Respiro Readers,
vi segnalo un romanzo fantasy di un'autrice italiana emergente
uscito oggi 5 Marzo 2018.
TITOLO: Il bacio dell'angelo perduto
AUTRICE: Melissa Castello
GENERE: Fantasy
CASA EDITRICE: Amazon Self Publishing
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Lei lo ama da sempre. Lui la odia a tal punto da aver perso se stesso.
Patrick ha perso tutto. Anche la sua stessa umanità. Ha rinunciato alla sua vera natura a causa di Cat. Ora l’unica cosa che desidera è ottenere la tanto agognata vendetta che brama da anni, da quando è ritornato in città. Finalmente il momento giusto sembra essere arrivato, ma proprio quando si ritroverà a vivere a stretto contatto con lei, qualcosa di imprevisto e dimenticato torna a galla, portandolo a soffocare la sua vera essenza e ciò che essa nasconde.
Tra segreti e rancori passati, riuscirà Cat a ritrovare il ragazzo che si nasconde dietro l’anima perduta di Patrick?
Il bacio
Cat
Avevo il cuore in gola e temevo che lui
potesse sentirlo pulsare, avvicinandosi. Deglutii a vuoto e
finalmente trovai il coraggio di alzare lo sguardo e perdermi nei
suoi meravigliosi occhi verdi oscurati dal desiderio. Soffocai un
sussulto quando mi accorsi che anche lui mi stava fissando. E come mi
fissava… Come avevo sempre desiderato. Mi sentii completamente
persa, intrappolata da quegli occhi che m’inchiodavano e
m’ipnotizzavano. Questa volta non riuscii a distogliere lo sguardo
al quarto secondo, come facevo sempre. No, questa volta, rimasi lì,
con il cuore che mi esplodeva nel petto e le mani serrate dietro la
schiena, incapaci di muoversi. Quando il suo profumo mi arrivò ai
polmoni, mi sembrò di perdere il contatto con la realtà. Non si era
mai avvicinato così tanto a me e in quel momento sarebbe bastato un
respiro un po’ più profondo per sfiorargli la maglietta con il
petto. Andai in apnea e aspettai. Immobile. Incapace di muovere un
muscolo o anche solo di respirare o pensare. Inebetita da quella
vicinanza che mi spaventava e desideravo nello stesso tempo, da
quando il mio cuore aveva iniziato a battere per lui molti anni
prima. Lentamente allungò il braccio e mi sfiorò la guancia con il
dorso della mano.
Dovetti usare tutti i miei sforzi per
non strofinarmi contro di lui come una gatta in cerca di coccole.
M’imposi di rimanere ferma. Non sapevo perché, ma c’era qualcosa
che mi diceva che avrei fatto meglio a non muovermi oppure a scappare
lontano, qualcosa che mi faceva stringere i palmi sudati delle mani
intorno a un pugnale che tenevo nascosto dietro la schiena. Sentii la
lama tra le dita. Non avevo idea del motivo per cui io dovessi tenere
quell’arma, ma ero sicura del fatto che lui non doveva
assolutamente saperlo. Strinsi le dita con ancora più forza fino a
ferirmele, sentii il sangue colare sull’elsa dorata e cadere per
terra, ma non percepii dolore. La vicinanza di colui che bramavo da
una vita, mi distraeva completamente e quando lo vidi chinarsi su di
me, annullando le distanze fra noi, la mia mente si svuotò
completamente. Mi sentii calamitata come un magnete e
inconsapevolmente mi ritrovai a ondeggiare verso di lui, finché non
sentii le sue labbra contro le mie. Un bacio. Era tutto quello che
desideravo. Lasciai che la sua bocca mi assaggiasse e mi schiudesse a
lui. «Cat» mi sussurrò, prima d’intrecciare le dita tra i miei
capelli e tirarmi verso di sé come se volesse risucchiarmi. Mi
lasciai andare completamente a quella felicità sconosciuta. Un altro
passo e i nostri corpi aderirono perfettamente come due metà di un
intero unico e perfetto. «Patrick» mormorai dolcemente, inebriata
dal suo profumo così maschile e sensuale, mentre lui riprendeva
