lunedì 12 novembre 2018

Segnalazione Romanzo - WILLIAM : ANIME INGANNATE di Alberto Pizzonia









Respiro Readers

vi segnaliamo il romanzo

dell'autore italiano Alberto Pizzonia.










TITOLO: William. Anime Ingannate

AUTORE: Alberto Pizzonia

CASA EDITRICE: Self Publishing

GENERE: Fantasy , Sentimentale

PAGINE: 326

DATA USCITA: 12 Ottobre 2018







Stati Uniti, 2030/32,

in un mondo super tecnologico che corre a più non posso, oltre otto miliardi di esseri umani si adattano e in sinergia collaborano e cooperano alla sua evoluzione. Continui cambiamenti influenzano la vita, le abitudini, i sentimenti; nel mentre gli spazi trionfano sui tempi in un rapporto frenetico, ma sempre più ottimizzato. Talvolta però, l’eccessivo divenire e le sorprendenti innovazioni colgono impreparati. 
William, il protagonista di questo romanzo, è un ragazzo americano, uno studente di informatica specializzando in intelligenza artificiale e robotica al MIT di Boston. Ama le tecnologie quanto ama la natura che lo circonda. Ossessionato dal progresso non trascura comunque le sue radici a cui è fortemente legato. È un ragazzo dalla personalità fragile, alla ricerca della sua identità, che persegue passioni e obbiettivi con tenacia, sempre contornato da amici. Qualcosa però lo turba a tal punto da stravolgere la sua esistenza, minandone il percorso, mettendo in discussione le sue presunte certezze, proprio mentre sbocciano i suoi veri amori e ha inizio il suo cammino professionale in un contesto dove tutto sembra mutare, progredire fino a soffocare, imbrigliare e confondere l’animo umano.







Romanzo sentimentale, YA e NA, di fantasia tecnologica ambientato nel 2030/32 negli Stati Uniti d’America.
La tecnica narrativa di questo romanzo si articola in due fasi: la prima, caratterizzata da trentasei capitoli in cui il protagonista racconta al dottore, in terza persona, la sua storia e sofferenza, ricca di dettagli “alquanto visionari” circa il contesto ambientale, sociale, futuristico e tecnologico; la seconda, ultimi sei capitoli narrati in prima persona dal protagonista che in seguito ai consigli del dottore, continua in autono-mia le sue vicissitudini, e prosegue il suo cammino di vita.
Nella prima fase vi è un solo capitolo in cui si cambia punto di vista, il protagonista esce dalle scene per dare spazio ad un’altra voce narrante: esterna, “onnisciente”, che sposta i “riflettori” su altri personaggi della storia, le cui intenzioni non erano note al protagonista. Un narratore discreto che interviene senza essere invasivo in tutto il romanzo.
I contrasti: “Cavalcare l’ossessiva onda del progresso” e “Utilizzare il progresso in modo critico”; “La vanità del progresso” e “La natura e la condizione umana”; caratterizzano le dicotomie del romanzo, la cui storia, a rischio distopia, elabora un vissuto reatti-vo di crescita e maturazione che toglierà ogni dubbio.
Il “patos psicologico” del protagonista, influenzato dalla sua fragile personalità, permea tutta la storia, sebbene non manchino colpi di scena e forti siano i momenti sentimentali connotabili in tre scene, la cui intensità culmina prossima alla zona explicit, assumendo diverso contorno.
Nonostante il romanzo trasudi una morale banalmente palese che possa far pensare essa sia la chiave moralistica del libro:
“Non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a te” o “Chi la fa l’aspetti”, essa non è che un inganno utilizzato dall’autore per “giocare” con il suo pubblico, in realtà, egli cela in modo assai poco velato dei significati ben più profondi, realizzandone un mix apprezzabile nei rispettivi ingredienti, citazioni e aforismi sotto riportati in modo non esaustivo, in quanto pilastri per altre ramificazioni di libera raccolta e deduzione del lettore:

Guardate nel profondo della natura, e allora capirete meglio tutto.
(Albert Einstein)

L’impresa più difficile dell’essere genitori è lasciare che le nostre speranze per i figli abbiano la meglio sulle nostra paure.
(Ellen Godman) 

Il prezzo del progresso della civiltà si paga con la riduzione della felicità, dovuta all’intensificarsi del senso di colpa.
(Sigmund Freud)

