Respiro Readers
vi segnalo la nuova uscita
del
romanzo
di
Connie Furnari.
Un retelling di Peter Pan, ispirato al celebre romanzo di James Matthew Barrie.
Neverland è uno Young Adult con un’intensa storia d’amore, pieno di magia e avventura, tra fate,
sirene, pirati e pellerossa. Un fantasy pieno di colpi di scena, impregnato di romanticismo.
Un Amore Immortale, in un mondo fantastico, oltre i confini del tempo.
TITOLO: Neverland, Peter Pan & Wendy
AUTRICE: Connie Furnari
GENERE: Paranormal Romance
ROMANZO AUTOCONCLUSIVO IN VOLUME UNICO
CASA EDITRICE: Self publishing
“Era
cosa nota che i Darling avessero sempre abitato nel quartiere di
Bloomsbury, al numero quattordici.” Wendy ha sempre sentito strane
storie, sulle donne della sua famiglia, soprattutto sulla sua famosa
trisavola, la prima Wendy Moira Angela Darling. Si racconta, da
intere generazioni, che un ragazzino misterioso entri di notte, e
rapisca le bambine nei loro letti.
La
notte prima del suo diploma, alla finestra di Wendy appare un
bellissimo ragazzo, dagli occhi verdi e dai capelli color castano
ramato. Lei ricorda di averlo già incontrato molti anni prima,
quando era piccola. Ma è diverso dal Peter con il quale aveva volato
nei cieli di Londra.
Peter
Pan è cresciuto. Apparentemente ha la sua stessa età, non è più
un ragazzino allegro ma un giovane uomo tormentato.
I
ricordi di Wendy riaffiorano. Ricorda di avergli dato il suo Bacio
Vero, il bacio che lei aveva sempre custodito per il suo unico amore,
e che ha fatto scegliere a Peter di crescere.
Wendy
lo segue volando, ritrovandosi in un’altra dimensione, in una
Londra cupa e senza leggi, che somiglia a quella vittoriana.
L’Isola
che non c’è è diventato un luogo da incubo e denso di pericoli,
dove niente è come sembra, dove nessuno si fida più dell’altro.
La
colpa è di Peter. È cambiato, la sua anima, una volta spensierata e
innocente, sta diventando sempre più oscura, e Wendy teme che anche
il suo amore per lei possa morire.
Accolta
dai nuovi Ragazzi Sperduti, che la eleggono loro capo e le insegnano
a combattere, Wendy si troverà a un bivio dopo aver conosciuto un
giovane e affascinante Capitan Uncino, deciso a conquistarla.
Campanellino
e Giglio Tigrato sono misteriosamente sparite nel nulla, e l’Ombra
di Peter incombe minacciosa su tutto, decisa a sterminare le fate, le
sirene, i pirati, i pellerossa.
L’Isola
che non c’è racchiude dei segreti mai svelati e l’unica in grado
di salvare Peter che si è perduto nelle tenebre è Wendy, credendo
in lui ma soprattutto in se stessa.
“Neverland”
è un retelling di Peter Pan, con un finale alternativo e un’intensa
storia d’amore, fra due adolescenti appassionati.
Un
Paranormal Romance pieno di avventura e intensi momenti di
romanticismo, liberamente ispirato al romanzo di James Matthew
Barrie.
Un
Amore Immortale, in un mondo fantastico, oltre i confini del tempo.
Alla
fine del volume, in regalo per i lettori il bonus “Curiosità su
Neverland”, il backstage sulla realizzazione del romanzo.
NEVERLAND
Peter Pan & Wendy (stralcio):
«Durante
questi cinque anni, mi hai sempre sorvegliata come un angelo custode,
di nascosto» mormorai. «Perché? Perché non ti sei mai fatto
vedere da me?»
«Volevo
prima diventare l’uomo
che meriti, e non lo sono ancora. Forse, non lo sarò mai, Wendy.»
I
suoi occhi verdi brillarono nella penombra, alla luce della lampada
da notte. E mi spaventarono. Quello non era più il mio Peter,
qualcosa di inquietante si era impossessato di lui, e se non avessi
fatto qualcosa lo avrei perduto.
«Peter…»
non ne avrei mai avuto abbastanza di pronunciare il suo nome.
Gli
feci una carezza sulla guancia e lui stavolta non si ritrasse, ma
socchiuse gli occhi. «Voglio darti un bacio» sussurrai.
Se
fosse stato il piccolo Peter che conoscevo, avrebbe allungato la mano
e mostrato il palmo, per ricevere un ditale, ma lui non lo fece.
