Respiro Readers
vi segnaliamo il romanzo
dell'autrice italiana Giulia Raggiante.
TITOLO: Rubai per te le stelle
AUTRICE: Giulia Raggiante
CASA EDITRICE: Self Publishing
GENERE: Romance Contemporaneo
PAGINE: 364
PREZZO EBOOK: 7.99
PREZZO CARTACEO: 19.00
DATA USCITA: 28 Aprile 2019
Ci sono anime destinate ad incrociarsi per tutta la vita, come se ancor prima della nascita fossero state legate da un impercettibile e trasparente filo d'acciaio impossibile da tagliare o da eludere. Giulia e Luca avrebbero giocato con quel filo per tutto il corso della loro esistenza, condizionandosi a vicenda, fuggendo dagli schemi, imponendosi strade diverse nell'ingenuo tentativo di raggirare il proprio destino. Quel destino che invece, beffardo, si era preso gioco di loro sin dal primo istante. Era lì che li aspettava, prepotente e deciso a vincere sopra ogni cosa, a dispetto di ogni principio, di ogni decisione presa, di ogni strada percorsa. Un viaggio nella vita e nella mente di Giulia, che imponendosi una relazione sin dall'adolescenza, in un paradosso psicologico, disegna per Luca una strada per la felicità, ritrovandosi ad inciamparci sopra.
1.
E' sempre stato così con lei, con una telefonata tutto comincia, tutto torna, tutto si sviscera, e poi,
come per magia, tutto si chiarisce e si schiarisce agli occhi e all'anima come l'alba di ogni mattino, a volte
fioca, a volte accecante.
«Ciao Gaia ti disturbo?».
«Ehi tesoro, no sto a casa, ho appena portato fuori Romeo per i suoi bisogni e Alessio é al lavoro,
come al solito. Ma é successo qualcosa?».
«Si Gà».
Così la chiamavo per intimità, per affetto, così come ho sempre abbreviato i nomi di chi più mi stava
a cuore.
«Ho scoperto una cosa assurda! Ti ricordi di quel misterioso braccialetto di cotone rosso che trovai
nella tasca del giubbotto? Pensando che fosse un qualche tipo di buon auspicio perché non avevo idea di
come ci fosse finito lì? Ti dico solo che ho scoperto adesso, dopo quanto? Due anni? Che non era un
segno divino, ora so esattamente come ci é arrivato e chi ce l'ha messo».
«Dai Giulia! Non ci credo! Dimmi chi ce l'ha messo! Sono curiosissima!».
Lei é sempre stata così da quando l'ho conosciuta, curiosa, felice di scoprire, di sapere, di interagire
allegramente in tutte le sfaccettature ironiche della mia vita. Gaia é una psicoterapeuta, ci siamo
incontrate 8 anni fa, perché moglie di Alessio, uno dei miei amici "di mare", non avrei mai immaginato
all'epoca, il percorso che avremmo fatto insieme, il senso di pienezza e grandezza che la nostra vita e la
nostra amicizia ci avrebbe riservato, così come, mai avrei immaginato che la mia vita sarebbe stata questo
turbinio di sali e scendi pazzeschi, una sorta di montagna russa imposta, a me, che nonostante il costante
bisogno fisico e mentale di adrenalina, le montagne russe m'avevano sempre terrorizzata.
Il suo tono allegro si ruppe nel giro di un microsecondo, non ebbe nemmeno il tempo di crearsi
l'aspettativa a sorpresa che subito sbottò : «No vabbé! Luca! Ma che palle!».
«Si Gà! Credici! E' assurdo! Quell'uomo é assurdo!».
«Scusa ma mi spieghi come ci é finito lì? E quando? Uomo... ma quando mai é stato uomo quello».
Che casino, ricostruire sempre tutto, quella storia infinita, che credo non finirà nemmeno quando
smetteremo di respirare, andrà avanti ancora e ancora, per tutti i secoli dei secoli - Amen.
