Respiro Readers
vi segnalo il romanzo autobiografico
dell'autrice italiana Mirca Ferri.
TITOLO: Radici d'infanzia, ali di vita
AUTRICE: Mirca Ferri
GENERE: Autobiografico
CASA EDITRICE: Edizioni Eracle
Questo
libro parla di un luogo speciale dove ho trascorso la mia infanzia e
dove, da giovane, ho mosso i primi passi lavorativi.
Le vicende
narrate al’ interno di esso sono tutte realmente avvenute e di
talune, ancora oggi, non si hanno delle vere risposte.
E’ un
luogo antico che porta dentro se stesso misteri, magia e figure
leggendarie che prendono vita, alimentando la fantasia e talvolta la
paura di chi vi ha vissuto.
E’ la storia di diverse realtà
familiari, del mutamento di un Paese in perpetuo evolversi che si
scontrava con le lotte per i diritti civili dei più deboli e le
rigide regole contadine che vigevano allora.
Nel mezzo di tutto
ciò , in questo contesto bucolico e rurale, vi era un gruppo di
ragazzi che con la loro complicità e le loro avventure hanno saputo
abbattere ogni barriera sociale, consolidando nell’amicizia il più
onorevole dei valori.
CAPITOLO
3
Il
nostro villaggio
Durante
il periodo estivo avevamo la possibilità di stare tutti insieme fin
dal mattino permettendo alla nostra creatività di espandersi. Negli
anni ’80 la televisione trasmetteva programmi per bambini soltanto
al pomeriggio quindi trascorrevamo la maggior parte del tempo sempre
fuori casa.
In Azienda vi era una zona precisa, subito a ridosso
dell’ uscita posteriore del mulino, adibita allo stoccaggio di
rottami. Mio padre era un fanatico della ricerca di oggetti che
ritenesse utili durante le aste fallimentari. Comprava interi lotti
di materiale, anche se spesso la maggior parte di questo veniva poi
lasciato nella zona di cui sopra, in attesa di un suo nuovo,
possibile, uso.
Ripensandoci adesso trovo poetico immaginare che
un oggetto non nasca con una sola finalità di utilizzo, ma che
quand’essa diventi obsoleta, gli sia offerta
l’ opportunità
di trasformarsi e rinascere a nuova vita , nuovo uso e nuovo consumo.
Noi
ragazze rispetto ai maschi, avevamo più fantasia e le iniziative di
gioco e divertimento iniziavano sempre da una nostra idea;
quell’estate sentivamo il desiderio di crearci un nostro rifugio
dove poterci raccontare i pettegolezzi giocare a carte e bere di
nascosto la Coca cola.
Trovammo l’edifico apposito per il nostro
scopo proprio nella zona dei rottami, sulla parte destra.
Era un
pezzo di lamiera metallica che fu probabilmente la base di un vecchio
silos, con due aperture grandi ai lati e due rotonde più piccole.
Non aveva il tetto, e questo permetteva sia l’ingresso della luce
che dell’aria.
Era color rosso mattone, o meglio era
completamente arrugginito ma a noi piacque subito. Per renderlo
esteticamente gradevole avevamo appeso delle tendine bianche con
fiori azzurri a quelle che definivamo le finestre ( cioè i fori del
silos) e per rendere più comodo il nostro soggiorno all’interno di
esso avevamo portato dei piccoli sgabelli per sederci.
Passavamo
ore a sistemarla, decorarla e pulirla .
Con un paio di pallet di
legno avevamo realizzato il tavolo e ogni giorno mettevamo dei
fiorellini nel vaso che stava al centro di esso.
Essendo così
indaffarate nel nostro proposito, ignorammo per giorni il resto del
gruppo composto per lo più dai ragazzi. Tra di loro la maggior parte
erano filarini
, come si diceva allora, di mia sorella e della nostra amica più
grande, perciò iniziarono a seguire i nostri vari spostamenti perché
non accettavano di sentirsi esclusi.
I rottami erano una zona
pericolosa data l’ elevata presenza di oggetti di varia natura, per
cui avevamo cercato di non farci scoprire dai nostri genitori per
timore che ci impedissero di andarvi. Escogitavamo dei veri e propri
percorsi alternativi per raggiungerlo, spesso allungando il tragitto,
attraversando la zona degli orti, nascondendoci appena avvertivamo
un rumore sospetto ma era fondamentale essere il più discrete
possibile.
I ragazzi lo sapevano e con questa scusa cercarono di
convincerci ad ospitare anche loro nel nostro rifugio. Ma la
grandezza del silos era limitata ed era impossibile star dentro tutti
quanti assieme, così i ragazzi, piuttosto risentiti, decisero che
avrebbero scelto un loro rifugio, sempre nei rottami.