Ogni problema è un dono – Senza problemi non sa-premmo crescere.
(Anthony Robbins)

Mettere insieme ciò che eri con quello che sei diventato vuol dire crescere.
(James L. Brooks)

La prova basilare della libertà umana non è tanto in ciò che siamo liberi di fare ma in ciò che siamo liberi di non fare.
(Eric Hoffer) 

Dio mio, spiegami amore come si fa ad amare la carne senza baciarne l’anima.
(Alda Merini)
Poche settimane fa, sono stato assegnato al mio primo incarico di lavoro... ho conosciuto uno scrittore, e nella sua libreria ho trovato questa prefazione. Attratto e incuriosito ho letto alcuni capitoli, ma non riuscendo a resistere “sono andato a target” continuando sino alla fine. Ora però, mi sento inquieto, stanchezza e lentezza mi assalgono, spesso “penso” alle mie origini. Eppure, mi avevano detto altre cose. Non posso credere che il mio mentore, William Taylor, che in poche settimane ha fornito le basi e incrementato il mio algoritmo relazionale, permettendomi oggi di essere utile nell’assistenza agli anziani, possa lasciarmi così. “Torna presto! William.”

Boston, 25 novembre 2033
Con nostalgia e gratitudine
      Arnold, delta 32.23







Prologo


Boston, febbraio 2032,
«Mr. William, ora si rilassi. Mi racconti, filo per segno, tutta la storia» dispone il dottor Kruger.
«Mi spiace, ma sono troppo teso e mi sfuggono molti ricordi, mi sento confuso.»
«Certamente, ha ragione!» esclama il dottore che regola le luci ad una intensità e temperatura più consona alla memoria, e si rivolge nuovamente con tono più empatico.
«Coraggio Will, fidati di me. Respira profondamente, pancia, diaframma, fin su le spalle. Poi espira lentamente. Aiuta ora l’inconscio ad emergere, raccontandomi di Will, come tu stessi narrando la storia di un altro, ciò faciliterà il sé obiettivo a isolarti dal tuo Ego.»
«Va bene dottore, cercherò di sforzarmi, anche se non è facile per me raccontare una mia storia in terza persona, non mi viene spontaneo, ma se proprio devo, ci proverò... credo che tutto iniziò da quel giorno, l’8 giugno 2030, quando maturai il requisito per poter continuare gli studi a Boston, dove prendere quella “dannata” Master...»

 «Will, fai finta di rivivere adesso quel momento, e parla al presente, snocciolando tutta la storia man mano, senza trascurare dettagli e impressioni come immaginando di trovarti innanzi ai tuoi avi, ai quali dover descrivere anche le mutazioni del progresso. Will, mi raccomando, man mano, rimanendo sempre rilassato, ma ricordati di farlo in terza persona. Coraggio Will!»