Che palle, aveva ragione. Non sarei mai stata capace di liberarmi di tutto quel peso, di tutto quel
vissuto, che nonostante le mie imprese titaniche, la mia voglia di vivere, il mio continuo migliorarmi in
tutto e per tutto, era sempre lì, come poggiato nel fondo del mare, sopito, ma pronto ad irrompere in
qualsiasi momento per dare fastidio, per disordinare, disorientare, creare angosce, cercare di riemergere
per respirare e crearsi nuova vita.
Come questo, a distanza di ulteriori due anni, ancora una volta, colpo di scena, pereppé!
UNMEI NO AKAI ITO, vale a dire la leggenda del filo rosso del destino, é probabilmente la più
conosciuta di tutte le leggende giapponesi.
E' un'antica leggenda orientale che racconta come le anime gemelle siano legate da sempre e per
sempre da un filo sottilissimo, legato al mignolo della mano sinistra oppure, secondo alcune versioni, alle
caviglie. Il filo rosso del destino unisce in maniera indissolubile due persone a dispetto di differenze di
età, di ceto sociale, di luogo di nascita o di residenza: é un legame indistruttibile, insomma, più forte di
tutti e di tutto. Il filo rosso in certi casi può essere estremamente lungo e per questo motivo può
intrecciarsi, aggrovigliarsi, annodarsi: sono le difficoltà che possono minare un rapporto, renderlo
complicato, che possono rischiare di comprometterlo. Due anime che sono destinate a congiungersi,
comunque, lo faranno in un modo o nell'altro ed ogni groviglio che sarà sciolto, sarà il superamento di
una difficoltà o di un ostacolo frappostosi alla felicità dei due amanti. Il legame diventerà più forte, più
vivo, più autentico e durerà per sempre.
Ce lo aveva messo Luca il braccialetto in quella tasca, ormai mi era chiaro, mi era chiaro tutto, il
momento in cui l'aveva fatto, il luogo, tutto.
Il fatto veramente allucinante é che avrei potuto rendermi conto di tutto questo da subito, ma é così la
vita, un po' stronza, ti mette quel tutto sotto gli occhi per poi nascondertelo, riderci un po' su e
riconsegnartelo chissà quando.
«Ti ricordi quando ti dissi che io e Luca ci eravamo messi in testa di scrivere un libro sulla nostra
storia? Ci mandavamo mail con pezzi da risistemare ed assemblare, era primavera, periodo terribile per
me con il lavoro e con l'inizio dei week end sempre fuori. Bene, per la foga di scrivere io non leggevo
mai ciò che mi mandava, andavo avanti con i miei ricordi e con le mie parole pensando che poi avrei
letto tutto e avrei cercato di mettere insieme le due versioni.
Non l'ho mai fatto. E' arrivata l'estate e corri, scappa, parti, monta, smonta, torna, mi sono scoperta
incinta, poi l'aborto spontaneo, insomma mi sono dimenticata di tutto. E stasera che mi era tornata in
mente la voglia di scrivere, mi sono detta, vado a riprendere quei pezzi, li leggo e vedo cosa ne posso
trarre di buono, ho letto il suo, sono sconvolta Gà».
«Leggimelo! Che dice?».
«Era uno dei pezzi da sistemare, era attuale, ci saremmo sicuramente incontrati in quei giorni perché
dovevo ritirare dei documenti dal suo capo, é capitato un paio di volte che in quelle occasioni ci siamo
fermati fuori pochi minuti a parlare del più e del meno, niente di che, gli ho sempre spento ogni tipo di
pensiero, amo Ivan, per me sta davanti a tutto e tutti, lo sai Gà. Ivan viene prima di tutti, anche di lui, ad
Ivan non ho mai nascosto nulla di tutta questa storia, anzi, ma evidentemente questa cosa Luca
nonostante glielo avessi ripetuto più e più volte, non l'aveva recepita, qualche sogno ancora se lo stava
facendo, lo sai com'é, si mette a pensare e ripensare, premeditare, vabbé senti che scrive:
"Il momento arriva. Non la bacerò, promesso. Non le mancherò di rispetto. Ma il bracciale glielo
metterò in tasca. Lo troverà e capirà. Ma mica sono Lupin. Non sarò capace. I film li lasciamo ad altri.