Da
questo compresi che era davvero cresciuto e mi si spezzò il cuore.
Mi
avvicinai e posai la mia bocca sulla sua. Fu meraviglioso baciare
Peter, il mio Peter, che avevo atteso per così tanto tempo.
I
nostri baci sarebbero sempre stati così, Baci Veri, mai più ditali.
«Io ti amo, Peter Pan» gli sussurrai piano. Era quello che avevo
sempre saputo, quello che avevo aspettato di dirgli da troppo tempo
forse.
NEVERLAND
Peter
Pan & Wendy
Tutti
i bambini crescono, tranne uno.
James
Matthew Barrie, Peter
Pan
Capitolo 1
Il ragazzo che
non voleva crescere
La
finestra era chiusa, in casa c’era soltanto un silenzio assoluto e
irreale, lo stesso che regnava ogni notte. Al di là dei vetri, oltre
le tende di pizzo, si intravedeva la luna piena, gigantesca e
pallida, in un cielo scuro.
Il
suono di un flauto di canne si propagò nell’aria e fu quello
l’unico rumore che mi fece svegliare, mentre dormivo nel mio letto.
All’inizio,
pensai fosse solo la mia immaginazione, ma avevo sentito così tante
volte quella dolce musica, durante la notte, che mi destai di colpo.
Di
solito, udivo il suono del flauto nel dormiveglia, un attimo prima di
addormentarmi, ma mai da sveglia.
Aprii
gli occhi ma la musica non cessò, questa volta.
Il
sussurro del vento, il mormorio dell’acqua. Curiosa, mi levai a
sedere sui cuscini del letto.
In
soli sei anni di vita, avevo udito così svariate volte il suono
melodioso di quel flauto da non averne più paura.
Mi
alzai, diretta alla finestra chiusa. Non appena aprii le ante,
scansando le tende di pizzo, intuii cosa sarebbe successo.
Qualcuno
mi aveva raccontato che alle donne della mia famiglia era sempre
stato riservato un destino particolare, che eravamo delle prescelte,
fra tutte le ragazze a cui lui
faceva visita.
A
causa del nostro nome.
Indietreggiai,
quando l’Ombra entrò nella camera. Si muoveva tenendo le braccia
in avanti, volando sui muri. L’ombra di un ragazzo.
Sembrava
vivere di vita propria, continuava a percorrere le pareti della mia
stanza senza fermarsi, come se stesse fuggendo da qualcosa.
Dopo
l’Ombra, giunse un tintinnio di campanelli, assieme alla luce di
una lucciola dorata. All’istante compresi che il tintinnio
proveniva proprio da quella luce d’oro, che saltellava sui mobili.
Una
fata. Il corpicino minuscolo era aggraziato, sembrava nuda, e solo
quando rallentava il suo volo, riuscivo a vedere che indossava un
vestito di resina verde sfumata di giallo, uguale a quella che cresce
sugli alberi.
Le
sue ali, trasparenti e iridescenti, non stavano un attimo ferme, come
quelle di una libellula.
Infine,
in contrasto con la gigantesca luna piena, lo vidi. Era il ragazzo
che veniva a guardarmi dalla finestra quasi ogni notte, fin da quando
ne avevo memoria, e che ogni donna della mia famiglia conosceva,
grazie ai racconti tramandati di generazione in generazione.
Ed
era proprio come lo avevo sempre immaginato.
Se
ne stava ritto in piedi, con i piedi sul davanzale della finestra
aperta, i pugni sui fianchi.
Anche
lui sembrava indossare gli stessi abiti della fata: i suoi pantaloni
e la sua maglietta a maniche corte erano fatti di resina e di foglie.
Solo
quando scese con un salto dal davanzale, e atterrò sul pavimento
volteggiando, potei osservarlo alla luce della lampada che mia madre
lasciava accesa ogni notte, nella mia camera.
Aveva
i capelli color castano ramato, gli occhi verdi. La pelle abbronzata
dal sole. Il suo fisico era scattante e atletico, già alto per l’età
apparente che mostrava, forse tredici anni.
Ma
Peter
non aveva un’età.
Era
l’unico ragazzo al mondo che non era mai cresciuto.
Mi
chiesi come avesse fatto a raggiungere il terzo piano della casa da
quell’altezza, poi ricordai che sapeva volare.
Ci
guardammo, sembrò timido all’inizio: come se mi conoscesse, ma non
osasse parlarmi.
«Ciao.
Tu le somigli tanto ma non sei lei»
pronunciò deciso, con la sua voce argentina.