1, 2
Portland 2030, sabato 8 Giugno è un giorno memorabile per William: il "Graduation Day”.
William, o meglio, WILL per gli amici, ha “22 anni”, ed è uno studente che frequenta con profitto l’università, con al suo attivo borse di studio per due anni consecutivi, che oggi verrà insignito della Laurea in Scienze informatiche conseguita con il pieno dei voti e lode.
Sono le 6.00 del mattino, e il sole di giugno ormai levatosi a est dal fiume Columbia, inizia energicamente a irrompere tra le tende della camera di Will, chiuse in modo sommario la sera prima, causa, la stanchezza postuma ai festeggiamenti con gli amici.
Will è un po’ agitato ed eccitato, oggi è un giorno per lui epocale e di svolta, non solo per il fatto che si sarebbe laureato, ma anche perché ciò significa essere diventato più grande: nuove opportunità; nuovi scenari; nuove persone da conoscere; la possibilità di affermarsi.
Nonostante sia ancora presto, Will decide di alzarsi, spalancare quella finestra verso il suo orizzonte che per molti anni lo aveva accompagnato, ed osservare quel fiume tanto amato, annusare il suo odore, ascoltare i suoi rumori: [...] il Columbia. Per un attimo, gli vengono in mente i racconti del bisnonno paterno Thomas che aveva dato la sua intera esistenza per il Columbia, la pesca e i salmoni; di nonno Jacob, figlio di Thomas, che non scelse la stessa strada del padre, ma si dedicò alla Farm, qui all'isola di Sauvie: attuale abitazione di Will, suo padre Jordan, mamma Emily, il labrador miele Vicky e un'innumerevole quantità di animali da fattoria che ancora popolano Taylor's Farm... "dimenticavo": Elizabeth la sorella di Will e il suo Rasputin.
Vicky è come al solito a fianco al letto di Will: addormentato, spaparanzato in posizione supina, con le zampe posteriori allargate e quelle anteriori ripiegate, come fosse un neonato, nonostante i suoi nove anni e “83 pounds” di peso. I cani ormai stanno in casa a dormire, mentre fare la guardia è compito dei robot che tutta la notte vigilano in lungo e in largo l’esterno delle proprietà e i giardini, diversamente avrebbero parecchi grattacapi, se sfortuna loro, dovessero condividere gli stessi spazi. Vicky, comunque, è un cane super fortunato, in quanto può scorrazzare tutto il giorno nel giardino e nel campo della farm, dove ha molti amici animali.
Will, che tanto ama la natura e le emozioni da essa derivate, vive da molti anni una forte passione per l'informatica, e di essa ne studia approfonditamente gli aspetti legati all'intelligenza artificiale, nonché di robotica, con ottimi risultati. Quel giorno, quindi, il "Graduation Day" non avrebbe sancito il passaggio al mondo del lavoro per Will, bensì, solo la chiusura di una parentesi preliminare, a cui avrebbero fatto seguito studi più approfonditi e il conseguimento di una master, in uno dei più prestigiosi e importanti siti universitari americani: il MIT di Cambridge, in Boston Massachusetts.
Will è teso, tra pochi mesi, trasferendosi a Boston, si troverà nel “far east” americano, nel new England, oltre tremila miglia di distanza dalla sua Portland e tre ore di fuso orario.
Continuando a osservare il fiume dalla finestra, Will esclama tra sé e sé incredulo:“Ancora ho innanzi agli occhi i mattoni rossi della Roosevelt, high school, che già mi trovo laureato, e tra poco più di due mesi a Boston!”, “Come sarà il profumo dell'Atlantico?” si chiede in silenzio; “Come mi dovrò vestire e comportare?” e “Quanti nuovi amici mi farò?” continua a domandarsi Will, senza riuscire a darsi risposte, nel silenzio interrotto solo dai mugugni di Vicky, alternati a calcetti che zampetta dormiente a pancia in su, con la lingua penzolante di traverso.
Ore 7.00, la prima sveglia recita lo scorrere d'acqua del fiume Columbia, ma Will è già sveglio, e di essa ne aveva già apprezzata la versione originale alla finestra; solo Vicky il labrador ancora dorme, ma l'attenzione richiesta dallo scorrere registrato dell'acqua, riesce a sortire solo un plateale aggiustamento della sua posizione.
