La sua vita si trascina lenta, in una successione di giorni sempre uguali: la famiglia, il lavoro, gli amici, il ragazzo. Tre lunghissimi anni in cui niente è cambiato.
Almeno fino ad oggi. Oggi è successo l'impensabile: ha vinto un viaggio.
Era un concorso a premi, di quelli che si trovano nei panettoni o sulle confezioni dello shampoo. Di quelli ai quali si partecipa, ma mai si crede di poter vincere realmente un giorno. Ebbene, per Marianna quel giorno è arrivato. Ha vinto una settimana di vacanza in un hotel a cinque stelle a Mayrhofen: un caratteristico paesino sulle montagne austriache. Se tutto va come previsto, passerà un romantico Natale in montagna, in compagnia del suo ragazzo.
Ma la vita, si sa, è imprevedibile, e quando decide di sorprenderti lo fa alla grande; e mentre la sua fantasia corre tra monti innevati e piste da sci, nella realtà si ritroverà a fare i conti con un imprevisto dietro l’altro.
Un’improvvisa bufera di neve, un bizzarro albergatore e una simpatica compagnia di fiorentini la trascineranno in una rocambolesca avventura che finirà per trasformare la sua vacanza in un’esperienza indimenticabile.
«Cosa significa ultima fermata?» Spalancai gli occhi. «Significa che dovete scendere tutti, perché il treno non può più proseguire» spiegò il controllore con tono pedante.
«Ma io devo andare a Jembach.»
«Allora ci dovrà andare a piedi, perché il treno si ferma a Vipiteno» sentenziò con un accenno di sarcasmo.
«Non è possibile, ho già l’albergo pagato! Devo assolutamente arrivare a Jembach!» protestai.
Quel tipo iniziava a seccarmi, sembrava si divertisse a darmi cattive notizie.
Restai a guardarlo impotente mentre girava i tacchi e se ne andava, tutto impettito, a informare il resto del convoglio.
La moglie annuì, con sguardo gentile. «Sì, puoi venire con noi.»
Sembravano davvero imbarazzati nel vedermi tanto avvilita.
«Veniamo tutti gli anni per le vacanze» rispose lei. «È un posto davvero carino.»
«Quindi l ’unica sfigata sono io?» Ora ero a un passo dal pianto.
«Yesss! Sei l’unica sfigata!» esclamò il ragazzino con brio, annuendo energicamente.
«Puoi sempre guardare su Booking» si intromise il brufoloso saputello.
«Sai cos’è, vero?»
«Sì che lo so» sospirai.
La mia sopportazione si stava esaurendo.
«Hai visto, mamma? Lei, anche se è vecchia, le sa queste cose.»
«Vecchia a chi?» sgranai gli occhi. Ecco, ora la mia pazienza si era decisamente esaurita. Fortunatamente, prima che potessi reagire, la mamma gli diede uno scappellotto.
«Non offendere la signorina e fatti gli affari tuoi!»
«Ma...»
Altro scappellotto. «Ho detto zitto!»
Guardai lo stronzetto con sufficienza, mentre sul viso mi si dipingeva un’espressione soddisfatta. Normalmente ero contro la violenza, ma in questo caso non avevo nulla da eccepire: quel tipetto era davvero fastidioso.
«Perfetto. La ringrazio, è stato davvero gentile.»
Erano davvero carini, e, nonostante fossi dispiaciuta nel dover affrontare questo ulteriore intoppo, pensai che ero stata fortunata a incontrare delle persone tanto disponibili.
“Quindi non si incontrano solo serial killer ad andare in giro da sole, può anche capitare di incontrare delle brave persone...”
Mi segnai mentalmente di riferirlo a mia madre. Mezz’ora più tardi ero nella hall dell’albergo Edelweiss, a conversare con un tipo dall’aspetto poco rassicurante.
I miei benefattori erano già saliti nella loro stanza, mentre io attendevo che il tipo in questione mi desse le chiavi della mia. Il signor Franz – così aveva detto di chiamarsi – aveva dei lineamenti vagamente familiari. Mi ricordava qualcuno, ma non riuscivo a ricordare chi. Era tra i quaranta e i quarantacinque anni, di corporatura media, né alto né basso, bné grasso né magro.
I capelli neri, leggermente brizzolati, erano pettinati con cura da un lato, e lui continuava a stirarli con le mani nonostante non ce ne fosse alcun bisogno. Aveva lo sguardo concentrato e le labbra sottili, ed era vestito con il tipico abbigliamento da montagna: felpa imbottita, pantaloni pesanti e scarponcini con le stringhe.
«Tu sei signorina Marianna, Ja?»
«Ja, sono...» mi interruppi. «Cioè, volevo dire sì, sono io.»
«Pene, pene, pene...»
Lo guardai a occhi sgranati. “Pene? Ma che dice ‘sto qua?”
«Va pene» ripeté.
“Ah già, l’accento tirolese...” mi tranquillizzai.
«Dunque, camera numero dreizhen. Tredici. Primo piano. Aiuto a portare tue valigie?»
«No no, grazie, faccio da sola.»
Nel frattempo continuavo a rimuginare. “Ma chi è che mi ricorda? Forse qualcuno dello spettacolo?”
«Allora, tu hai capito?»
«Cosa scusi? Non ho sentito, ero sovrappensiero.»
«Ho detto: cena ore sette e mezza. Stasera si mancia canederli con brodo, e arrosto con patate. E per dolce torta di ricotta. Ma se a te non piace canederli, possiamo fare pasta con pomodoro...»
Finalmente mi venne in mente. “Adesso mi ricordo! Assomiglia a Hitler!”
«No no, i canederli vanno benissimo» confermai, senza riuscire a smettere di fissarlo.
Quella pettinatura, i lineamenti del viso... Se avesse avuto anche i baffetti non avrei saputo distinguerli. Era spiaccicato a Adolf Hitler.
«Pene. Allora questa è tua chiave. Camera numero tredici, primo piano.»
Afferrai la chiave e lo ringraziai. «Perfetto, allora a dopo. Grazie signor Adolf.»
Mi paralizzai all’istante. Il signor Franz mi guardò come se avesse avuto di fronte un escremento.
Grazie signor Adolf? Ma come mi era uscito? Avrei voluto sprofondare.
«Cioè... volevo dire... A dopo» Girai i tacchi e corsi via, per quanto me lo permetteva la mia pesante valigia. Entrai in camera e mi buttai sul letto demoralizzata.
Ma come era successo che dalla prospettiva di trascorrere una meravigliosa settimana in Austria in un hotel super lusso, mi ritrovavo in questa pensioncina a tre stelle in compagnia di un’anziana coppia e del sosia di Hitler?
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