Prendendo
coraggio, mi avvicinai, percorrendo il pavimento freddo con i miei
piedi scalzi. «Ciao. No, non sono la Wendy che conoscevi.»
«Però
la casa è la stessa.» La sua confusione era evidente e a quel
punto, decisi fosse il momento di spiegare.
«È
passato molto tempo, dall’ultima volta in cui hai visto la prima
Wendy» mormorai. Non potevo dirgli che la mia trisavola era morta
tanti anni prima, così come molte altre donne della famiglia
Darling.
Sapevo
che Peter dimenticava.
Che gli anni, per quel ragazzo, non avevano alcun valore; potevano
sembrargli giorni, invece per noi erano decenni.
Notai
che stava cercando altri letti, in quella stessa camera. «No, non ci
sono neppure John e Michael.»
A
quel punto, accadde qualcosa che non mi aspettavo. Fece il broncio e
per poco non cominciò a singhiozzare: era davvero un ragazzino
egocentrico, proprio come mi avevano raccontato.
«Non
piangere» avanzai di un altro passo, decisa a consolarlo, «se vuoi,
possiamo essere amici.»
Alzò
i suoi occhi, che erano di un bellissimo verde smeraldo, lo stesso
colore dei boschi. «Come ti chiami?»
Mostrando
un inchino a dir poco teatrale, mi presi la lunga camicia da notte
con le mani, e mi presentai. «Wendy Moira Angela Darling. È un nome
che si tramanda spesso, fra le donne della mia famiglia. E il tuo
nome, qual è?»
Glielo
avevo chiesto per educazione, ma conoscevo già la risposta.
«Peter.»
«Lo
so.» Gli sorrisi.
In
effetti, era un nome piuttosto corto rispetto al mio e sperai che non
ne rimanesse offeso, come quella notte di molti decenni prima, quando
era entrato in quella stessa camera e aveva conosciuto la prima
Wendy.
«Allora,
vieni?» Peter mi porse la mano, invitandomi a raggiungerlo, e non
esitai neppure un attimo. Era davvero impulsivo, come mi avevano
raccontato.
«Dove
andremo?» domandai, euforica.
«Nei
Giardini di Kensington. È quasi l’ora delle fate. La loro festa
sta per iniziare. Non ti piacerebbe partecipare?»
«Oh,
Peter…» La mia risposta fu un sospiro sognante.
Nello
stesso attimo, il tintinnio aumentò e la fata color oro luminoso che
volava per la camera sembrò arrabbiarsi.
«Campanellino
fa sempre così, ogni volta che invito una ragazza a seguirmi. Non
capisco perché» si giustificò Peter. «È molto maleducata con le
signore.»
Io
conoscevo benissimo il motivo della gelosia di quella fata, ma non
glielo confidai, perché anche se avevo soltanto sei anni, ero già
una bambina piuttosto sveglia.
Ci
avvicinammo alla finestra, in lontananza il Big Ben si stagliava
sopra i tetti della città, oltre il quartiere di Bloomsbury.
I
rintocchi si fecero udire, nella notte. Sarebbero stati dodici, ma
non ebbi il tempo di contarli tutti.
La
luce dorata girò sopra il mio capo, formando una spirale luminosa,
ricoprendomi della polvere fatata che Campanellino aveva lasciato in
giro per tutta la stanza.
Peter
mi prese per mano e venni invasa da un profumo che ricordavo di aver
già sentito parecchie volte, sempre di notte, mentre dormivo:
l’odore dei mari, dei boschi, dei cieli.
Lo
seguii, librandomi nell’aria.
Senza
alcun dubbio.
Avevo
sempre
creduto di
riuscire a volare.
***
Il
sogno che feci quella notte, fu davvero strano e intenso. Sognai di
volare su Londra, di solcare i cieli della città che conoscevo
ancora poco, vista la mia giovane età.
Avevo
scorto i camini fumanti, le tegole dei tetti, sotto di me.
Nessuno
era per le strade, a quell’ora della notte. Non avevo mai lasciato
la mano di Peter, anche se ero in grado di volare da sola.
Il
calore della pelle di quel ragazzo era una certezza che mi cullava.
Insieme, avevamo attraversato il cielo stellato, e ricordavo di aver
visto così da vicino il Big Ben da rimanere abbagliata dalla
luminosità del suo quadrante.
Quell’orologio,
che da lontano mi sembrava sempre così piccolo, ogni volta che con
mia madre uscivo per le strade, mi era parso enorme, forse più
grande di quella stessa luna piena che ci vegliava.
