Camminai per la 5th Avenue alla ricerca del look appropriato. Cercavo qualcosa di sobrio, di elegante, di casual-chic. Sorrisi ripensando a quella volta che decisi di interpretare il ruolo da star in incognito. Fu a Central Park, facevo jogging, un amico vestito da coach fingeva di allenarmi, un altro mi seguiva come a controllare i movimenti attorno a me. Cappuccio della felpa di una nota marca in testa, occhiali da sole, anche quelli griffati, calzoncini e scarpe ginniche mi rendevano irriconoscibile, non troppo però. Mi basavo sulle ultime tendenze di qualche star famosa per divertirmi a creare un po' di confusione. Resistevo fino all'arrivo di qualche paparazzo poi, come una vera star esausta per le attenzioni create, entravo in qualche auto con autista e scappavo nel traffico. Due anni prima ero stata inserita tra le pagine di un giornale scandalistico con un'identità niente male. Quel giorno provai una certa soddisfazione per aver preso in giro qualche collega.
Terminato lo shopping presi un taxi e tornai all'albergo. Il receptionist sorrise vedendomi entrare sommersa dalle buste; fece cenno al facchino e aggiunse: «Voglio essere presente quando indosserà i nuovi abiti, magari sorseggiando vino italiano.»
E io: «Sarà il benvenuto.»
Un amico una volta disse che non avrei trovato amicizie maschili flirtando. Avevo appena sottolineato la prevedibilità degli uomini quando mi azzittì con una battuta secca e, a essere sincera, opportuna. Spesso notavo quanto fosse naturale per me il flirt, era un linguaggio che nasceva spontaneo, solitamente incontrollabile e lontano dalla mia momentanea consapevolezza. Flirtavo con gli uomini, con le donne, con la vita. Corteggiavo me stessa attraverso molteplici travestimenti, saltuariamente mi domandavo a cosa servisse recitare ruoli diversi, forse era solo un gioco al massacro, eppure bastava ricordare le persone deliziose che avevo conosciuto grazie ai miei capricci per capirne il senso. Non so se esisteva una sorta di principio intuitivo intorno alla scelta del travestimento, forse la mente mi spingeva verso persone speciali o forse era solo il caso a guidarmi, eppure non ero solita dare meriti al destino piuttosto alla forza attrattiva di energie complementari che confluivano in un medesimo punto.
La camera mi accolse solitaria, scelsi alcuni brani e presi ad ascoltare musica, per sciogliere la durezza di certe assenze. Ero sola, anche fare l'amore con il receptionist mi avrebbe reso sola, tuttavia non avrei interrotto il gioco. Ero una donna forte, consapevole che la mia indipendenza era tanto meritevole quanto pericolosa. Con gli anni avevo accettato il fatto che per molte ragioni non era possibile appoggiarmi a un uomo, anzi il più delle volte erano stati gli uomini ad appoggiarsi a me e con il tempo ne avevo avvertito tutto il peso. Un peso leggero quando si provava amore, un macigno quando percepivo che ancora una volta sarei stata sola a prendere decisioni, a sistemare imprevisti, a gestire spazi comuni. Una leggera stanchezza mentale venne smorzata da un ritmo rap, la voce femminile incalzante, forte, cantava Go on, just go on now and look around with a smiling face.1
Il sound venne arricchito da un toc toc alla porta, Go on Lola, Go on.
Come prevedibile il receptionist sostava fuori con una bottiglia di vino sopra il carrello delle vivande.
«Buongiorno Madame, ecco il pranzo e la compagnia per il pranzo. Detesto pensare a una donna che mangia da sola» disse.
Sorrisi alla sua determinazione e alla mia malizia. Spinse il carrello all'angolo della camera. Mark, questo il suo nome, accostò le vivande a un tavolino vicino alla poltrona poi, con un gesto sicuro, si accomodò e con la mano mi fece sedere su di lui. Assolutamente a proprio agio prese a scoperchiare i piatti, afferrare del cibo e portarlo alla mia bocca. Non avevo avuto il tempo di togliere il soprabito, ma non passò molto prima che lo facesse lui stesso. A quel punto notò il vestito strappato, ma non chiese nulla, i suoi anni a New York lo avevano reso immune a ogni stupore, piuttosto considerò l'occasione un modo per realizzare qualche fantasia non ancora soddisfatta.
Mark aprì la bottiglia con estremo garbo e professionalità, versò il vino nei calici, brindò alla mia grazia e, dopo alcuni sorsi durante i quali non disse assolutamente nulla, fece scorrere la mano tra i brandelli del vestito. Bastò afferrare una parte e via, uno strappo deciso eliminò la stoffa dal corpo.
Con quel gesto realizzai una fantasia. Fu piacevole avvertire la forza di quell'uomo, necessaria a liberare ogni freno e ripulire la mente da pensieri solitari. Giocare non mi avrebbe fatto male. Ad armi pari non faceva mai male.
1 Vai avanti, vai avanti e guardati intorno con volto sorridente.
La creazione porta in tanti luoghi, il motore resta la curiosità, per se stessi, per gli altri, per i paesaggi che è possibile esplorare e per il desiderio di dedicarsi alle infinite rivelazioni del linguaggio. Cristiana crea contenuti, dalla parola scritta al video, immagina, assembla e trasforma, ascolta per rielaborare. Intervista, assorbe e libera. Creare contenuti è un’esperienza, un viaggio, un’occasione per cavalcare progetti e provare a renderli luminosi, colorati, fruibili e sensuali.
Storia professionale... e passionale?
Libera professionista, molto libera, una Laurea in Scienze Politiche, più di 15 anni di esperienza come Scrittrice, Content Strategist, Content editor, Copywriter, Storyteller come si ama dire ora. Ha curato progetti digitali per Web Agency, Media Company, Startup, Case Editrici e importanti brand. Ha scritto romanzi, guide, libri di racconti, blog, sceneggiature.
Pubblicazioni precedenti: Roma Perché Si Perché No, Newton Compton Editori 2010, Il teorema dell'amore perfetto, Newton Compton Editori 2010, 101 trattorie e osterie di Roma dove mangiare almeno una volta nella vita e spendere molto poco, Newton Compton Editori 2009, Microcosmi Erotici, Non Solo Parole 2007, Roma per le Strade di AA/VV, Azimut 2007.
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