Io glielo darò e le dirò che al decimo anno preciso ci troveremo al nostro posto al calare della sera. Io ci
sarò. Vedi di esserci."
«Madonna Giulia!!! E tu che per due anni non l'hai mai letto e te n'eri pure dimenticata! Vabbé ma
scoprirlo adesso che senso ha?».
«Ah boh, non ne ho idea! Il pensiero che mi viene oggi é: vigliacco come al solito alla fine non ce l'ha
fatta a darmelo e me l'ha infilato in tasca. Sicuramente é una cosa bella, ma non ho idea di che cosa
possa significare averlo scoperto stasera, così per caso».
Noi due eravamo così, sempre unite nella nostra convinzione, che qualsiasi cosa ci accadesse avesse
un senso, che fosse un segnale da chissà quale mondo lontano per dirci chissà cosa.
«Per di più» ridevo, «Gà, chi cazzo si ricorda che giorno fosse quello!! Ahahah!! Aspetterà all'infinito
tra 8 anni!! E il braccialetto non so nemmeno che fine abbia fatto, me lo trovai in tasca sicuramente
l'inverno dopo e non mi ricordo poi dove l'ho messo. Mi ricordo solo che arrivò il caldo e quel giubbotto
lo ripresi a distanza di molti mesi a freddo inoltrato.
E adesso mentre stiamo al telefono sto rivoltando tutti i posti per trovarlo, ma cavolo non c'é!».
«vabbé tesò, sicuramente verrà fuori, come sempre, quando meno te lo aspetti!! Ci aggiorniamo
domani allora!».
2.
Io e Luca ci conoscevamo da sempre, i suoi genitori - per me zia Ida e zio Fabio - erano amici di mio
padre ma soprattutto dei miei zii, le nostre vite si sono sempre incrociate, avvicinate ed allontanate, a
volte anche per lunghi periodi, ma restando continuamente impigliate in qualcosa, che ci ha sempre
tenuti legati sin dai giochi ingenui da bambini, a quelli demenziali dell'adolescenza, a quelli perversi
dell'età adulta.
Seduti per terra a giocare, nell'epoca in cui i miei amici per forza di cose, erano i figli degli amici dei
miei genitori. E le cuginette la mia vita. - La stai prendendo proprio da dietro! - conoscendolo come le
mie tasche sono certa che quando leggerà, mi dirà così. E me lo dirà. E io riderò, come sempre.
Ci sono ricordi nitidi che ci porteremo dentro per tutta la vita e che credo non scoloriranno mai, per
quante emozioni ci hanno regalato, per come, loro malgrado, ci hanno cambiato.
Per come hanno cambiato il corso delle nostre vite.
I miei genitori erano già separati, e mio padre aveva diritto ai week end ed alle feste comandate, con
l'aggiunta di un mese intero durante le vacanze estive.
E a quei week end con mio padre, io associavo i momenti più belli della mia esistenza, le mie cugine -
Adele e Martina - ed i miei zii, perché era con loro che passavo quelle giornate. «Forza! in macchina!»
zio Gianni esclamava col suo tono autoritario, l'unica cosa che potesse dargli autorità, perché era di fatto
un uomo meraviglioso. L'uomo più buono, più perfetto che io abbia mai conosciuto. E il suo amore per
mia zia Elvira. La loro storia. Il loro matrimonio fantastico. Li ho sempre ammirati per questo. Un
amore grande e forte. «Dove stiamo andando zio?». «Da zia Ida e zio Fabio». Felicità. Io e Martina con
gli occhi a cuoricino. Gli occhi a cuoricino a sei anni. «Giulietta allora facciamo che prendiamo le forbici
e Luca lo dividiamo in due, metà a me e metà a te. Tu quale parte vuoi? La metà di sopra o quella di
sotto?». Già a sei anni capivo che mia cugina non era molto portata per la matematica anzi per la
geometria: «Eh no scusa lo dividiamo a metà da sopra a sotto così facciamo destra e sinistra e abbiamo
tutte e due una metà per intero». Io, un'artista delle soluzioni. Già, Luca piaceva a tutte e due. A sei anni
puoi solo vivere con i pensieri che ti fai sulle favole che ti raccontano, e lui era il mio principe, quello
azzurro. Il principe delle mie favole.
