Respiro Readers,
oggi vi voglio segnalare un romanzo di un autore italiano.
Questo libro è una chitarrata nei denti sotto alcuni aspetti, è un
balsamo sotto altri. È stato amalgamato perfettamente, immagine e
parola, trasportando il lettore su vari punti narrativi ed emozionali, c'è
sensibilità e disillusione, empatia e ferocia.
TITOLO: LA strada perduta
AUTORE: Mauro Orefice
Un ragazzo di 40 anni che si appresta a diventare un uomo. Un evento tragico che lo costringe a fare i conti con l’apatia della sua vita. Una scelta d’amore difficile tra tre bellissime donne. Un cambiamento di lavoro che diventa irrinunciabile. Tutto questo ripercorrendo la storia del protagonista attraverso i suoi ricordi e momenti indimenticabili che lo hanno portato ad essere quello che è adesso.
Sensazioni,Emozioni Comuni a tutti ma Uniche nel Viverle da soggetto a soggetto, il Romanzo della Nostra Vita.
Sensazioni,Emozioni Comuni a tutti ma Uniche nel Viverle da soggetto a soggetto, il Romanzo della Nostra Vita.
La
strada perduta.
Dedicato
a mio zio, da sempre ispirazione di vita per me.
Capitolo
I - Crisi
Era
un giorno qualunque. Uno di quei giorni anonimi e ripetitivi, come
spesso stavano succedendosi nella vita di Maurice. Sveglia intorno
alle sette, questa volta la suoneria del cellulare l’aveva sentita
forte, quasi ruggente. Doccia veloce, colazione con latte e un goccio
di caffè, che ormai aveva imparato a preparare e metabolizzato a
sufficienza e cornetto rigorosamente comprato al centro commerciale,
in confezione da dieci pezzi. Vestito di tutto punto, ormai lo faceva
sempre più spesso, come per compensare una apatia crescente. Uscita
di corsa da casa, anche se in perfetto orario, forse per poter
saltare i gradini, scendendo come faceva da bambino, superandosi
nella somma dei gradini saltati, ogni giorno di più. Entrata in
macchina, la sua macchina da poco comprata, suo vanto, la sua prima
comprata nuova, non senza sacrificio. Stereo a palla sulla sua
stazione radio preferita, rigorosamente rock, una ballade,
perché come spesso si ripeteva, la più bella canzone d’amore è
una ballata rock. Mezz’ora di tragitto nel traffico, che a
differenza degli altri a lui non dispiaceva. Quel disordine lo faceva
sentire stranamente calmo, tranquillo, non era niente rispetto
all’inferno che aveva dentro. Lui visto da tutti come una persona
pacata, sensibile, simpatica. Mai un gesto fuori posto, mai un
litigio sul posto di lavoro, anche in situazioni di emergenza. Un
perfetto consulente, preciso, tempestivo e rassicurante con il
cliente.
Arrivato
nel parcheggio, lo aspettava, avendolo visto da lontano, George, suo
alter ego, collega di lavoro, istintivo e imprevedibile,
il suo opposto. Il suo collega nonché suo amico, era stato sempre al
suo fianco, in tutte le battaglie professionali affrontate e
nonostante in molti diffidassero di lui, per la sua facile abitudine
al cambiare in maniera repentina il suo umore e quindi da reputarsi
inaffidabile, per Maurice, era il complice perfetto di tutte le sue
strategie lavorative. La giornata proseguiva monotona, come previsto
da Maurice ma, evidentemente, George non aveva passato una nottata
tranquilla, visto che dopo aver pranzato insieme, beveva il caffè
nervosamente e i suoi occhi manifestavano un’agitazione dormiente,
di quel sonno perduto a causa di una figlia arrivata troppo presto,
in un matrimonio già in crisi, dopo solo un anno insieme alla sua
Hanna. Maurice non badò molto allo stato dell’amico, e dopo aver
partecipato all’ennesima riunione in ufficio, aveva solo voglia di
tornare a casa. All’improvviso il suo cellulare suona senza tregua
la sua canzone preferita, It’s only rock’n’ roll but i’m
like it. In realtà la riunione era appena terminata e quel suono
non fece che anticipare la sua uscita dall’ufficio. Dal display
compare il nome di sua madre Rose. Perché stava chiamando? Di solito
non lo chiamava mai sul posto di lavoro, per non disturbarlo con
quella insistenza poi. Decise di porre fine alla graffiante voce di
