Respiro Readers
vi segnaliamo la nuova uscita del romanzo
dell'autore italiano Ferdinando Salamino.
TITOLO: Il kamikaze di cellophane
AUTORE: Ferdinando Salamino
CASA EDITRICE: Prospero Edizioni
COLLANA: Prospero Romanzi
GENERE: Noir Psicolgico
PAGINE: 208
Cosa
può trasformare un ragazzino mite e amante dei libri in un killer
implacabile?
Cresciuto
all’ombra di un padre violento, umiliato dai compagni di scuola e
rinchiuso per quasi tre anni in un ospedale psichiatrico, Michele
Sabella è sopravvissuto aggrappandosi all’amore per Elena, una
paziente anoressica conosciuta in istituto.
Quando
Elena tenta il suicidio, Michele decide di dare la caccia al
carnefice silenzioso che la sta spingendo oltre la soglia della
follia.
Per
farlo, dovrà liberare i propri “demoni di cellophane” e
abbandonarsi alla violenza dalla quale era sempre fuggito.
Per
quelli come me arriva sempre il giorno. Quello in cui uccidi o ti fai
ammazzare, o entrambe le cose.
Perché
alla fine è tutta una questione di impulsi, capite?
Di
impulsi e di controllo.
Prendete
due bambini in una sera d’estate, una di quelle dove l’aria è
una colata di pece sulla pelle e l’unico rumore è lo sfrigolio
degli insetti giustiziati dalle zanzariere elettriche. Due bambini
come tanti, sui sette anni, vestiti con una canottiera a righe
orizzontali e un paio di pantaloncini di spugna. Due bambini punti da
un pappataci nella canicola di agosto. Immaginateli piagnucolare per
il prurito, correre dalla mamma, sedersi sulle sue ginocchia. Pensate
a questa mamma che sorride, estrae la pomata dalla borsa di vimini e
la spalma con cura sul braccino.
“Non
grattarti, tesoro. Tra due minuti passa”.
Bacio
sulla fronte. Carezza sulla testa.
Il
bambino numero 1 getta un’occhiata al braccio. Gli prude da morire,
ma non vuole disobbedire e dare una delusione alla mamma. Stringe i
denti, chiude gli occhi. Comincia a pensare alla squadra del cuore,
all’album delle figurine, al cartone animato preferito. Due minuti
dopo, tre al massimo, non sente più fastidio. La pomata ha fatto
effetto, come aveva promesso sua madre.
Il
bambino numero 2 non riesce a staccare gli occhi dal braccio. Cerca
di pensare ad altro ma non ci riesce. Il prurito è un chiodo
arrugginito piantato nella testa. Nessuno al mondo, a parte lui, può
sapere quanto pruda quel piccolo punto rosso.
Si
gratta.
Pianta
le unghie sporche di sabbia nella pelle e le trascina avanti e
indietro come un aratro, seminando sangue. Il prurito diventa
bruciore, il bruciore si trasforma in capriccio, il capriccio genera
la punizione.
Questi
due piccoli esseri umani non possono saperlo, ma i loro destini hanno
svoltato per sempre in direzioni opposte.
Il
bambino 1 impara che c’è una soluzione per ogni cosa e ci sono
persone che ne sanno più di te, desiderose di aiutarti; che con una
strategia efficace e un po’ di sacrificio qualunque risultato è
raggiungibile. Non avrà problemi a rispettare le gerarchie e fare
gioco di squadra. Uno così lo vogliono tutti. Potete predirgli un
futuro da architetto, medico, ingegnere.
Il
bambino 2 non tollera la frustrazione. Ha la pelle sottile e una
mente che si lascia sopraffare dai sensi. Che destino può avere,
questo squinternato? Delinquente, malato psichiatrico. Artista,
magari. Uno di quelli che fanno un sacco di soldi, da morti.
Impulsi
e controllo. Base e altezza. L’area delle possibilità di un essere
umano si misura in questo modo.