Adele invece già era superfidanzata con suo fratello Fabrizio. A 8 anni. Fu il suo primo fidanzatino.
Ed é così, con loro, che ho passato tutti i momenti più belli della mia infanzia fino all'adolescenza,
dalle feste di Natale, ai compleanni, ai semplici incontri del sabato sera, noi, insieme sempre, i momenti
più belli del tempo con me a cui mio padre aveva diritto. Ricordo l'ansia mista a felicità che mi prendeva
quando scoprivo che le nostre famiglie avevano organizzato un'ennesima occasione per stare insieme,
ricordo la mia sensazione di inadeguatezza, più crescevamo, più mi piaceva, più mi sentivo brutta, più
facevo i conti con la realtà, o forse con le mie convinzioni, che a lui invece, piacesse Martina. Lei, o
almeno così come l'ho sempre vista io, più spigliata di me, più bella di me, più magra di me, più
esuberante di me, nel vestire, nel parlare, più tutto di me insomma.
Oggi invece, so per certo che non sempre ciò che vediamo di noi stessi, é ciò che vedono gli altri di
noi, e spesso, succede che ci convinciamo così fortemente di qualcosa tanto da farla sembrare reale ai
nostri occhi, e quindi, ci comportiamo di conseguenza. Stupidamente.
Ecco, in una di quelle sere, avrò avuto più o meno tredici anni, mentre eravamo in giardino a casa dei
miei zii tutti e tre a chiacchierare, fui certa di essermi ormai tuffata di testa in una piscina vuota con il trip
a me piace lui, a lui piace lei.
Era figa mia cugina Martina. Io invece mi sono sempre sentita il brutto anatroccolo della situazione,
per di più lui non perdeva occasione per prendermi in giro, e spesso si capiva che mi sopportava poco.
Certo, probabilmente insopportabile lo ero pure, adolescente e alla prima cotta.
Fu così che ad una delle sue battute stupide, scoppiai a ridere mentre bevevo un'aranciata, insieme
alle risate mi ci scoppiò anche la faccia, l'aranciata cominciò a scorrermi a fiumi dal naso, ed io, mi
convinsi che tra me e Martina, ohimè, quel posto accanto a Luca, lo aveva ormai occupato lei.
Ricordo la tristezza dei capodanni passati a pensarli felici insieme in montagna, la rassegnazione, e poi
la gioia al loro rientro, quando puntualmente mia cugina tornava e mi raccontava la loro vacanza, e
apprendevo da tutti quei resoconti, che tra loro, non era ancora scattato nulla.
E non scattò mai quella scintilla. Ho sempre pensato che fosse stato uno stupido, perché per me
Martina piaceva a tutti, era impossibile che non piacesse anche a lui.
Ricordo le nostre Pasquette passate con i loro amici, erava-mo un gruppo gigantesco tra gli amici di
Fabrizio, i suoi, i nostri. I Doors sparati a tutto volume, eravamo pazzi entrambi della loro musica.
Ricordo, i nostri giorni d’estate. Le corse che ci facevamo dalla villa fino a tuffarci in mare, a volte mi
pare addirittura di sentirne ancora gli affanni, le nostre urla lontane di felicità. Il Salento. Quel mio tanto
amato Salento. La mia terra.
In un’altra vita sono certa di essere nata e vissuta lì. Con gli occhi stregati davanti a quel mare.
Il mare, il fulcro di tutta la mia esistenza. L’unico vero grande e forte compagno che riempie e
sorregge la mia anima. Da sempre. E per sempre. Il mare, il mio primo forte legame con Luca. Lo
sentivamo scorrerci dentro nello stesso modo.