Avevo
visto il Tamigi, simile a un serpente sinuoso e immobile, silenzioso
e buio, nella notte. Le luci del ponte di Tower Bridge Road si
riflettevano sull’acqua come minuscole scintille.
Infine,
Peter aveva planato sui Giardini di Kensington, oltrepassando i
cancelli chiusi. Sapevo bene che dopo l’Ora di Chiusura accadevano
cose fantastiche, ai Giardini.
Peter
mi aveva fatta rimanere in volo, sopra gli alberi, dicendo che le
fate di solito non approvano essere viste dagli esseri umani mentre
danzano.
Eravamo
rimasti a levitare a qualche decina di metri sopra l’isola degli
uccelli, quella al centro del lago Serpentine, dove di solito hanno
luogo le feste delle fate, durante le ore notturne.
In
passato, avevo saputo di quei bambini coraggiosi rimasti ai Giardini
di Kensington dopo l’Ora di Chiusura, proprio per vedere le fate.
Di
quei bambini non se ne era più saputo nulla, ma tutti sapevano cosa
accadeva ai piccoli che cadevano dalla carrozzina, che si perdevano
di notte nei Giardini, o che fuggivano di casa: venivano presi dalle
fate e consegnati a Peter.
Diventavano
Ragazzi Sperduti. Peter li portava sull’Isola che non c’è.
Distesi
le gambe, agitandole nell’aria fredda della notte, continuando a
volare, e contemplai la danza delle fate sotto di noi, dopo aver
incontrato lo sguardo compiaciuto di Peter.
A
lui piaceva fare colpo sulle bambine e sulle ragazze.
La
danza delle fate era un vortice variopinto, con tutti i colori
dell’arcobaleno. Non avevo mai visto nulla del genere. La musica si
udiva appena, per non svegliare gli uccelli, ed era suonata da
piccoli zufoli creati con i gambi delle rose.
Osservai
le fate che danzavano in coppie, vorticando in una spirale ipnotica
che riluceva nel buio, come una galassia di stelle colorate.
«È
meraviglioso» commentai, stringendo ancora più forte la sua mano.
Quando
fu l’ora di andare, Peter mi si rivolse scrutandomi con i suoi
occhi verdi, colmi di speranza. «Tornerò e ti porterò via con me.
Aspettami sempre.»
Ci
sollevammo nell’aria della notte, fino a raggiungere la luna piena,
mentre sotto di noi le fate continuavano la loro danza, finché quei
puntini luminosi non divennero stelle che mi circondavano in ogni
parte.
A
quel punto, mi addormentai, accoccolandomi fra le braccia di Peter.
La
mattina dopo, mi svegliai in un letto d’ospedale, a Great Ormond
Street Hospital, l’ospedale pediatrico.
Uno
dei guardiani dei Giardini di Kensington mi aveva trovata all’alba,
addormentata davanti alla statua di quel bambino con lo zufolo.
***
La
sera successiva, quando mi dimisero dall’ospedale e tornai nella
mia camera, notai qualcosa che mi lasciò sgomenta.
La
finestra aveva le inferriate. Ed era chiusa.
«Tesoro,
lascerò la luce accesa» mi disse mia madre, preoccupata. Si stava
tormentando le dita, sopra il suo bell’abito elegante. «Se hai
bisogno di qualcosa, chiamami.»
«Mary,
calmati» vidi entrare mio padre dalla porta. Indossava sempre giacca
e cravatta, visto che lavorava in banca. Si era sempre vantato di
conoscere molto bene la borsa valori e non smetteva mai di
ripetercelo.
«Ancora
non capisco come sia potuto succedere, George» proseguì lei. «Come
ha fatto la bambina a uscire dalla finestra e ad arrivare fino a
Kensington?!...»
Nessuno
lo aveva detto a voce alta, ma tutti pensavano che qualcuno mi avesse
rapita, dal letto della mia camera, e che per qualche opera di
misericordia mi avesse abbandonata nei Giardini.
Ecco
spiegate le inferriate che avevano messo alla finestra.
Per
fortuna, in quel momento entrò la persona a cui ero più legata, a
salvarmi. «Nonna!» balzai sul letto, piena di energia e mi beccai
un altro rimprovero da mia madre.
Nonna
Moira, china sul suo bastone, vestita di nero e con i capelli bianchi
legati in uno chignon, sorrise allegra. «Mary, George… andate a
letto. Resto io con la piccola.»
«No»
si oppose lei. «Basta raccontare storie strampalate. Fate, sirene,
pirati, pellerossa… Non sono adatte a una bambina di sei anni.»