Devo
confessarvelo, se qualcosa prude io mi gratto. Sempre.
Perché
ve lo racconto?
Perché
sto per fare qualcosa di molto, molto impulsivo.
Non
avevo mai ucciso prima di stanotte e, se non stessi per morire io
stesso, credo lo farei ancora, per la magia dell’istante
conclusivo, quando capisci di aver esaurito i trucchi, bruciato
l’ultima carta.
Smetti
di lottare e ti senti pervadere da una strana calma, a volte persino
euforia.
Ti
spegni in un fiorire di luci abbaglianti, cori di angeli e persone
amate che chiamano il tuo nome e tendono la mano.
Non
c’è niente di mistico, sapete? Niente di spirituale. Il cervello
realizza che non c’è più nulla da fare e produce beta-endorfine
per prepararti alla resa. Muori annegato nelle tue stesse droghe,
convinto che tutto andrà per il meglio, mentre la verità è che
andrà e basta.
Allucinazioni
misericordiose, inganni neurochimici.
Ce
ne andiamo con le palpebre socchiuse e una parola di perdono sulle
labbra, per fare bella figura in quel Paradiso dove crediamo di
essere attesi; oppure guardando il cielo, per portare con noi la
bellezza del mondo.
Accettiamo
di essere vittime e lasciamo questo mondo con occhi languidi,
acquosi.
Quasi
tutti noi.
L’uomo
di fronte a me appartiene a una razza diversa. Quelli come lui non si
arrendono, non cercano la pace, né la concedono.
Diventano
fantasmi, pronti a perseguitarti per sempre.
Lo
capisco da come mi fissa, immobile, l’odio distillato nelle iridi.
Le storie di spettri e case infestate nascono da occhi come i suoi.
Se
lo sguardo terminale di un uomo è il codice a barre che lo
identifica nel supermercato dell’esistenza, lui e io apparteniamo
allo stesso scaffale. Siamo entrambi troppo corrotti, sporchi e
frantumati per sperare in qualche amnistia, nell’aldilà.
L’unica
differenza, tra noi, è che io sono il tizio con il rasoio in mano,
lui quello con lo straccio in bocca e il nastro da imballaggio
attorno ai polsi e alle caviglie. Ammetterete che non si tratta di un
dettaglio trascurabile.
Sono
certo che in questo momento stia maledicendo la propria passione per
le cose antiche, come il letto su cui è sdraiato.
Una
maestosa, indistruttibile struttura in ottone, esaltata dagli alti e
pesanti pomelli disposti sui quattro angoli, ai quali l’ho legato.
Le cose che possediamo, alla fine, ci possiedono, lo sentite dire
spesso, vero? Nel suo caso è solo un po’ più letterale. Sono
tentato di spiegarglielo, ma mi pare indelicato, considerate le
circostanze.
Pratico
un’altra incisione, appena sotto il capezzolo sinistro, e resto a
osservare quasi ipnotizzato il brillio scuro del sangue nella
penombra della stanza. L’urlo del prigioniero si estingue nella
stoffa umida che gli ho ficcato in gola, ma gli occhi mi fissano
ancora, senza tregua.
Quando
la polizia ci troverà, accatastati uno sull’altro in una pozza di
sangue, il contenuto di questa notte verrà catalogato come omicidio
senza movente, il classico gesto di un tipo 2 che non ha saputo
contenere i propri istinti.
Non
credeteci. Niente è senza movente. Si tratta solo di guardare
abbastanza lontano, scavare abbastanza a fondo.
Se
avrete la pazienza di farlo, vi accorgerete che non vi era altra
strada, per nessuno di noi, se non quella che ci ha condotti fino
qui.
Ferdinando
è nato nel 1971. La sua vita si divide tra Milano, dove è nato, e
il Regno Unito, dove esercita come psicoterapeuta e insegna
Psicologia all'Università di Northampton.
"Il
Kamikaze di Cellophane" è il suo primo romanzo.
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