3.
«C’é vento muoviamoci. E tu che vuoi fare? Te ne vuoi venire con noi a mare?». Fabrizio urlò in un
giorno di primavera. Lui e Luca facevano windsurf. Lo sport del vento e delle onde.
Ricordo che non esitai un istante. Avevo più o meno quattordici anni. Fabri aveva da pochissimo
avuto la patente. Ero felicissima. Avrei visto Luca volare.
Vidi Fabri super attrezzato, in piedi sul muretto della spiaggia, con il braccio alzato al vento ed uno
strano strumento in mano. La statua della libertà gli faceva un baffo. Era un anemometro, misurava la
velocità del vento. E ce n’era di vento. Almeno secondo la mia ignoranza. C’erano sedici nodi e si poteva
uscire. Li avevo sentiti parlare a volte di giornate con 30 nodi, quindi capii subito che quei 30 nodi
dovevano essere una specie di potenza esagerata del vento, se già a sedici per me era insostenibile sulla
spiaggia, con quei capelli che mi frustavano il viso.
I fratelli Lombardi - questo era il loro cognome - erano affiatatissimi, stavano sempre insieme, e
condividevano tutto, gli sport le passioni, gli amici. Erano inseparabili. Parlavano tra loro in una lingua
strana, fatta di parole per me bizzarre, boma, streps, trapezi, cime, io li ascoltavo attentissima, cercando
di capire ogni cosa, ma spesso non ci capivo una mazza.
«Dai sbrigati, che già si plana, cazza un po' di più il boma ed entriamo».
Quanta foga nella preparazione. Luca esagitato, si affannava a far tutto di fretta, ma col sorriso di un
bambino che sta per scartare il suo regalo.
E’ questo che mi faceva impazzire di lui. Luca in acqua che volava, ops, planava, felice. Quel sorriso
spensierato, quella forza e quell’energia così tanto esagerate che arrivavano fino a me, spettatrice dalla
riva. Quando uscì dall'acqua mi venne incontro con un sorriso meraviglioso, gli brillavano gli occhi,
furono quegli occhi, che m'incantarono per il resto della mia vita.
Uscirono dall'acqua stremati dopo ore, come se avessero combattuto chissà quale guerra, e dalla
felicità dei loro occhi infuocati capivo che quella guerra sicuramente dovevano averla vinta. - Beati loro,
é uno sport da maschi. Loro possono farlo. Io no - pensai.
Sono sempre stata una che di femminile ha solo i capelli, lunghi e ricci, ed un paio di tette. Sono
sempre impazzita per cose strane, tipo questa. Non da femmine. Non ho mai avuto niente da
condividere con le ragazze della mia età, tutte prese da trucchi, vestiti e tagli di capelli. Io no. Ero diversa.
Sono sempre stata diversa.
I miei capelli? Pettinati solo per pietà quando me li lavavo.
«Papi dopo le medie voglio andare alla Lindemann, voglio diventare pilota di aerei».
L’espressione di mio padre dopo questo affronto fu assimilabile a quella di un pazzo omicida in
qualche film dell'orrore. Stessa espressione sul volto di mia zia alla richiesta di Marti di andare al liceo
artistico.
Fu dichiarato lo stato di guerra fredda in famiglia. Conclusosi dopo breve tempo con un complotto di
mio padre e di sua sorella nei nostri confronti. «Andrete insieme a ragioneria, abbiamo chiesto di
mettervi nella stessa classe, vi piacerà, e poi é la scuola di Luca».
Ed eccoci fregate entrambe.
Non mi dimenticherò mai il nostro primo giorno di scuola, eravamo nel piazzale antistante le scale
d’ingresso, gremito di pischellini in attesa di essere chiamati, una bolgia incredibile, io e Marti insieme in
questa nuova avventura, e Luca, che dietro imposizione dei genitori, ci accompagnava.
Luca, insieme a noi, mano nella mano.
Fino all'ingresso di quell'enorme androne nel quale ci perdemmo nel giro di pochi minuti.




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