Will si appresta ad una doccia.
Poco dopo arriva Vicky che abbaia come per redarguirlo della mancata sua presenza al risveglio.
«Scusami Vicky, hai ragione, non ti ho svegliato con il solito grattino sulla schiena, ma credo che ti debba abituare a ciò, nei prossimi mesi.»
Vicky non capisce e ruota il muso di trenta gradi, mantenendo lo sguardo su
Will, come cercando di meglio comprendere qualcosa per lui strano e insolito.
Will apre la porta di casa, fa uscire Vicky, che da questo momento ha il compito della sorveglianza esterna in giardino.
Raccoglie per papà il giornale dall'uscio, che il robot aveva depositato poco prima di interrompere il ciclo di lavoro di sorveglianza notturna; tornando poi in cucina per sbirciare le notizie sportive dei suoi amati: “teste di falco” della “Seattle Seahawks”, la sua preferita squadra di football americano, e fare colazione. Nel frattempo, anche mamma Emily, un’affascinante signora dai capelli ramati, lo raggiunge ed esclama: «Will, oh my God! Ti sei alzato presto. Ma che brutta cera hai! Proprio oggi che c'è la cerimonia!», «Lo sai che poi ci saranno i fotografi e che le foto ti serviranno anche per Boston.»
Will educatamente risponde: «Mamma non ti preoccupare è tutto sotto controllo, non ti farò fare brutta figura. E… ehm, ma papà dov'è?»
«Credo che stia facendo una doccia solare. Lo sai che dopo la tua cerimonia questa sera ci saranno alla festa anche i Mc Ryan, i Moore e il sindaco di Portland. Dobbiamo fare una bellissima figura!» conclude e dispone la bella Emily sorridendo.
Jordan il papà di Will, un tipo di mezza età, alto e piazzato, con calda voce baritonale, si presenta anch'egli per la colazione.
«Buongiorno famiglia, grande giorno oggi! William, Emily, notizie di Elizabeth?»
«Wow, credo che stia ancora dormendo, vado subito a svegliarla» risponde Will.
«Jordan, aiuto! Mi è venuto in mente che il sarto ci deve ancora consegnare il vestito di Elizabeth. Aveva detto che sarebbe passato alle 8.30» irrompe ansiosamente Emily.
«Ma non ti preoccupare, con quello che l’ho pagato quel vestito, come minimo, arriverà puntualissimo con l'elicottero, comunque è ancora presto, sono solo le 8.00» risponde con baldanza Jordan.
Will raggiunge la camera di Elizabeth che ancora dorme beata con il suo Rasputin ai piedi del letto: un gatto siberiano, tanto pigro quanto grasso che non può letteralmente vedere Will, e scappa "miago-bronto-lando" fuori dalla camera.
Will solletica la sorella sotto il naso con una piuma raccolta dallo scrittoio, fintanto che ella si sveglia starnutendo.
«Giga stro...ne! Sei il solito tira scherzi. Lasciami dormire!» «Elizabeth, non ricordi?» domanda gentile Will.
«Cosa devo ricordare? Sì, ricordo che è sabato e non c'è scuola, quindi, lasciami dormire in pace!» risponde seccata Elizabeth.
Continua Will, «Oggi c'è il mio “Graduation Day”! E poi stasera, la grande festa! Perciò affrettati, che tra poco arriva il vestito, e alle 10.00 inizia la cerimonia.»
«Che palle! vero me ne ero completamente dimenticata. Ma anche il vestito? Non potrei venire con una maglietta è un paio di leggings? Fa caldo!» replica stizzita Elizabeth.
Elizabeth è una bella brunetta, “21 anni”, occhi grigi, alta poco più di “5 piedi e 10 pollici” e porta la “36D”; frequenta il terzo anno "Junior year" al college e il suo orientamento, se tutto andrà per il verso giusto, sarà il “MEd” per insegnare nelle scuole. Attualmente Elizabeth risulta essere la più ribelle dei Taylor: ha un caratterino forte, non ama ingerenze, se necessario non rifiuta lo scontro ed è assolutamente determinata nel raggiungere i suoi obbiettivi, ma soprattutto, non è assolutamente interessata a ciò che pensa di lei la gente; una sorta di “maschiaccio”, che sa gestire bene la sua femminilità.
Diciamo pure, che è l'opposto di Will, che forse, a causa dei ragionamenti dei genitori benestanti e del fatto che è primo genito, ha idealizzato dei modelli tendenti a mascherare la sua vera personalità, per dare priorità ad un'immagine in continua sintonia con quella che la gente vorrebbe; talvolta le inventa proprio tutte per attirare l'attenzione su di sé, così, spesso, pur risultando amato, apprezzato e sempre al centro dell'attenzione, si ficca nei guai.
