È dal 1864 che Camille Harrys ha l’aspetto di una diciottenne, da una notte di dicembre in cui la sua mortalità le è stata strappata senza consenso, una notte che ha sconvolto tutta la sua esistenza.
Tutto questo non può essere vero, si disse.
Camille risollevò lo sguardo sui suoi occhi, sentì le gambe cedere quando li trovò ancora una volta pece. Non c’era l’iride, non c’era la sclera. Erano una stella oscura.
E un attimo dopo erano di nuovo quelli di sempre: verdi, nocciola e tremendamente incantatori, capaci di costringerla all’immobilità, come se stessero suonando la stessa melodia del pifferaio di Hamelin, legandola al volere di lui e annullando il proprio.
È solo un incubo.
Uno di quegli incubi tra il sonno e la veglia, dove il corpo non si è ancora messo in moto e non si può fare altro che assistere impotente allo spaventoso sogno che si fonde con la realtà.
Svegliati, reagisci.
Ma la musica continuava a suonare, e lei restava ipnotizzata.
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