«Un Burberry senza ghiaccio.»
Si siede di fronte al bancone del bar mentre stacca il cappello dalla testa.
«Mi spiace, non lo abbiamo» risponde il barista.
Franz guarda alle spalle del ragazzo, le bottiglie degli alcolici si riflettono su pezzi di specchi affissi ai muri. Intravede sé stesso, una metà del suo viso e la schiena ingobbita di un ragazzo forse di vent’anni che non sembra in salute.
Alla sua età, pensa Franz, papà lo faceva stare dritto, perché se avesse incurvato la schiena in presenza di estranei, poi erano botte. Slacciava la cinghia di cuoio e gliela menava sulle gambe, sulle braccia e, a volte, sulla schiena. La schiena era il pezzo peggiore, significava aver mancato di rispetto, e per mancare di rispetto a suo padre ci voleva poco, bastava una smorfia, o non rispondere immediatamente quando lo chiamava.
Tirava di schiena tre cinghiate, non di più. Persino in un linciaggio, un uomo maturo non resisterebbe a più di cinque o sei frustate. Il corpo cede. La mente si spegne.
«Allora un whisky liscio» come avrebbe detto suo padre.
Non beveva mai prima di incontrare gente, prima di doversi curare per farsi presentabile. Ma a fine giornata andava in quel suo locale preferito, ordinava un paio di whisky, li buttava giù velocemente e poi tornava a casa cantando il giuramento a Hitler delle SS.
«Ich schwöre Dir, Adolf Hitler, als Führer und Kanzler des Deutschen Reiches Treue und Tapferkeit. Wir geloben Dir und den von Dir bestimmten Vorgesetzten Gehorsam bis in den Tod. So wahr mir Gott helfe!»
«Okay, perfetto.»
La figura di un altro ragazzo lo distrae. Lo aspettava. Si siede di fianco ai due amici. Sono ragazzi della stessa età. Anche se seduti senza poggia schiena, tengono il busto abbastanza eretto, soprattutto colui che aspettava, quello che ha parlato con i ragazzi al tavolo e ne ha fatto scappare uno che poi ha urtato la sua spalla.
Pessimo umore.
«Abbiamo fatto incazzare la banda dei marocchini» dice uno di loro.
«Bene. Ora andate al parco a fare girare un po’ di fumo al posto di quei pisciatori» ordina il ragazzo per cui è venuto fin lì.
«Va bene» dice il terzo.
Arriva il whisky mentre gli amici del suo uomo si alzano.
Franz nota le strette di mano, sicure, forti. Loro emanano un profumo commerciale, misto agli odori di chi fuma sigarette e beve ogni ora il caffè per tirarsi su.
Il suo uomo fa un cenno con le dita al cameriere, che gli porta subito da bere.
Niente parole.
Michael si sente fissato, una sensazione spigolosa, come quando ti puntano una pistola alla schiena e anche se la canna non è a contatto con la tua pelle, la senti, come se fosse un’anima fatta di energia solare.
Prende il cocktail e lo alza in un gesto di brindisi nella direzione dell’anziano. L’altro fa lo stesso. Quel tipo gli ricorda le case antiche, quelle con quadri dei primi del ‘900 e i mobili che scricchiolano e sanno di robe nascoste.
È elegante, possiede un’espressione gentile e saggia. Quando gli occhi si posano sui suoi li schiaccia come certi cartoni animati, paiono ciglia di luna quando si è completamente svuotata dal riflesso della luce emessa dalla terra.
Fa per girarsi e tornare ai suoi soliti pensieri, quando quello gli dice: «Lo sapevi che Hitler è ancora vivo?»
7
Non sempre tutto va per il verso giusto. Oggi, poi, è una giornata di merda.
«Finirà» si dice.
Mette il guinzaglio a Pinko, che gli scodinzola intorno, ed escono di casa.
Mamma lo aveva portato via da una cucciolata, un’amica che non poteva permettersi di tenerne altri in giardino. Aveva accettato di prenderne uno con sé per compagnia, con lui si sente meno sola ma sa che appena le girano, lo chiude in bagno per non vederlo.
L’anno scorso Pinko aveva solo pochi mesi, era vivace, di notte girava per casa e si lamentava perché non c’era nessuno. Teresa aveva deciso che il bagno sarebbe stata la sua cuccia per un po’. All’inizio lo si sentiva abbaiare con una voce stridula, grattare con quelle sue zampine nere la porta.