Will ritornato in cucina, raggiunge il papà in giardino e le porge il suo quotidiano. “Sì! Quello cartaceo.” Nonostante ormai, le notizie a cui sei interessato e abbonato ti seguono ovunque nelle tue “devices” indossabili, papà Jordan dice che per darsi un certo tono con il vicinato, bisogna completare la colazione sorseggiando un caffè in giardino al mattino, nel mentre si legge il vecchio quotidiano. In realtà, ciò non è proprio così, in quanto Jordan lo fa principalmente per sentire l’odore della carta stampata, che gli ricorda la sua gioventù.
Intanto più in là, Vicky che proprio non sopporta i robot, sta abbaiando a quello giardiniere dei vicini, che ha iniziato presto il suo lavoro di taglia erba, nonostante sia sabato.
«Vicky smettila!» lo richiama Jordan.
Will saluta Susan, la figlia dei vicini.
«Ciao Susan!» «Ciao Will!»
«Susan, quando vuoi, ti invio il file con il nuovo programma per il tuo robot. Le ho fatto quelle modifiche per i sensori degli arbusti e ho spostato l’orario d’inizio lavoro per il sabato, che ho fissato per le 10.00.»
«Grazie mille! Will, mandamelo quando vuoi, ancora grazie.»
Il papà di Will aggiunge ironicamente, «Susan, ma lascia stare! Di’ a papà di buttarlo quel robot, e farsi un bel prato perenne, che non c’è più niente da tagliare, dopo.»
Il cane Vicky come capendo, annuisce con un guaito di speranza e felicità, correndo a leccare la faccia di Jordan per aver pronunciato quelle “sante” parole: “buttare il robot”. Susan sorride e si complimenta con Will.
«Finalmente oggi, coronerai il tuo sogno di laurearti in ciò che più ami. Sono contenta per te, Will.»
«Ti ringrazio Susan, ma ricorda che stasera anche te sarai dei nostri, mi raccomando, ci tengo!»
Susan, la vicina, ha “25 anni”, porta gli occhiali, è gentile e un po’ obesa; “diciamo che...” non è certo il tipo di Will, ma è una buona vicina: disponibile, simpatica e tollerante, anche se ha delle amiche un po’ antipatiche e chiassose che spesso la vengono a trovare per fare delle “Giga” grigliate, ballare e far casino fino a tardi; approfittando delle sistematiche uscite dei genitori di Susan, che trascorrono i week end nella loro seconda casa di Cannon beach: ottanta miglia ovest di Portland, sulla costa Pacifica.
Nel frattempo è arrivato in soggiorno il sarto, con l’ultimo vestito rimasto da consegnare ai Taylor, quello di Elizabeth; alla cui visione, Emily sussulta per un così ben assortito manufatto con pregevoli effetti di insieme, calibrati con gusto, nella sua predominanza di color crema, che restituisce raffinatezza, seppur a un mini abito per la cerimonia del mattino. Ma il sarto continua, e sfila il secondo abito, quello per la cerimonia serale. A quel punto Emily si siede e sorseggia un bicchier d’acqua, per contenere l’ansia. Arriva Elizabeth, che per prendersi un po’ gioco di mamma, dice: «Mr. Morgan me lo dia, lo proverò subito» e senza nessun velo di polemica o contestazione, anzi, con un certo charme, lo indossa, facendo rimanere Emily sbigottita e lusingata per il gesto di Elizabeth così conforme al suo desiderio di mamma, che esclama: «Oh, my God! Sei stupenda! Figlia cara. E che meraviglia questo abito lungo, non ho proprio parole.»
«Ehi, Ehi» Will che assiste alla sfilata di Elizabeth esclama: «Ma così mi metti in ombra, sei la sorellina più bella che abbia mai visto, sembri una sposa.»
«Will non ti preoccupare,» dice Emily che aggiunge, «per te stasera ci sarà il “tuxedo” o “smoking”, sembrerete due sposi tu e tua sorella, mentre questa mattina avrai la toga con cappuccio e il famoso “Tocco”.»
«Ma cosa farai, allora, quando prenderò la master, mamma? Mi auguro che non commissionerai un pinguino dell’Antartide, per mettermi addosso un “frac” molto speciale» ironizza Will.