«Levatevi
dai piedi, vecchi stoccafissi» la nonna alzò il suo bastone da
passeggio, impugnandolo come se fosse una spada, nel modo in cui mi
faceva sempre ridere.
Porsi
il viso a mia madre e ricevetti il bacio della buonanotte, assieme a
una carezza di mio padre. Non appena i miei genitori chiusero la
porta, e la nonna si fu accomodata sulla sedia accanto al letto,
esplosi visto che mi ero trattenuta a stento:
«Sono
stata con Peter! È venuto da me!»
«Lo
avevo immaginato» assentì nonna Moira. «Peter fa visita solo alle
ragazzine che credono in lui. Venne anche da me, quando avevo tredici
anni… Ma oramai non si ricorderà più dei giochi che facevamo
assieme.»
«Sì,
lui dimentica. L’Isola che non c’è fa dimenticare» sapevo come
stavano le cose. Quindi, mi intristii, di colpo. «Peter dimenticherà
anche me?»
Il
volto di nonna Moira, divenne pensieroso. Non voleva deludermi, ma
non voleva neppure mentirmi. «È difficile, a dirsi. Ancora oggi,
nessuno sa come mai lui non sia volato sulla chiesa quel giorno,
quando la tua trisavola Wendy Moira Angela Darling si sposò in rosa
e in bianco, per impedire quel matrimonio.»
«Perché
non lo ha fatto? Peter era innamorato della prima Wendy» considerai,
attorcigliandomi una ciocca di capelli.
Il
loro amore era una leggenda, nella nostra famiglia.
Soprattutto
fra le donne. A volte, quando si parlava delle vecchie storie
romantiche, nelle lunghe sere d’inverno accanto al camino, era
scontato che prima o poi saltasse fuori il nome di Peter.
La
nonna chinò lo sguardo. Sospirò, con rammarico. «Credo che nessuna
ragazza sia mai stata in grado di convincere Peter a crescere, è
questo il reale motivo.»
Sbuffando,
mi rimisi sotto le coperte. Lanciai uno sguardo verso la finestra.
Già odiavo quelle inferriate. «Nonna, ma se la finestra rimarrà
chiusa, come riuscirà a entrare?»
«Wendy,
se sei davvero importante per Peter» fu la risposta, «lui tornerà
da te.» Si chinò, dandomi un bacio in fronte.
Socchiusi
le palpebre e mi addormentai, sperando di sognare ancora il ragazzo
che non voleva crescere.
È
strano, come anche il tempo riesca a volare.
Peter
non tornò più da me, visto che la finestra era stata sprangata con
le inferriate dai signori Darling.
Lo
aspettai ogni notte, per mesi, ma non udii più il suono del flauto
di canne. Sapevo cosa pensasse Peter, riguardo alle finestre chiuse.
Anche
se non lo volevo, cominciai a dimenticare la notte in cui avevamo
volato sopra Londra, fino ai Giardini di Kensington, tenendoci per
mano.
Dopo
un anno, quando oramai avevo imparato a scrivere e a leggere, e
sentivo i miei genitori pianificare il mio radioso futuro con una
laurea in giurisprudenza, un lavoro ben pagato in uno studio legale,
un matrimonio di lusso e dei figli, feci la mia scelta.
Decisi
di crescere.
Il
mio incontro con Peter rimase solo il ricordo di un sogno e dopo
qualche tempo, dubitai perfino di me stessa. Di aver volato. Accadde
così, purtroppo.
Nel
momento esatto in cui dubitai di poter volare, persi la facoltà di
farlo.
Connie
Furnari
è nata a Catania. Laureata in lettere, appassionata di cinema,
pittura e film d’animazione, ha pubblicato con varie case editrici,
in self publishing e ha vinto diversi premi letterari.
È
una scrittrice multi-genere, predilige scrivere il fantasy e il
paranormal, ma si dedica anche al romance, al thriller, alla
narrativa per bambini e ragazzi, e ad altri generi letterari. Tutte
le sue opere sono facilmente reperibili on line, sia in digitale che
in cartaceo. Vive tra centinaia di libri e dvd, ed è presente nei
social network. Ama leggere, disegnare manga, e dipingere quadri.
Il
suo blog è www.conniefurnari.blogspot.it
La
sua email è conniefurnari@hotmail.it
I
suoi contatti:
Instagram
https://www.instagram.com/conniefurnari/
I
suoi romanzi sono disponibili in edizione digitale e cartacea, su
tutte le piattaforme, tra cui:
Altre
opere dell’autrice, su Amazon Kindle Unlimited:
WITHIN
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