possesso della mia bocca. Trasportata da quel piacere che mi faceva
tendere e languire, mi appoggiai a lui e iniziai a rispondere con
sempre maggiore passione e voracità a quel bacio così atteso. Le
sue braccia mi strinsero a sé e io sentii il mio seno spingere
contro il suo torace ampio e duro. Avrei voluto abbracciarlo e
toccarlo anch’io, ma non mi decidevo a lasciare il pugnale. I
nostri respiri si mescolarono, le nostre labbra iniziarono una
battaglia sensuale ed erotica che mi eccitò da morire, le sue mani
scivolarono lungo i
miei capelli biondi, sciolti sulla
schiena, provocandomi brividi bollenti ed elettrici per tutto il
corpo, ma quando sentii che si stava avvicinando al pugnale, mi
spaventai e improvvisamente un rumore assordante spezzò
l’incantesimo. «Patrick, no» mi lamentai, quando si staccò da
me. «Cat, non dovevi farlo!» si arrabbiò all’istante. «Patrick,
io…» cercai di dire, anche se non sapevo nemmeno cosa. Desideravo
solo che si fermasse e tornasse a baciarmi, ma il rumore diventava
sempre più forte e per quanto urlai il suo nome, sentii che ormai
l’avevo perduto. «Pattifox!» gridai disperata un’ultima volta,
chiamandolo come facevo un tempo. All’improvviso tutto cambiò. Mi
svegliai. Sbattei gli occhi ripetutamente, cercando Patrick, ma mi
ritrovai in camera mia, nel mio letto e davanti a me avevo il viso
estasiato di mia madre che mi fissava con i suoi grandi occhi verdi,
già truccati con abbondante eyeliner e ombretto dorato. «Pattifox!
L’hai sognato, vero?» squittì emozionata, andando a spegnere la
mia sveglia spaccatimpani. Ecco cos’era quel suono nel sogno!
Maledetta sveglia! «No» sbuffai irritata dall’invadenza di mia
madre. «Quante volte te lo devo ripetere che non voglio che entri in
camera mia senza bussare?» «Numero uno: sono tua madre, Catherine!
Numero due: ho bussato, ma stavi dormendo! Numero tre: ero venuta per
spegnere quella sveglia infernale che ti ostini a usare per alzarti
la mattina. Numero quattro: com’era Pattifox? Ti ho sentito mentre
lo chiamavi. È incredibile che tu lo sogni ancora nonostante siano
passati così tanti anni da quando andavate a scuola insieme. Avevate
solo dieci anni e…» «Mamma! Sono affari miei. Il mio era solo un
sogno» sminuii quello che era un appuntamento annuale che avevo
dall’età di dieci anni e Patrick mi aveva dato un breve e delicato
bacio sfuggente sulla bocca prima che io scappassi via
dall’imbarazzo. Peccato che all’epoca ero così piccola e
stupida. Oggi, col cavolo, che sarei scappata via! Anzi! «Chissà
che fine ha fatto quel bambino… Non me lo ricordo neanche più.
L’hai più rivisto dopo le
elementari?» «No» mentii nuovamente. Se solo avesse saputo che due
ore dopo avrei avuto proprio il caro Patrick a tre metri di distanza,
a due banchi dietro di me, non mi avrebbe più lasciato in pace.
«Secondo me, è per colpa di questo Pattifox se sei ancora vergine»
«Mamma!» la rimproverai scioccata. «Cat, io alla tua età avevo
già fatto di tutto, mentre tu non hai nemmeno baciato un ragazzo. Un
ragazzo vero, intendo, non un bambino» «Io non sono come te»
constatai con un lieve disappunto che traspariva dalla mia voce. «Ed
è proprio questo che non mi spiego. Di sicuro non è per il tuo
aspetto fisico, perché io ti ho fatta bene. I miei geni sono stati
trasmessi correttamente. Cat, tu sei bellissima» mi disse
dolcemente, anche se subito dopo iniziò a brontolare. «Certo che se
ti vestissi un po’ meglio e iniziassi a truccarti con cura» «Non
sono interessata a queste cose» «Tuttavia hai una bella pelle, non
c’è che dire» continuò lei senza considerarmi, iniziando a
rovistare nel mio armadio e a tirare fuori i vestiti più scollati,
corti, colorati e trash che possedevo. Tutti suoi regali, ovviamente.