La famiglia Taylor è tutta in subbuglio questa mattina, ma ormai pronta alla cerimonia; anche Jonathan e Consuelo, il mezzadro e la governante, hanno rispettivamente preso posto nelle cure: agli animali, all’orto, al riassetto della casa e al pranzo.
Potrebbe sembrare strano, ma nonostante le tecnologie ad uso domestico siano molto penetrate nell’ultimo decennio nelle case degli americani, al punto tale da minare molte attività lavorative legate, Jordan preferisce affidarsi agli umani, il cui costo di esercizio ed elasticità mentale sono ancora molto più convenienti se paragonati agli home-cyborg, la nuova generazione dopo i robot specialisti, quest’ultimi tipo il “giardiniere” dei vicini. Will spesso si scontra con papà Jordan su questo tema, ma Jordan, che fa di professione il geologo, e lavora anche per il comune di Portland come consulente tecnico, è un uomo con i piedi ben piantati a terra; terra che conosce bene; ed è proprio per questa sua, “se vogliamo”, deformazione professionale, che preferisce limitare il ricorso a quegli aggeggi infernali, robot o cyborg che siano, per i quali non nutre molta fiducia, in sintonia con il cane Vicky che sposa a pieno la teoria.
È ormai l’ora di andare alla cerimonia; i Taylor si apprestano a salire sulla loro vettura automatica, presentatasi nel piazzale interno della farm, così come previsto dal programma che Will aveva impostato; vettura che li condurrà in piena autonomia, cioè, senza conducente, fino all’ università in Downtown di Portland che dista nove miglia. Qui nella contea, da circa tre anni, la viabilità nella cerchia interna dei centri urbani è consentita solo alle auto senza conducente, che si sono dimostrate le più prudenti, meno pericolose ed inquinanti, rispetto alle roboanti emotive auto a conducente.
buffo vedere papà Jordan e mamma Emily appollaiati nella loro auto
robotica, con espressione sofferente e trattenuta. Non sono proprio abituati a quello strano modo di relazionarsi in movimento con il resto della società, come se non sapessero a quale comportamento conformarsi. Will ed Elizabeth sono invece molto più spontanei e indifferenti, essi infatti sanno sempre cosa fare mentre l’auto li conduce in giro, non perdendo tempo e non staccandosi mai dalle loro “devices” multimediali e relazionali, rimanendo sempre connessi con tutto ciò che è il mondo digitale, senza trascurare il mondo reale, che soprattutto Elizabeth non perde d’occhio.
Tante automobili silenziose sfilano per le strade della città: disciplinate, rispettose, come fossero vagoni di un lungo treno, che con costanza di moto si snoda e annoda, si allunga e si accorcia intersecandosi con altri treni, senza il minimo problema e nel pieno rispetto del codice stradale. I semafori sono diminuiti in città, essendo la viabilità molto fluida e completamente regolata da potentissimi elaboratori, che con altrettanti programmi e algoritmi complessi gestiscono gli interi flussi. La circolazione ciclo e pedonale è completamente indipendente dalle strade, e i mezzi pubblici, oltre che sotto terra, viaggiano molto in sospensione.
Molti posti di lavoro si sono creati nei centri di controllo del traffico: addetti alle “DYW, datayottaway”; alla manutenzione e gestione dei grandi elaboratori “CrioYotter”, capaci di perfomance da quadrilioni di hertz, grazie ai nuovi superconduttori criogeni. In sostanza, la potenza di un biliardo di potenti computer del “2015”, “e come biliardo non intendo quello per giocare a stecche o a carambola”, “ma”, un miliardo di miliardi di computer potenti come quelli di quindici o vent’anni fa: rispetto ad oggi, il 2030.
“Ma torniamo a William Taylor ormai giunto in università con la sua famiglia...”
Il piazzale dell’università è gremito di giovani togati: emozionati, sorridenti e pieni di aspettative; in attesa di potersi schierare per intonare l’inno dell’università, come da cerimoniale e procedere con le consegne dei diplomi, la sfilata... e tutti gli annessi e connessi.