Quando rientrava alle prime luci dell’alba, dopo le serate al Six East, lo liberava dal carcere di mamma, e Pinko era tutta una gioia, gli girava intorno, voleva essere preso in braccio. Uno Schnauzer taglia media molto vivace.
Teresa gli aveva lasciato una lettiera dove fare i bisogni ma non aveva mai imparato a usarla. Le aveva detto che non era un gatto, ma nemmeno lui sapeva se potesse realmente servire. Così lo portava a spasso, giravano il quartiere e sedevano a una panchina a osservare il sole levarsi oltre la tangenziale che allo scoccare delle sette si riempiva di macchine. L’odore malsano delle marmitte giungeva in poco meno di mezz’ora. Lo odiava.
Pinko tira il guinzaglio verso il prato delimitato dal marciapiede, sente l’odore di altri cani, forse anche dei gatti, ne è piena la zona. Carmine alza lo sguardo alla tangenziale, c’è meno traffico e le macchine sono fugaci brillii che scivolano nella notte.
È un anno che ci pensa, ha iniziato proprio in quelle mattine a spasso con Pinko, l’idea di andare via, avere una casa propria o in una zona tranquilla di Milano, magari in periferia per pagare meno l’affitto. Non hanno i soldi per una casa tutta loro, papà ha lasciato una esigua eredità ma Teresa con quella ha dovuto pagare i suoi debiti.
Hanno venduto la Mercedes per saldare un guaio il cui unico intestatario era mamma.
Loro erano già divisi, ma si comportavano come se fossero ancora insieme. Papà, però, aveva perso il lavoro, un brutto colpo, una di quelle cose che non ti aspetti. Il suo rimedio alla delusione era passare intere giornate a sbronze e sesso.
Mamma sapeva della droga.
Mamma sapeva tante cose.
Così lei si è accollata un prestito per aiutarlo.
Scuote la testa, meglio non ricordare. Teresa non gli ha mai detto veramente nulla di quella storia, solo accenni, che poi erano le sue grida da arrabbiata per dare tutta la colpa al suo vecchio, per fargli capire che potevano stare meglio, che lui aveva rovinato la loro vita.
Fanculo.
Basta rimorsi.
«Andiamo di qui.»
C’è un piccolo parco, una zona di case popolari, sul fianco ci passa una strada che di giorno fa impazzire gli automobilisti. Se va dritto arriva a Corsico, Trezzano o, alle sue spalle, Lorenteggio.
Pinko tira, ma Carmine si ferma su una panchina. È tardi, troppo tardi per stare fuori. L’aria è fresca, si respira bene, forse anche grazie al verde, e agli alberi che con il vento portano frescura. Si chiede per quale cavolo di motivo li taglino in città che poi tutti si lamentano per il caldo eccessivo.
Brontola tra sé il suo dissenso mentre si accende una sigaretta. Non gli piace farsi vedere in giro con l’elettronica, pensa sia da sfigati. Si fuma quelle con la paglietta dentro, da veri uomini.
Anche i latinos seduti sull’altro lato, intenti a bere birra e passarsi la droga, fumano ridendo a battute nella loro lingua.
Li guarda di sottecchi per non destare sospetti. Hanno una radiolina, sputa fuori la loro musica, qualcuno danza con una bottiglia di birra in mano, un sorriso a mille denti. Forse ci sono un paio di donne. Si divertono.
Forse anche quella è droga che arriva da Michael, dal suo piccolo grande impero. Non lo sa, se ne fotte. E poi Michael vuole che ne stia alla larga, che con quei giri si rischia di morire.
Si chiede se sia stato uno dei suoi a uccidere quel marocchino, l’altro giorno.
Pinko annusa dei fili d’erba, con i dentini cerca di strapparne alcuni. Lo vede grazie alla luce di un lampione.
Poi arriva un messaggio. È Miriam.
Ehi. La pausa sigaretta senza di te non è la stessa…
Eh già… a chi le scrocchi ora?
Posa il cellulare sulla panchina. Aspetta.
Serio fissa il cielo, ci sono strati di nuvole piatte, rarefatte, però le stelle sono visibili. Poche, non molte, alcune brillano intensamente. A scuola ha saputo che quelle più luminose sono pianeti.
Ne vorrebbe sapere di più ma il bip del cellulare lo distrae. Getta fuori il fumo e guarda il messaggio.
Senti, mi dispiace per oggi. Mi hanno detto che Mario è stato un vero stronzo.
Se vuoi posso parlargli e…
Fa un sospiro e poi scrive.
Non servirebbe, sai che mi odia. Aspettava solo l’occasione buona per cacciarmi. Ma sì, chi se ne frega, quando sarò il nuovo Tarantino pagherà per vedere i miei film!