«Forse il tuo problema sta nel look. Hai tanti vestiti fantastici,
guarda, ma tu ti ostini a indossare quelle oscenità incolori» «Non
sono incolori. Sono bianchi e neri» «Appunto, incolori. Sei noiosa
come un libro stampato senza immagini» «Mi piacciono i libri»
«Noiosi pure quelli. Senza contare che occupano un sacco di spazio»
«Dimmi la verità: mi hai adottato, vero?» «No, tesoro. Sei figlia
mia. Quando ti ho partorito, mi hanno dovuto mettere i punti a causa
del tuo testone e…» «Mamma, ti prego, adesso vomito» «Faresti
meglio a prepararti. Tra mezz’ora arriva l’autobus e tu non hai
ancora fatto colazione». Senza perdere tempo, mi buttai giù dal
letto e corsi a farmi una doccia veloce e a vestirmi con dei jeans
neri skinny e una maglietta bianca con la scritta nera Keep calm and
carry on. Solo le All Star rosse mi davano un tocco di colore.
Proprio come piaceva a me.
Velocemente me ne tornai in camera e
notando mia madre intenta a seguire il suo videocorso di pilates in
salotto, fuggii verso la mia dispensa segreta, nascosta dietro ai
libri, e mi presi due barrette di cioccolato fondente e nocciole. Le
mangiai voracemente, sperando di non farmi beccare. Poi infilai
l’involucro vuoto nella tasca dei jeans e uscii. «Cat» mi
richiamò mia madre, notandomi correre verso l’uscita. «La tua
colazione! Ti ho preparato la tisana drenante che ti piace tanto con
due fette di ananas! Oggi è la nostra giornata detox anticellulite!»
«Mi spiace ma devo andare o perderò l’autobus. A stasera» la
salutai di corsa, felice di aver saltato una delle sue solite
colazioni assurde e disgustose. Quando arrivai alla fermata
dell’autobus, mi svuotai le tasche dalla prova del mio tradimento
alla sacra giornata detox di mia madre e aspettai. Dopo cinque minuti
passò il mezzo pubblico. Salii e andai subito a mettermi vicino a
Spencer. «S» la chiamai per avvisarla del mio arrivo e per farmi
liberare lo spazio accanto a lei, che occupava sempre con il suo
zaino fino alla mia fermata. «Cat, sono nella merda» sbottò
all’istante, senza alzare gli occhi dagli appunti di storia. «Non
hai studiato?» «Mi sono ipnotizzata davanti alla tv a guardare le
repliche della quinta stagione di Gossip Girl» «S, se non recuperi
il voto dell’altra volta, i tuoi genitori ti metteranno di nuovo in
punizione e noi non potremo vederci per un sacco di tempo» le
rammentai. «Lo so, non me lo ricordare, per favore. Sono già
agitata per conto mio» si arrabbiò subito, tornando a studiare. Mi
sedetti accanto a lei e la lasciai in pace, anche se in realtà avrei
voluto subito raccontarle del mio sogno. Spencer era l’unica amica
che avevo e anche se in storia era una frana, quando si trattava
delle mie storie, si ricordava sempre tutto e sapeva che ogni anno
facevo quel sogno. Lei era la sola con cui potessi confidarmi e
sentirmi al sicuro dai pettegolezzi, a differenza di mia madre che
dopo aver passato la mia infanzia a rovistare tra i miei diari
segreti e a farsi gli affari miei, poi usava quelle informazioni come
nuovo gossip da raccontare alle clienti del centro estetico
dove lavorava oppure come argomento per
rompere il ghiaccio quando era nervosa davanti a qualcuno. Per colpa
sua, mi ero sparata un’adolescenza da piccola paranoica, sempre
alla ricerca di qualche nuovo nascondiglio per i miei diari segreti
oppure a indagare su quanto sapesse degli affari miei. Ma per
fortuna, tre anni prima, Spencer si era trasferita con la famiglia a
Columbus e finalmente, dopo tanti anni di solitudine, avevo trovato
un’amica. Quella sensazione di isolamento mi fece per un attimo
venire un nodo alla gola. Come avevo fatto a passare da bambina
socievole e piena di amici ad adolescente insicura, sola e
introversa? Non lo sapevo. Alle elementari ero un piccolo terremoto.