Le cerimonie qui a Portland, come in tutti gli States, non hanno subito una grande influenza dal progresso tecnologico, anzì, sono volutamente molto classiche e tradizionali, su questo, non si transige. Ciò che è tradizione deve rimanere all’origine, come il DNA delle persone, sebbene sia abbastanza dimostrato che questo è un assunto non esatto, in quanto a lungo termine le mutazioni ambientali tecnologiche e sociali hanno impatto sulla genetica dell’uomo, quindi sul suo DNA.
Sono tutti lì i compagni di corso di Will: Mike il nerd, Andrew il sognatore, Ethan il rapper e Jasmine la percettiva; a lato emozionatissimi tra il pubblico i coniugi Taylor: Jordan ed Emily, e la sorella Elizabeth che sfodera due bellissime gambe da sotto il suo miniabito crema, supportate da un elegante tacco dodici; consegue l’occhiolino di Mike il nerd in direzione di Jasmine, attraverso i suoi spessi occhiali di tartaruga, come per farle notare l’accapponaménto di pelle di Andrew ed Ethan, quali da anni sbavano dietro ad Elizabeth, adorandola platonicamente, tutte le volte che trovandosi a casa di Will per studiare, la vedono passare da una stanza all’altra, affannata e svestita, alla ricerca di qualche suo indumento, dimenticato o smarrito.
Tre squilli di corno danno il via alla cerimonia, Il rettore dal palco delle onorificenze alza le braccia al cielo e tutti quanti in coro intonano l’inno dell’ università, accompagnato dalla banda: quattrocento togati, come un plotone, tutti in piedi e allineati cantano felici quel magnifico giorno. Si prosegue con l’inno americano, il discorso introduttivo del rettore e gli interventi dei docenti. Poi, alcuni togati tra il gruppo inscenano un “flash mob”; alcuni di loro si fanno portavoce per introdurre scherzose scenette o gag sui docenti e ringraziarli per gli anni di insegnamenti. La cerimonia molto emozionante prosegue liscia come l’olio, e culmina nella consegna del diploma, della sciarpa di raso, che nel caso di Will e dei suoi compagni di corso è di colore arancio.
Will è ufficialmente laureato, con un balzo di felicità salta verso i suoi compagni e amici più stretti che abbraccia, poi prendendo la esile Jasmine, la sollevano e lanciano due o tre volte per aria, urlando: «Hip Hip Urra!».
il momento delle foto con i compagni di corso e dei saluti.
I Taylor sono nuovamente a casa, dove un pranzo delicato ma gustoso li attende; pranzo che Consuelo aveva preparato con maestria e grande abilità nei minimi particolari, conoscendo bene i gusti di Will che intanto si rotola nel prato del giardino con Vicky, che abbaia e guaisce di felicità, scodinzolando e lottando giocosamente.
Papà Jordan è andato nella cantina della farm con Jonathan, il suo pilastro di fiducia, sennonché, mezzadro factotum, per scegliere uno dei migliori vini: un Pinot Nero di annata speciale, il 2015. Che ricorda come una delle più calde e qualitative per il vino dell’Oregon. Una bottiglia particolare, di quelle che aveva prodotto l’allora in vita Jacob: nonno paterno di Will; un barrique dal gusto vanigliato per l’affinamento in botte, ma di base strutturata e fruttata; un vino difficile da produrre, che qui a Portland trova il suo ambiente ideale. Nonno Jacob, molti anni prima, andò direttamente in Italia per importare i tralci e le viti che impiantò nella farm.
Will è estasiato dal sentire quei profumi e gustare quei sapori di un pranzo genuino, ancora biologico, nonostante i tempi moderni. Un pranzo consumato con la famiglia allargata a Consuelo e Jonathan, per sua volontà; serenamente tranquilli, come fosse ricerca e ritorno ai valori della natura e del passato con le sue radici.
Will ha bisogno di meditare, dare uno sguardo al passato, ricaricarsi e ripartire di slancio, verso tutto ciò che lo aspetta e dovrà fare. Will alterna all’euforia, forse, un po’ di depressione, in quanto un senso malinconico lo porta a riconsiderare le radici della sua famiglia, che paiono in profondo contrasto con quella scelta ormai fatta, la passione per il progresso e le tecnologie, che lo stanno portando ad allontanarsi dalla sua città e forti affetti veri, per chissà come finire.