Mick Jagger e rispose. La voce dall’altra parte era fioca,
tremante, Maurice capì a malapena il nome del soggetto citato nella
frase appena troncata, nel suono disturbato del cellulare. Non aveva
dubbi il nome era, Austin. Suo zio, il suo eroe, colui che lo aveva
ispirato per una vita intera, aveva lasciato questa vita. La
sofferenza degli ultimi anni si era fatta sentire e non aveva retto
alle botte della vita. Maurice passò nel giro di pochi minuti
dall’incredulità, alla realizzazione, fino alla rassegnazione del
momento. Ma questo passaggio repentino lo aveva turbato, segnato,
come se avesse capito che da quel momento in poi niente
sarebbe stato come prima. Alla domanda della madre se avesse voluto
essere presente e di supporto ai suoi cugini e alla zia, la sua
risposta fu un no secco, giustificato dal non sentirsi pronto e
adeguato alla situazione. La madre non volle approfondire la
questione e si avviò a casa di suo fratello. Nel frattempo Maurice
era arrivato a casa, sconvolto, seppur consapevole dello stato dello
zio Austin e della sua esasperante lotta contro la malattia che lo
affliggeva da tempo. Semplicemente non era preparato a questa
notizia. Come un portiere di calcio, il suo amato sport, che non vede
passare il pallone sopra la barriera, fino a che non si insacca nel
sette con conseguente boato del pubblico presente allo stadio. Lui si
sentiva così, frastornato dal quel boato senza aver metabolizzato
cosa lo avesse generato, ossia la perdita dell'amato zio. I giorni
seguenti furono trascorsi da Maurice, in uno stato di automa, vigile
ma non presente a se stesso. Aveva deciso di prendersi un paio di
giorni di malattia a lavoro, inventandosi un tremendo mal di stomaco
dovuto al lutto subito. In realtà non era così, era sì provato, ma
da una apatia diversa dal solito, che nascondeva uno stato di ansia
mai provato. Sicuramente al suo stato aveva contribuito sua madre
Rose, che lo aveva avvertito dell’orario del funerale, che si
sarebbe tenuto in giornata. Lui aveva provato senza troppa
convinzione a dire alla madre che non sarebbe andato, che non se la
sentiva. Ma sua madre lo aveva anticipato dandogli appuntamento in
chiesa. Maurice non ebbe il coraggio di contraddirla anche perché
dentro di lui c’era comunque la voglia di salutare suo zio Austin
un’ultima volta. La cerimonia fu quasi indolore, Maurice resse fino
al momento in cui suo cugino Roger, volle spendere due parole per il
suo amato padre perduto. Non l’avesse mai fatto. Il ragazzo elencò
i numerosi pregi del padre e la sua forza nell’affrontare la
malattia che aveva messo a dura prova lo zio Austin
fisicamente ma, soprattutto, psicologicamente. Infatti nella mente di
Maurice comparvero le immagini dell’ultima volta che era andato a
trovare suo zio che non riusciva a celare una strana apatia non
consona al suo carattere si mite ma mai così distaccato. Di colpo
Maurice vide in quelle immagini del volto dello zio Austin, la sua
stessa apatia. Fu terribile, ma non quanto le parole di suo cugino
che sul finire del suo discorso, completò dicendo ciò che spesso
suo zio Austin ripeteva a Maurice: Nella vita devi voler bene a
tutto e a tutti. Quelle parole suonarono come una lama, nel cuore
di Maurice. Finalmente quelle parole avevano un senso. Spiegate così
dolcemente da suo cugino, rappresentavano ciò per cui aveva vissuto
suo zio Austin, un uomo che amava profondamente il suo lavoro e la
sua famiglia. Urgeva un cambiamento di direzione e Maurice senza
accorgersene da quel momento in poi avrebbe vissuto una seconda vita,
una nuova vita, anzi avrebbe vissuto veramente per la prima volta.
“Il
dolore cresce, fuoriesce, è incessante non calante, non si ferma è
sulla pelle, arriva alle stelle. È dentro, non lo sopporto, è un
trasporto. Respiro, non spiro, dà tregua, mi metto alla sua stregua.
Sta passando, non sto giocando. Cessa all’istante ed io torno me
stesso ma sono distante.”
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