Giocavo e studiavo con chiunque. Patrick era il mio migliore amico e
stavamo sempre insieme, ma poi lui aveva dovuto cambiare famiglia
affidataria ed era stato costretto a trasferirsi in un’altra città.
Ricordavo ancora il giorno in cui aveva lasciato la scuola. Era
venuto da me e mi aveva baciato davanti a tutti i nostri compagni. Mi
ero vergognata da morire e l’avevo spinto via, per poi scappare
come una codarda. Non ricordavo il motivo del mio comportamento. Ero
stata stupida, sciocca, infantile, immatura e spaventata da quel
cuore che aveva iniziato a battere così tanto da sentirlo in gola.
Inoltre ero anche arrabbiata, perché all’epoca non avevo ancora
capito che la decisione di andarsene non era dipesa da lui. Avevo
rivisto Patrick solo alle superiori, dopo più di tre anni di
lontananza. Era tornato a Columbus con una nuova famiglia molto
ricca, ma non era più lo stesso. Nemmeno io ero più la stessa. Dopo
la sua partenza mi ero isolata. Avevo cominciato a non uscire più e
a passare ore a dipingere a casa da sola. E ora, dopo quattro anni,
eravamo all’ultimo anno di liceo, ma tra noi due non c’era mai
stato uno scambio di saluti o altro. Il nulla.
Avevo provato ad avvicinarmi
all’inizio, ma lui mi aveva trattata con freddezza, dicendomi di
non conoscermi. Mi ero sentita così umiliata e ferita che dopo
quell’episodio non mi ero più azzardata a rivolgergli la parola.
Tuttavia avevo continuato a guardarlo da lontano e a seguirlo a
distanza fino ad innamorarmene. Tre secondi. Quello era il tempo
limite che mi davo prima di distogliere lo sguardo, per non rischiare
di essere beccata o per non destare sospetti. Tre brevi ma intensi
secondi in cui potevo perdermi ad ammirare i ricci biondi dei suoi
capelli che gli ricadevano ai lati del viso, la sua pelle lievemente
abbronzata, il viso sempre perfettamente rasato di fresco, i suoi
occhi verdi con sfumature ambrate che gli illuminavano lo sguardo in
modo seduttivo e ipnotizzante. Quando poi mi capitavano le giornate
fortunate, riuscivo anche a perdermi nel suo profumo e nel suo
dopobarba che avevo scoperto essere della linea di Calvin Klein, dopo
settimane passate nel reparto profumeria del centro commerciale.
L’avevo anche comprato, ma non mi ero mai osata a metterlo per
andare a scuola. Lo mettevo solo di notte quando andavo a dormire e
desideravo sognarlo. E poi c’erano i giorni superfortunati, quando
si mostrava senza maglietta, magari dopo un allenamento di basket.
L’intensa attività fisica per ottenere un posto di prestigio alla
Columbia University l’anno successivo, gli aveva trasformato il
corpo in una macchina di muscoli perfettamente scolpiti e agilità
felina con cui si muoveva e sfuggiva agli avversari durante le
partite. Era il migliore e non mi ero sorpresa due anni prima per il
fatto che fosse stato nominato capitano della squadra. Se l’era
meritato. Peccato che tutta quella popolarità avesse portato con sé
fiumi di ragazze pronte a portarselo a letto, scatenando la mia
gelosia annidata sul fondo della mia anima. Per fortuna, dopo tutti
quegli anni ero diventata brava a nascondere i miei sentimenti e a
fingere indifferenza. Ma a che prezzo? Non ci volevo pensare.
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