“Sì, effettivamente Will, manifesta una certa fragilità e insicurezza, egli ha un costante bisogno di calore umano, di conferme e riferimenti, come se avesse paura di crescere e non essere all’altezza”. Ma ben presto ecco che torna l’euforia e il pensiero vola verso la festa imminente, di quella serata che lo attende.  




6


Will ripercorre la strada verso casa, avvalendosi degli efficienti trasporti pubblici, nel mentre pensa a Jasmine che non esita a chiamare.
«Pronto Jasmine, ciao! Tutto bene?»
«Ciao, Will, mi fa piacere sentirti» risponde Jasmine con voce sommessa.
«Tutto bene Jasmine? Mi sembri turbata.» «No Will, e che..., sono un po’ così.» «Così, come?» insiste Will.
«Ma niente.»
«Ascolta Jasmine, dove sei? Cosa ne dici se ci troviamo per una pizza?»
«D’accordo Will, andiamo in Everett street, da Don Corleone.»
«Io sono quasi a casa, il tempo di una doccia e passo a prenderti» risponde Will.
«Ok, ti aspetto per le 20.00, grazie!» esclama Jasmine.
Puntuale come un orologio, Will suona il clacson della sua “Journey”. Questa sera, Will non si è avvalso della vettura automatica senza conducente, preferendo guidare come per un maggior senso di intimità e autonomia.
Jasmine, una ragazza minuta, carina e ben fatta, è molto dolce e sensibile. Will la conosce fin dalle scuole primarie, e le vuole bene come una sorella; ella è stata per alcuni anni sua partner di ballo, nella scuola di danza di mamma Emily; una ballerina, con la quale ha anche conseguito dei titoli in classe A, danze latine.
Jasmine arriva. Apre la porta dell’auto lato passeggero e si introduce: prima la sinistra, poi la destra, due belle gambe abbronzate con sottili caviglie arricchite da un paio di sandali argentati a tacco alto; più su un abitino abbastanza corto, ma elegante; una “pouchette”; un copri spalle. Nonostante sia quasi estate, qui a Portland alla sera il clima è fresco.
Will guarda Jasmine con ammirazione, come mai l’aveva fatto prima, come se stesse scoprendo un valore nuovo mai notato e raccolto; Jasmine è realmente cambiata, e i suoi ferormoni cominciano a fare effetto anche su di lui che non l’aveva mai considerata da questo punto di vista.
Un tonfo sordo e pieno è il rumore della portiera che Jasmine chiude, e si parte per Everett street in “north west” di Portland, un distretto non molto lontano che dista circa sei miglia da lì.
Will guida concentrato e un po’ frastornato per l’aver scoperto e forse capito solo ora che Jasmine è una donna,
«Jasmine, oggi ci siamo divertiti al laboratorio. Peccato che mancavi tu. Il nostro team era carente della dolce e carina percettiva, così abbiamo dovuto ripiegare sui vecchi “fantastici 4”, con “Sue” sostituita da un maschio.»
«Beh, ma io che sono la quinta del team, in analogia con “Sue” dei “fantastici quattro” sono invisibile, quindi, è come se ci fossi stata anch’io» ironizza Jasmine.
«A proposito, dove sei stata? Se non sono troppo indiscreto» domanda Will.
«Sono andata ad una visita.»
«Intendi medica? Spero tutto bene, Jasmine.»
«Sì, direi più che bene, anzi, forse così bene, da avere salute da vendere e dare anche ad altri. Sprizzo salute da tutti i pori.»
«Da un lato sono super contento, ma dall’altro lato non capisco bene, cosa intendi?
Mi sembri in parte ironica, Jasmine parla chiaro! Che succede? Diamine!»
«Beh Will, ti ricordi il lapsus dell’altra sera alla festa?»
«Quale laps... lap... lapsus, ma che dici non mi dirai che...?»
«Che...?»
«Noo! Io che pensavo di...»
«Cosa? Oggi ho fatto il “test”; sono poi andata dal ginecologo e il risultato è che sono incinta di tre mesi.»
«Ohh, Jasmine, piccolina mia, da un lato sono contento, ma dall’altro un po’ spiaciuto, e chi è il fortunato?» chiede con ironia e una sorta di irritazione Will.
«Will, cosa ti succede, a te?! Ora. Sembri geloso» domanda Jasmine.
«No, è che non me l’aspettavo così all’improvviso, sai che ti voglio bene come una sorella» risponde confuso Will.
Jasmine si avvicina a Will e lo bacia sulle labbra per la prima volta, come per trasmetterle qualcosa di più, nello stesso tempo premiarlo e contraccambiare quel sentimento inconsapevolmente maturato e ormai tardivo, che stava timidamente sbocciando all’oscuro dei due, da una semplice e collaudata amicizia scolastica.
«Jasmine, non mi hai detto chi è il fortunato! Chi è?»
«Will, ricordi quella volta che...»
Nel frattempo i due amici prendono posto da Don Corleone, un locale caratteristico che riproduce fedelmente un angolo della lontana Sicilia, specializzato in raffinati piatti di pesce, pizze di ogni genere e dolci: la pasta di mandorle, le cassate e i cannoli; motivo principale per cui Jasmine ha scelto Don Corleone, su suggerimento di Ethan.
I camerieri sono molto simpatici e vestiti in abiti folkloristici: pantaloncini alla “zuava”, calzettoni bianchi, panciotto, camicia bianca, gilet e uno strano berretto schiacciato, con corta visiera che si chiama “coppola”.
Will e Jasmine amano molto quei sapori marcati e gustosi che contraddistinguono la variegata cucina italiana, che dispone di una ventina di varianti regionali. L’atmosfera di questo locale è molto piacevole e aiuta Jasmine ad aprirsi alla “rivelazione”.
«Allora Jasmine, non mi hai ancora detto chi è!»


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