Richard
Glainsbourgh, Marchese di Stanton, per servirvi».
«Siete un
marchese? Non lo sapevo; io sono…»
«So chi siete».
Lei
rimase stupita. «Come fate a saperlo?»
«Ero nella sala da
gioco quando siete arrivata, vi ho visto e vi ho riconosciuta. Siete
più donna, ora, più matura. Il vostro viso ha acquisito maggior
espressività e dolcezza, il vostro corpo è maturato; siete
sbocciata in un bellissimo fiore e avete mantenuto le promesse di
quando vi ho conosciuta, sei anni fa».
«Sei anni fa? Ma dove,
come?» chiese confusa.
«Non vi ricordate di me? Eppure io non ho
mai potuto dimenticare il vostro volto…ragazzina».
A grandi falcate si diresse
verso l’angolo della sala dove c’erano le ragazze che avevano
poche possibilità di danzare, ritenute poco “appetibili” sia per
una scarsa avvenenza che per mancanza di dote, cosa che le collocava
automaticamente fuori dal mercato matrimoniale. Non era la prima
volta che si recava lì. Spesso aveva invitato alcune di quelle
giovani donne, non certo bellissime o ricche, perché potessero
divertirsi come le altre. Non avendo interesse particolare nei
confronti di nessuna, poteva scegliere più liberamente una compagna
per le varie danze o scegliere di non danzare affatto, come spesso
era accaduto. Appena si avvicinò a quel nutrito gruppo, sentì
molteplici occhi speranzosi posarsi su di lui. Non bastasse il suo
titolo o la sua ricchezza, era la sua avvenenza a far sì che
raccogliesse molti consensi tra le nobildonne. Sapeva di essere
bello, con due genitori come i suoi non poteva essere altrimenti ma
la sua bellezza, per lui, era quasi un fastidio, era un qualcosa che
lui non apprezzava più di tanto volendo dimostrare di essere prima
di tutto un uomo degno di raccogliere l’eredità del duca di
Tresham. Diede un’occhiata distratta. Si sentiva un po’ in colpa
per quello che stava per fare ma d’altronde sarebbe stato uno
scambio equo. A lui serviva una compagna discreta, con cui ballare
semplicemente senza necessità di dover parlare. La lei in questione
avrebbe avuto l’occasione di ballare con l’erede di Tresham
invece di fare da tappezzeria. Questo calmò la sua coscienza. Guardò
le probabili candidate e il suo sguardo si posò su ognuna di loro
per un breve momento. Era deciso ad invitarne una qualsiasi ma poi,
dopo averla sfiorata con lo sguardo tornò sull’unica, forse, che
non lo stava guardando speranzosa, anzi, sembrava quasi terrorizzata
alla prospettiva di essere notata. Simon ne fu colpito; chi era
quella donna che non ambiva a danzare con lui? La guardò meglio.
Sicuramente era una nobildonna impoverita costretta a fare da dama di
compagnia. Si avvicinò e notò un corpo informe, nascosto da un
vestito grigio tortora molto accollato. Non si vedeva un solo lembo
di pelle nuda; era quella vestita più miseramente e in maniera meno
vistosa. Inoltre aveva coperto i suoi capelli con un’orribile
cuffietta; sul viso portava degli occhiali che la facevano sembrare
un topo di biblioteca. Sorrise tra sé: proprio quello che faceva al
caso suo, una donna bruttina, scialba, che non avrebbe fatto domande
né intavolato una conversazione. Si avvicinò e vide che parlottava
con una sua vecchia conoscenza, la baronessa Rodelsky. Ottimo, poteva
ottenere una presentazione. Salutò la baronessa. «Lady Roslyn,
posso chiedervi di presentarmi la vostra amica? Non credo di
conoscerla».
Le gentildonne presenti smisero di parlare dietro ai
ventagli e lo fissarono. La delusione era presente in molte di loro;
anche la baronessa era evidentemente delusa ma decise di fare buon
viso a cattivo gioco. «Ma certo Lord Simon, vi presento la mia dama
di compagnia, Celeste Bowman». La donna in questione ancora non lo
guardava, era come se, fingendo di non essersi accorta di nulla,
potesse farlo sparire. Lui ebbe il dubbio che non fosse molto
sveglia, comunque insisté. «Signorina Celeste, è un piacere
conoscervi. Potrei avere l’onore di ballare con voi il prossimo
valzer? Sempre che non siate impegnata» si affrettò ad aggiungere.
Quella precisazione fu da gentiluomo; tutti sapevano che in quell’ala
sostavano le donne meno affascinanti e ricercate, era quindi molto
probabile che fosse libera. La dama si voltò finalmente verso di
lui; a Simon sembrò un cerbiatto spaventato. Per un momento temette
che volesse rifiutarlo ma poi, in un sussurro appena accennato,
rispose semplicemente «Onorata milord» e posò una mano sulla sua.
Simon, soddisfatto, la strinse per condurla a ballare. Camminarono
insieme, vicini, lei con la testa bassa e lui che cercava di
scrutarla e vederla in viso. Gli mostrava solo quella vecchia cuffia
orribile. Si misero al centro della sala; il ton stava spettegolando
e chiedendosi cosa gli fosse saltato in mente di invitare quella
poverina, avendo trascurato delle vere e proprie bellezze. Quella
donna, intanto, alzò leggermente la testa ma rimase a fissare la
spilla che chiudeva il suo fazzoletto. Simon cominciava a perdere la
pazienza, era così goffa. Le strinse la mano meravigliandosi di
quanto fosse morbida e affusolata poi le mise un braccio dietro la
schiena per avvicinarla a sé. Rimase colpito dalla perfezione del
corpo e dalla vita sottile che andò a stringere ma fu nulla rispetto
ai due occhi turchesi che finalmente fissarono i suoi, occhi che
neanche quel paio di occhiali riuscivano a nascondere del tutto;
occhi bellissimi, grandi, chiari, orlati da lunghissime ciglia; occhi
che contrastavano con tutto il resto. Fu colpito non solo dalla
bellezza di quelle due perle rare e preziose, che stridevano
miseramente con il resto, ma anche dall’intelligenza e dal candore
che vi scorse. Rimase sorpreso e, per un attimo, senza parole.
Intanto il valzer attaccò e lui sentì l’insopprimibile esigenza
di stringere quel corpo flessuoso più vicino a sé; la sentì
irrigidirsi, mentre tremava con la mano nella sua.
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