Nacque così
il nostro villaggio immaginario : noi ragazze eravamo nella casetta
rossa con le tendine , i ragazzi avevano ricavato una specie di
condominio , a forma piramidale, di colore verde , con tantissimi
fori rotondi abbastanza larghi da poterci infilare la testa e vedere
fuori. Loro non avevano pensato ad arredarla, l’ importante era
giocare tutti insieme e ogni scusa era buona per andare gli uni dagli
altri. I maschi avevano la tendenza a stuzzicarsi vicendevolmente,
quindi spesso assistevamo al trasloco di uno o dell’ altro membro,
che si cercava
un altro rottame
– rifugio
tutto per sé.
Gli screzi tra di loro erano divertenti per tutti e
non impedivano comunque la collaborazione reciproca fra
noi.
Allestimmo un ristorante sito subito all’ ingresso del
villaggio e persino un cinema. Tra i vari resti, infatti, ci
capitarono tra le mani anche delle vecchie poltroncine pieghevoli ,
imbottite e foderate. Le sistemammo in fila orizzontale , proprio
come nelle platee dei cinema di sala .
Facevamo merenda nel nostro
villaggio, fingevamo di prenotare un tavolo al ristorante e di andare
a vedere un film. I ragazzi invitavano noi ragazze ad uscire bussando
alla porta della nostra casetta rossa ed insieme si andava a giocare.
Vivevamo
in una realtà parallela , stabilendo una tappa fondamentale del
percorso pedagogico dei bambini: il gioco della finzione e
apprendemmo quanto la collaborazione, piuttosto che i conflitti o la
gelosia, contribuisse a rendere il gioco più divertente e
stimolante.
Ricordo ad esempio che una notte venne un grande
temporale: la mattina seguente ci recammo subito a controllare i
danni che la pioggia poteva aver provocato nel nostro villaggio e la
nostra casetta rossa, non avendo il tetto, era completamente
allagata. I ragazzi ci aiutarono non solo a sistemarla ma soprattutto
a cercare qualcosa che potesse farle da riparo, quindi ognuno di noi
perquisì la zona per trovare l’oggetto più adatto allo scopo ed
infine recuperammo una resina ondulata che la coprì quasi
definitivamente.
Il villaggio è rimasto in vita per oltre un
mese, arricchendo la nostra infanzia con questa esperienza che si
potrebbe definire una sorta di teatro vivente.
Da un giorno
all’altro però, le nostre case sparirono: quando il quantitativo
di rottami diveniva troppo voluminoso, i miei genitori avvertivano il
rottamaio di fiducia che con il suo camion “ a ragno “ ( cioè
dotato di pinza per sollevare il materiale ) portava via quelli
considerati inutili. Purtroppo tra essi c’ erano i nostri rifugi e
con la loro dipartita e l’ imminente inizio della scuola, il
villaggio scomparve con loro.
Quando ,come ora che scrivo, ripenso
alla sensazione di vuoto e desolazione che provai allora nel non
vedere più la casetta rossa, il cinema, il condominio e tutto il
resto, senza essere neanche stati preventivamente avvertiti,
riemerge dentro di me una sensazione di grande malinconia.
Una
parte di me è rimasta a lungo arrabbiata con i miei genitori, non
tanto o non solo, per avercelo portata via ,ma soprattutto per non
averci dato la possibilità di salutarlo, questo nostro villaggio
che seppur precario e certamente pericoloso, era stato fautore di
entusiasmo, inventiva e collettività.
Forse avremmo fatto una
festa per dirgli addio, forse avremmo solo pianto un giorno in più o
ci saremmo fortemente adirati con i grandi, non lo sapremo mai.
Era
come se ci avessero svegliati da un lungo sonno, privati di tutti i
gli sforzi fatti durante quel periodo e disperso ogni traccia di ciò
che vi avevamo costruito.
Il gioco della finzione era terminato
con un gelido bagno di realtà .
Onestamente so che fu
un’esperienza straordinaria, a tratti onirica , che confermò come
il nostro gruppo sapesse trasformare persino un rottame in un sogno.
Mi chiamo Barbara ho acquistato il libro su www.ibs.it ed oggi ho notato che è disponibile i brevissimi tempi anche su www.amazon.it
RispondiEliminaConosco personalmente l'autrice e capitava che talvolta ci raccontasse alcune sue avventure " in Azienda " come la definiva lei. Sono felice che abbia deciso di farne un libro, è piacevole, divertente, un po' melò e straziante alla fine ma con un velo di speranza ( le ali di vita ).Spero di avere presto l'occasione di rivederti <Mirca per un autografo e chissà magari un nuovo libro. Brava! E' sempre stata la tua strada