Ridacchia tra sé.
Pinko si è seduto a guardarlo, respira con la lingua di fuori. È buffo, gli fa tenerezza.
«Stai bene tu» gli dice, e quello prende a scodinzolare da fermo.
«Mangi, bevi, caghi e pisci, e nessuno ti dice quello che devi fare. Nessuno ti licenzia. Nessuno ti tira calci nel culo. Lo sai che sei fortunata?»
Arriva un altro messaggio. C’è una faccina che ride di gusto e poi il testo.
Se ti serve un’attrice sappi che alle medie ho fatto la regina della notte nell’opera “Il Flauto Magico”. Okay, devo rientrare che sennò cacciano anche me. Ti scrivo.
Carmine si alza, tira l’ultima unghia di sigaretta e si incammina verso casa, fuori dalla luce sicura del lampione, inghiottito dalla notte e da una musica latina che allontanandosi si abbassa, fino a non rimanerne niente.
Sulla strada, al di là delle cupe palazzine avvolte dalle tenebre, sfreccia un’ambulanza.
Alza di nuovo la testa al cielo chiedendo qualcosa a un dio che forse sta lì, che forse li guarda, che forse può fare qualcosa ma che al momento non sembra interessato alla sua misera vita.
Il telefono gli vibra in tasca. Prima di controllare, cammina resistendo alla voglia di un’altra sigaretta. Poi guarda, è di nuovo lei.
Ma quindi, ora, sparirai per sempre?
Sorride. Quella è una freccia che gli ha aperto il cuore, senza lederlo.
Scrive di getto, senza pensarci.
Sì. Ma prima ti porto a mangiare sushi.
All you can eat, ovviamente, che non ho più una busta paga.
Mette una faccina triste.
Fa in tempo ad arrivare a casa prima della risposta di Miriam. Riesce a immaginarla scrivere una parola dopo l’altra mentre serve cocktail e parla alla gente.
Speravo una cena a lume di candela, ma come primo passo può andare.
Domani sera?
Apre il cancello e sale fino a casa. Mamma dorme. Forse dorme già dalle nove.
Libera Pinko e gli dice di fare il bravo che è l’ora del sonno.
Chiude la porta della camera e si siede sul letto. Dal cassetto tira fuori una cornice: la foto di suo padre. Dietro c’è scritto il nome e delle date.
Gennaro Esposito. 17 – 01 – 1960, 21 – 03 – 2009
Posa sul comodino la foto di un uomo che fuma una sigaretta poggiato al cofano della sua Mercedes. Anche se a volte lo odia, in fondo quello è sempre suo padre.
Arriva un altro messaggio. Di nuovo Miriam.
Ok, Quentin. Buona notte.
Al termine del testo c’è una faccina gialla che gli manda un bacio col cuore.
Marcello Iori vive e lavora a Bournemouth (Regno Unito) dal 2018. Ha pubblicato il suo primo libro nel 2007, un fantasy dal titolo 5 (Firenze Libri). Per i successivi dieci anni si occupa di benessere e cucina naturale. Continuando a scrivere nel tempo libero, dopo un lungo periodo di silenzio, decide di proporre di nuovo i propri scritti agli editori. Nel 2018 pubblica Il Ponte Oscuro dell’Anima (Il Seme Bianco) e nel 2019 la prima parte di una serie fantasy: Terre Deus Dominus Vol. 1 - Uno Yogi, l’Apprendista e il suo Falco (Lettere Animate). Gestisce il blog lastradaperilrisveglio.it
Antony Piemontese (nome d’arte) attualmente lavora come editor per Marco Montemagno. Nel 2010 decide di frequentare il corso di regia e sceneggiatura presso l’accademia nazionale del cinema a Bologna. Da lì inizia ad avvicinarsi alla settima arte e prova a cimentarsi nella realizzazione di vari cortometraggi, iniziando a collaborare con vari film-maker milanesi.
Realizza nel 2013 il suo primo cortometraggio What’s up finalista in alcuni festival. Nel 2014 realizza la puntata pilota della web-serie Domina xx, da cui è stata tratta una serie tv in trattativa per la realizzazione. E sempre nel 2014 realizza il cortometraggio Una libbra di carne, premiato da Gigi Proietti.
Negli ultimi anni si dedica al video-making realizzando diversi videoclip musicali e video fashion per diversi marchi di moda.
Si dedica alla scrittura di alcuni film e serie tv, tra cui Milano Violenta.
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